Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 35984 del 15/05/2014


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 35984 Anno 2014
Presidente: ZECCA GAETANINO
Relatore: D’ISA CLAUDIO

SENTENZA
Sul ricorso proposto da:
POMETI MAURO SALVATORE

n. il 06.08.1977

avverso l’ORDINANZA n. 956/13 del Tribunale di Bari – sezione del
riesame – del 23.10.2013
Visti gli atti, l’ordinanza ed il ricorso
Udita all’udienza camerale del 15 maggio 2014 la relazione fatta dal
Consigliere dott. CLAUDIO D’ISA

Udite le richieste del Procuratore Generale nella persona del dott.
Francesco Mauro Iacoviello che ha concluso per l’inammissibilità del
ricorso.

Data Udienza: 15/05/2014

RITENUTO IN FATTO ED IN DIRITTO

.

POMETTI MAURO SALVATORE ricorre per cassazione avverso
l’ordinanza, indicata in epigrafe, con cui il Tribunale – sezione riesamedi Catanzaro ha confermato l’ordinanza di applicazione della misura
cautelare della custodia in carcere, emessa dal GIP del Tribunale di
Castrovillari il 23.10.2013, nell’ambito del procedimento penale

commi 1 e 1 bis del d.P.R.309/90, con esclusione dell’aggravante di cui
all’art. 80 comma 2 stesso d.P.R..
Relativamente alla gravità indiziaria il Tribunale esponeva che, in
data 26 luglio 2012, militari del NOR CC di Rossano fermavano e
controllavano PACE Vincenzo, rinvenendo sullo stesso una dose di grammi
0,2 di eroina, detenuta per uso personale. Il giovane, in tale occasione,
riferiva di avere comperato la sostanza stupefacente sequestrata da
POMETTI Mauro Salvatore, presso l’abitazione di quest’ultimo sita in
contrada Donnanna di Rossano, per la quantità di 0,2 grammi di eroina, per
un importo di € 20.
Riferiva, altresì, di rifornirsi da SOLFERINO Guglielmo di Rossano
Centro, dalla fine dell’estate del 2011, nonché da SCARLATO Serafino dal
dicembre 2009/gennaio 2010. Il giovane specificava di rifornirsi dai predetti
pushers, perché erano i soli che conosceva a Rossano che vendevano eroina
e di essere andato da loro la prima volta insieme a Roberto Tedesco, suo
amico poi deceduto. Chiariva la circostanza per cui egli acquistava sempre
0,2 grammi di eroina, due volte, alla settimana e che la consumava solo
quando ne sentiva il bisogno, non iniettandosela, bensì sniffandola. La
modalità di acquisto indicate dal Pace prevedevano che lui si recasse
direttamente dal pusher, evitando l’utilizzo del telefono, anche perché i tre,
per coane riferito dall’escusso, cambiavano con frequenza la loro utenza
mobile.
Ritenevano i giudici del riesame corretta la valutazione operata dal
GIP circa la correttezza della contestazione, evidenziando che le dichiarazioni
rese dal Pace, non presentando contenuti autoindizianti, non erano
qualificabili ai sensi dell’art. 192 c.p.p. e, dunque, sottratti ai criteri di
valutazione della prova – in specie di riscontri esterni individualizzanti richiesti per tali tipologie di prove.

riguardante il delitto di cui agli artt. 81 cpv. , 110 cod. pen. e 73

Con un unico motivo il ricorrente denuncia violazione di legge e vizio
di motivazione relativamente alla ritenuta sussistenza dei gravi indizi di
colpevolezza. In particolare si deduce che il quadro probatorio si basa
esclusivamente sulle dichiarazioni di Pace Vincenzo, considerate fonti
autonome di prova, ma che, invece, avrebbero necessitato, per la
sussistenza del requisito di cui all’art. 273 c.p.p., di ulteriori indizi.
Dichiarazioni queste avulse da ogni contenuto specifico ed individualizzante.
E’ pur vero che il Tribunale afferma che le dichiarazioni rese dal Pace sono

effettivamente abita in piazza Adele Russo di Rossano, luogo indicato dal
Pace. Ma tali dati sono del tutto insufficienti per ritenere l’attribuibilità del
reato al ricorrente. Il fatto che il POMETTI abita effettivamente nel luogo
indicato dal Pace non consente di ritenere raggiunto quel grado di specificità,
essendo questo un dato conoscitivo del tutto neutro. Inoltre, le dichiarazioni
rese da Caravetta Claudio –

ho sempre preso la sostanza da Pometti

Salvatore che è il giovane che avete bloccato dopo di me – sono state rese
nell’ambito di altro procedimento penale, già conclusosi con una sentenza di
condanna a carico del POMETTI.
Quanto alle ritenute esigenze cautelari, esse sono state rapportate
unicamente alla capacità criminale dell’indagato ma il GIP non ha fornito
alcuna ulteriore motivazione per quanto attiene specificamente la posizione
del POMETTI, in via del tutto apodittica la misura cautelare applicata è stata
ritenuta adeguata e proporzionata ai fatti.
(((((((((((((o)))))))))))
Il ricorso non può trovare accoglimento, laddove si risolve in una
censura sulla valutazione del quadro indiziario posto a fondamento del
provvedimento de liberiate che esula dai poteri di sindacato del giudice di
legittimità, non palesandosi il relativo apprezzamento motivazionale ne’
manifestamente illogico, ne’ viziato dalla non corretta applicazione della
normativa di settore.
In proposito, va ricordato che, secondo assunto non controverso, in
tema di misure cautelari personali, la valutazione del peso probatorio degli
indizi è compito riservato al giudice di merito e, in sede di legittimità, tale
valutazione può essere contestata unicamente sotto il profilo della
sussistenza, adeguatezza, completezza e logicità della motivazione, mentre
sono inammissibili, viceversa, le censure che, pure investendo formalmente
la motivazione, si risolvono nella prospettazione di una diversa valutazione
delle circostanze già esaminate da detto giudice (di recente, ex pluribus,

riscontrate da quelle rese da Caravetta Claudio e dal fatto che il POMETTI

Cass., Sez. 4^, 4 luglio 2003, Pilo; nonché, Sez. 4^, 21 giugno 2005,
Tavella).
Ciò che, nella specie, il ricorrente fa quando si limita a contestare “nel
merito” il quadro probatorio a carico evidenziato nell’ordinanza cautelare,
fondato sul risultato delle indagini svolte dalla P.G., con riferimento alle
dichiarazioni rese dal Pace Vincenzo. Trattasi di un elemento di indubbia
gravità, che non può essere sminuita dalla deduzione difensiva (V. parte
narrativa),secondo cui tali dichiarazioni non avrebbero trovato alcun riscontro

parte narrativa. Quanto alle dichiarazioni del Caravetta, ancorché rese in
altro procedimento in ordine ad analogo reato sempre a carico del ricorrente,
conclusosi con sentenza ex art. 444 c.p.p., ben possono essere state
utilizzate dal GIP come riscontro delle dichiarazioni del Pace come ha rilevato
il Tribunale. Sul punto questa Corte ha affermato costantemente che non vi è
preclusione ad acquisire agli atti di indagine, utilizzabili ai fini dell’emissione
di un provvedimento cautelare personale, atti provenienti da altro
procedimento (quali verbali di dichiarazioni di collaboratori di giustizia, come
risulta nella concreta fattispecie), anche in presenza di archiviazione, o
sentenza di non doversi procedere, pur in difetto di decreto di riapertura (cfr.
Cass. Pen. Sez. 5, n. 736 in data 12.02.1999, Rv. 212881, Rubino; Cass.
Pen. Sez. 1, n. 21367 in data 01.04.2003, Rv. 224519, PM./Schiavone; Cass.
Pen. Sez. 1, n. 21073 in data 19.04.2007, Rv. 236793, Irillo; ecc).
Il significato probatorio dell’elemento accusatorio in questione è stato
analizzato con attenzione ed è supportato da una motivazione ampiamente
esaustiva, specie ove si consideri che si tratta di una decisione de libertate.
Infatti, non può essere dimenticato che in tale materia la nozione di “gravi
indizi di colpevolezza” di cui all’art. 273 c.p.p. non si atteggia allo stesso
modo del termine “indizi” inteso quale elemento di prova idoneo a fondare un
motivato giudizio finale di colpevolezza, che sta ad indicare la “prova logica o
indiretta”, ossia quel fatto certo connotato da particolari caratteristiche (v.
art. 192 c.p.p., comma 2,) che consente di risalire ad un fatto incerto
attraverso massime di comune esperienza. Per l’emissione di una misura
cautelare, invece, è quindi sufficiente qualunque elemento probatorio idoneo
a fondare un giudizio di qualificata probabilità sulla responsabilità
dell’indagato in ordine ai reati addebitatigli. E ciò deve affermarsi anche dopo
le modifiche introdotte dalla L. 1 marzo 2001 n. 63: infatti, nella fase
cautelare è ancora sufficiente il requisito della sola gravità (art. 273 c.p.p.,
comma 1), giacché l’art. 273 c.p.p., al comma 1 bis (introdotto, appunto,

esterno. La lettura dell’ordinanza smentisce l’assunto come delineato nella

dalla suddetta legge) richiama espressamente i soli commi 3 e 4, ma non
dell’art. 192 c.p.p., il comma 2, che prescrive la precisione e la concordanza
accanto alla gravità degli indizi: derivandone, quindi, che gli indizi, ai fini
delle misure cautelari, non devono essere valutati secondo gli stessi criteri
richiesti per il giudizio di merito dall’art. 192 c.p.p., comma 2, e cioè con i
requisiti della gravità, della precisione e della concordanza (cfr. ancora,
Cass., Sez. 4^, 4 luglio 2003, Pilo;nonché, più di recente, Sez. 4^, 21 giugno
2005, Tavella).

decisione gravata violazioni di norme di legge e, nel merito, le
argomentazioni a supporto della ordinanza custodiale non sono sindacabili in
questa sede, a fronte della rappresentazione, non illogica, di un quadro
indiziario senz’altro grave nei termini di cui si è detto, che consente, per la
sua consistenza, di prevedere che, attraverso il prosieguo delle indagini, sarà
idoneo a dimostrare la responsabilità del prevenuto, fondando nel frattempo
una qualificata probabilità di colpevolezza (cfr. Cass., Sez. 2^, 19 gennaio
2005, Paesano).
Non miglior sorte può avere la doglianza articolata in punto di
adeguatezza della misura cautelare, avendo il tribunale ampiamente
motivato sulla pericolosità sociale dell’indagato (apprezzando la gravità del
reato, dimostrata dalla continua attività di Xpaccio), in tal modo
giustificando in modo adeguato la scelta della misura cautelare carceraria.
Anche con questa doglianza, il ricorrente vorrebbe, inammissibilmente, che questa Corte esercitasse un controllo di merito, attraverso
una non consentita rilettura della vicenda e una parimenti non consentita
rinnovazione del giudizio di adeguatezza e proporzionalità, effettuato dal
giudicante in modo rispettoso del disposto normativo (art. 275 c.p.p., commi
2 e 3).
Mentre, parimenti in modo corretto ed adeguato il giudicante ha
motivato sulla ritenuta sussistenza dell’esigenza cautelare del pericolo di
recidiva.
Come è noto, in tema di esigenza cautelare costituita dal pericolo di
reiterazione di reati della stessa indole, prevista dall’art. 274 c.p.p., lett. c),
la pericolosità sociale dell’indagato deve risultare congiuntamente dalle
specifiche modalità e circostanze del fatto e dalla sua pericolosità. Peraltro,
nulla impedisce di attribuire alle medesime modalità e circostanze di fatto
una duplice valenza, sia sotto il profilo della valutazione della gravità del
fatto, sia sotto il profilo dell’apprezzamento della capacità a delinquere: in

La censura non coglie, quindi, nel segno: non emergono nella

vero, le specifiche modalità e circostanze del fatto ben possono essere prese
in considerazione anche per il giudizio sulla pericolosità dell’indagato,
costituendo la condotta tenuta in occasione del reato un elemento specifico
assai significativo per valutare la personalità dell’agente (ex pluribus, Cass.,
Sez. 1^, 14 maggio 2003, Franchi; più di recente, Cass., Sez. 2^, 22 giugno
2005, Pezzano).
Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso consegue la condanna
del ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al pagamento della

P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di € 1000,00 in favore della cassa delle
ammende.
Così deciso in Roma alla pubblica udienza del 15 maggio 2014.

somma di € mille in favore della cassa delle ammende..

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