Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 35999 del 14/07/2014


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 35999 Anno 2014
Presidente: ZECCA GAETANINO
Relatore: BIANCHI LUISA

Data Udienza: 14/07/2014

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
COPPOLINO FRANCESCO N. IL 19/02/1980
avverso l’ordinanza n. 272/2014 TRIB. LIBERTA’ di LECCE, del
15/04/2014
sentita la relazione fatta dal Consiglier ott. LUISA
11.tre/sentite le conclusioni del PG Do (V

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1. La Corte di Cassazione, in parziale accoglimento del ricorso dell’imputato,
con sentenza del 7 febbraio 2014 ha annullato con rinvio l’ordinanza di
custodia cautelare emessa nei confronti di Coppolino Francesco per il reato di
cui all’art. 416 cod.pen. finalizzato alla illecita realizzazione di impianti
fotovoltaici in violazione delle procedure stabilite, unico la cui pena edittale
consentiva la misura, pur essendo il medesimo Coppolino altresì indagato per
falso e indebita percezione di contributi dallo Stato. Rilevava la Corte il difetto
di motivazione della predetta ordinanza sia con riferimento alla sussistenza dei
gravi indizi di colpevolezza il ordine al reato associativo sia per quanto riguarda
le esigenze cautelari.
2. Con ordinanza in data 15.4.2014 il Tribunale di Lecce, giudice di rinvio,
preso atto che nel frattempo, e precisamente in data 5 dicembre 2013, la
misura cautelare (degli arresti domiciliari) era stata revocata e che non vi era
stata una chiara ed esplicita manifestazione di volontà del Coppolino nel senso
della sussistenza di un proprio interesse alla decisione in vista della attivazione
della istanza di riparazione della ingiusta detenzione, dichiarava inammissibile
il ricorso dal medesimo promosso.
3. Ha proposto ricorso per cassazione, per il tramite del proprio difensore,
Coppolino Francesco. Deduce il vizio di cui all’art. 606 lett b) ed e) in relazione
agli artt. 627 co. 3 e 628 co.2 cod.proc.pen., per non essersi il giudice di rinvio
uniformato alla pronuncia di annullamento con rinvio resa dalla Corte di
cassazione che gli imponeva di valutare in ogni caso la sussistenza dei gravi
indizi del contestato reato, a prescindere dalla formulazione di una positiva
domanda in tal senso; sottolinea che in ogni caso il Coppolino aveva
partecipato personalmente all’udienza di rinvio davanti al Tribunale del riesame
dichiarando di insistere perché si addivenisse alla decisione e che la decisione
della Corte di Cassazione era intervenuta dopo la revoca degli arresti
domiciliari e dunque la valutazione sulla sussistenza dell’interesse al ricorso
alla pronuncia era stata già effettuata ed esaurita dalla Corte di Cassazione
stessa.

CONSIDERATO IN DIRITTO
1.Sostiene il ricorrente che al Tribunale del riesame, giudicando in sede di
rinvio a seguito di annullamento da parte di questa Corte, “era imposto, senza
possibilità di discostarsi” l’esame della sussistenza di gravi indizi del reato
associativo e delle esigenze cautelari e che, pertanto, la dichiarazione di
inammissibilità del ricorso per difetto di interesse costituisce violazione dell’a
627, co.3, cod.proc.pen. .

RITENUTO IN FATTO

La tesi non è fondata. E’ pacifico che, ai sensi dell’art. 672, co.3, cod. proc.
pen., il giudice di rinvio deve uniformarsi al principio di diritto enunciato dalla
Corte di Cassazione, ma tale regola vale a condizione che nella sentenza di
annullamento sia rinvenibile, sia pure implicitamente, un qualche principio di
diritto, o quanto meno, una questione di diritto decisa (sez. VI 24.6.2003
n.34027 rv 226668). Nel caso di specie la sentenza di questa Corte non
conteneva la affermazione di alcun principio di diritto, ma la semplice
constatazione della mancanza di un sufficiente compendio motivazionale sia in
tema di gravi indizi che di esigenze cautelari con particolare riguardo alla
posizione del Coppolino e ciò ha reso necessario l’annullamento con rinvio
dell’ordinanza al Tribunale di Lecce per una nuova motivazione sui punti
anzidetti.
Già solo per questa considerazione il ricorso risulterebbe infondato, dovendosi
escludere la violazione della norma invocata dal ricorrente.
E’ comunque opportuno aggiungere che anche a prescindere da questo, il
ricorso è comunque infondato, risultando del tutto legittima l’ordinanza di
inammissibilità del Tribunale di Lecce per sopravvenuto difetto di interesse.
Come è noto, la sussistenza di un interesse concreto e attuale alla decisione,
da valutarsi al momento della decisione, è presupposto previsto a pena di
inammissibilità di qualunque impugnazione (artt. 568 e 591 cod.proc.pen.),
concretizzandosi tale interesse in relazione alla idoneità che ha l’impugnazione
a rimuovere un pregiudizio attuale e concreto, derivante dal provvedimento di
cui si discute. Trattasi di regola valida anche nel giudizio di rinvio non
ravvisandosi ragioni per discostarsi, in tale situazione, da un principio di
ordine generale.
Le Sezioni unite di questa Corte (Cass. S.U., 16.12.2010 n. 7931/11, Testini,
rv. 249002) hanno precisato che in tema di ricorso avverso il provvedimento
applicativo di una misura cautelare custodiale nelle more revocata o divenuta
inefficace, perchè possa ritenersi comunque sussistente l’interesse del
ricorrente a coltivare l’impugnazione in riferimento a una futura utilizzazione
dell’eventuale pronunzia favorevole ai fini del riconoscimento della riparazione
per ingiusta detenzione, è necessario che la circostanza formi oggetto di
specifica e motivata deduzione, idonea a evidenziare in termini concreti il
pregiudizio che deriverebbe dal mancato conseguimento della stessa,
formulata personalmente dall’interessato. Ha osservato il predetto giudice che
“un’applicazione pressoché automatica dei principi posti dalla succitata
giurisprudenza delle Sezioni Unite sulla persistenza dell’interesse alla pronuncia
presenta il rischio di accogliere una nozione di “interesse” troppo ampia, che
finisce per presumere sempre e comunque che l’indagato agisca anche all’utile
fine di precostituirsi il titolo in funzione di una futura richiesta di un’equa
riparazione per l’ingiusta detenzione ai sensi della disposizione contenuta
nell’art. 314, comma 2, cod. proc. pen. Oltre, infatti, alla ipotesi di palese
insussistenza dell’interesse concreto ed attuale, contemplata nel comma 4 del
citato art. 314 (che esclude che la riparazione sia dovuta qualora le limitazioni
conseguenti all’applicazione della custodia cautelare siano sofferte anche in
forza di altro titolo), bisogna in generale considerare che il procedimento per la
riparazione dei danni da ingiusta detenzione non può comunque essere attivato
prima che vi sia stata una pronuncia conclusiva del procedimento principale nei

2. Risultando dunque corretta la decisione di inammissibilità del Tribunale di
Lecce, il presente ricorso deve essere rigettato e il ricorrente condannato al
pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del
procedimento.
Così deciso il 14.7.2014.

confronti dell’accusato (art. 315 cod. proc. pen.). Da tanto consegue che
l’interesse a coltivare il ricorso in materia de libertate in riferimento a una
futura utilizzazione della pronuncia in sede di riparazione per ingiusta
detenzione dovrà essere oggetto di una specifica e motivata deduzione, idonea
a evidenziare in termini concreti il pregiudizio che deriverebbe dalla omissione
della pronuncia medesima”.
Una tale deduzione è del tutto mancata nel giudizio di riesame seguito al
rinvio, pur avendo il Tribunale, secondo quanto risulta dall’ordinanza
impugnata, posto il tema della avvenuta liberazione dell’imputato chiedendo e
ottenendo conferma di ciò da parte dell’imputato presente, che però, come già
osservato dall’ordinanza predetta, non ha ritenuto di esprimere in termini
chiari il proprio interesse alla decisione.

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