Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 35980 del 13/05/2014


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 35980 Anno 2014
Presidente: ZECCA GAETANINO
Relatore: D’ISA CLAUDIO

SENTENZA
Sul ricorso proposto da:
idei ANTONIO

n. il 20.05.1976

avverso l’ordinanza n. 37/2014 del Tribunale di Taranto – sezione del
riesame -dell’11.02.2014
Visti gli atti, l’ordinanza ed il ricorso
Udita all’udienza camerale del 13 maggio 2014 la relazione fatta dal
Consigliere dott. CLAUDIO D’ISA
Udite le richieste del Procuratore Generale nella persona del dott.
Mario Fraticelli che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.

Data Udienza: 13/05/2014

RITENUTO IN FATTO ED IN DIRITTO
BUCCI ANTONIO ricorre per cassazione avverso l’ordinanza,
indicata in epigrafe, con cui il Tribunale di Taranto – sezione riesameha confermato la misura cautelare della custodie in carcere emessa nei
suoi confronti dal GIP del medesimo Tribunale in data 3.02.2014 in
relazione ai reati di cui agli artt. 73 d.P.R. 309/90, 648 cod. pen. e 23
L. 110/1975.
In fatto l’ordinanza espone: Il presente procedimento trae origine

di militari del locale comando Provinciale dei Carabinieri, che, nell’ambito
di una operazione finalizzata al contrasto ed alla repressione del traffico di
sostanze stupefacenti, per appurare la veridicità di una notitia criminis
appresa da fonte confidenziale, effettuavano un servizio di osservazione e
controllo, nei pressi del garage ove il BUCCI prestava attività lavorativa.
In tale contesto, intorno alle ore 16.20 del predetto 31 gennaio
2014 i militari accedevano all’interno dell’autorimessa, trovandovi il
gestore dell’attività, Schina Ignazio, al quale veniva rappresentato il
motivo della loro presenza, procedevano, quindi, a perquisizione che dava
esito positivo, dal momento che all’interno di un doppio muro in
cartongesso, posto su una colonna, vi era una griglia di plastica, dietro la
quale era stato occultato, in un sottofondo, un marsupio di colore nero
contenente una pistola protetta da nastro adesivo di colore nero, calibro
45, con matricola abrasa e n. 10 proiettili; all’interno della stessa cavità
venivano altresì rinvenuti n. 30 panetti di sostanza stupefacente del tipo
Hashish (del peso di circa 3 k); a seguito di ulteriore attività ispettiva
veniva rinvenuto un boccaccio di vetro, con all’interno n. 12 di pezzi di
cocaina (del peso complessivo di gr. 7,7) e un pezzo unico della
medesima sostanza, di peso pari a circa 10 grammi.
Durante tali operazioni i carabinieri chiedevano allo Schina di
contattare telefonicamente il BUCCI per farlo venire con un pretesto
presso il garage, ma l’odierno ricorrente, pur rispondendo a tre chiamate
(tra le ore 17.16 e le ore 17.53), sino alle ore 18.30 non si presentava sul
posto di lavoro; peraltro nel medesimo frangente i militari notavano
all’esterno del garage un viavai di giovani, conosciuti come
tossicodipendenti.
Essendo comunque venuti a sapere, sulla base delle risposte date
durante le conversazioni telefoniche con lo Schina, che il BUCCI si trovava
presso la propria abitazione (situata a circa 300 metri dal garage), i

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dall’arresto di BUCCI Antonio avvenuto in Taranto il 31.01.2014, ad opera

carabinieri decidevano di raggiungerlo in loco, ma durante il tragitto uno
di essi scendeva dalla vettura di servizio, ritornando nell’autorimessa e
potendo quindi cogliere l’odierno indagato mentre si stava furtivamente
portando all’interno del locale; costui, ignaro di essere sotto osservazione,
raggiungeva il summenzionato muretto in cartongesso, toglieva la griglia
e cercava di recuperare gli oggetti ivi celati; vistosi però scoperto dal
militare, cercava di guadagnare la fuga ma veniva prontamente fermato
dagli operanti.

venivano posti sotto sequestro. In sede di sommarie informazioni lo
Schina riferiva che spesso alcuni giovani si recavano nel garage per
parlare con il BUCCI, aggiungendo che all’interno dell’autorimessa non era
consentito ad alcuno di sostare (oltre allo stesso BUCCI) ed anche i clienti
dovevano lasciare il proprio veicolo – in moto – all’ingresso, venendo poi
parcheggiato dallo stesso Schina ovvero dal BUCCI; inoltre il luogo di
rinvenimento della sostanza era una colonna davanti alla quale si era
obbligati a passare per recarsi nei bagni del garage, ma l’accesso a tali
servizi era consentito solo allo Schina ed al suo dipendente, da tali
dichiarazioni si desumeva che solo chi lavorava quotidianamente nel
garage avrebbe potuto occultare la droga e la sostanza nel luogo ove poi
esse sono state rinvenute.
In sede di udienza di convalida il BUCCI ha negato ogni addebito,
dichiarando di non sapere nulla della droga e dell’arma rinvenuta nel
garage e contestando la ricostruzione dei fatti operata dalla FG, riferendo
che in realtà era stato il carabiniere, dopo che egli era tornato presso il
garage, a condurlo presso la cavità celata nel muro in cartongesso,
aggiungendo inoltre che all’inizio aveva tenuto che fosse in corso un
controllo -da parte dell’ispettorato del lavoro e, per tale motivo (lavorando
“in nero”), non si era presentato nell’autorimessa, nonostante fosse stato
chiamato dal datore di lavoro. Ha altresì dichiarato che i giovani che si
recavano a fargli visita ogni tanto erano suoi amici, con i quali
condivideva la passione per il “fantacalcio” (analoghe dichiarazioni sono
state rese dal BUCCI durante l’udienza camerale presso il tribunale del
riesame).
Con un unico motivo il ricorrente denuncia vizio di motivazione. Si
assume che i Giudici del riesame hanno basato la loro decisione
solamente sulle dichiarazioni dello Schina e sulle presunzioni e deduzioni
delleFF.00. che non trovano nessun riscontro oggettivo, senza tener in

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BUCCI Antonio veniva quindi arrestato e gli oggetti sopra indicati

alcun conto la versione difensiva offerta dall’indagato. Si evidenzia che in
motivazione si legge che la versione dei fatti fornita dal BUCCI “è apparsa
del tutto assertiva e sprovvista del ben che minimo supporto probatorio”
senza che siano indicati gli elementi che giustifichino questa affermazione,
come pure fideisticamente si accetta la versione dei carabinieri ritenuta
logica e coerente perché non si ravvisano ragioni che possano averli
indotti a calunniare il BUCCI.
Inoltre non risulta affatto provato che la droga rinvenuta fosse

sembra essere stato provato posto che nel provvedimento di rigetto si fa
riferimento, in modo del tutto generico alle circostanze di tempo e di
luogo, senza specificarle ed al dato quantitativo che da solo non è
sufficiente a provare la destinazione a fine di spaccio.
Il ricorso non può trovare accoglimento, laddove si risolve in una
censura sulla valutazione del quadro indiziario posto a fondamento del
provvedimento de liberiate che esula dai poteri di sindacato del giudice di
legittimità, non palesandosi il relativo apprezzamento motivazionale ne’
manifestamente illogico, ne’ viziato dalla non corretta applicazione della
normativa di settore.
In proposito, va ricordato che, secondo assunto non controverso,
in tema di misure cautelari personali, la valutazione del peso probatorio
degli indizi è compito riservato al giudice di merito e, in sede di
legittimità, tale valutazione può essere contestata unicamente sotto il
profilo della sussistenza, adeguatezza, completezza e logicità della
motivazione, mentre sono inammissibili, viceversa, le censure che, pure
investendo formalmente la motivazione, si risolvono nella prospettazione
di una diversa valutazione delle circostanze già esaminate da detto
giudice (di recente, ex pluribus, Cass., Sez. 4^, 4 luglio 2003, Pilo;
nonché, Sez. 4^, 21 giugno 2005, Tavella).
Ciò che, nella specie, il ricorrente fa quando si limita a contestare
“nel merito” il quadro probatorio a carico evidenziato nell’ordinanza
cautelare, fondato sul risultato delle indagini svolte dalla P.G. come ben
delineate nella parte narrativa, con riferimento alla circostanza che il
BUCCI venne seguito e sorpreso da un carabiniere recarsi in garage e
controllare proprio quel muretto in cartongesso ove, all’interno di una
cavità, era stata rinvenuta la sostanza stupefacene e l’arma. Trattasi si un
elemento di indubbia gravità, che non può essere sminuita dalla

destinata allo spaccio, prova che gravava sull’accusa. Tutto questo non

deduzione difensiva (V. parte narrativa), del tutto generica e, quindi, poco
credibile.
Il significato probatorio dell’elemento accusatorio in questione è
stato analizzato con attenzione ed è supportato da una motivazione
ampiamente esaustiva, specie ove si consideri che si tratta di una
decisione de libertate. Infatti, non può essere dimenticato che in tale
materia, la nozione di “gravi indizi di colpevolezza” di cui all’art. 273
c.p.p. non si atteggia allo stesso modo del termine “indizi” inteso quale

colpevolezza, che sta ad indicare la “prova logica o indiretta”, ossia quel
fatto certo connotato da particolari caratteristiche (v. art. 192 c.p.p.,
comma 2,) che consente di risalire ad un fatto incerto attraverso massime
di comune esperienza. Per l’emissione di una misura cautelare, invece, è
sufficiente qualunque elemento probatorio idoneo a fondare un
giudizio di qualificata probabilità sulla responsabilità dell’indagato in
ordine ai reati addebitatigli. E ciò deve affermarsi anche dopo le modifiche
introdotte dalla L. 1 marzo 2001 n. 63: infatti, nella fase cautelare è
ancora sufficiente il requisito della sola gravità (art. 273 c.p.p., comma
1), giacché l’art. 273 c.p.p., al comma 1 bis (introdotto, appunto, dalla
suddetta legge) richiama espressamente i soli commi 3 e 4, ma non
dell’art. 192 c.p.p., il comma 2, che prescrive la precisione e la
concordanza accanto alla gravità degli indizi: derivandone, quindi, che gli
indizi, ai fini delle misure cautelari, non devono essere valutati secondo gli
stessi criteri richiesti per il giudizio di merito dall’art. 192 c.p.p., comma
2, e cioè con i requisiti della gravità, della precisione e della concordanza
(cfr. ancora, Cass., Sez. 4^, 4 luglio 2003, Pilo;nonché, più di recente,
Sez. 4^, 21 giugno 2005, Tavella).
La censura non coglie, quindi, nel segno: non emergono nella
decisione gravata violazioni di norme di legge e, nel merito, le
argomentazioni a supporto della ordinanza custodiale non sono sindacabili
in questa sede, a fronte della rappresentazione, non illogica, di un quadro
indiziario senz’altro grave nei termini di cui si è detto, che consente, per
la sua consistenza, di prevedere che, attraverso il prosieguo delle
indagini, sarà idoneo a dimostrare la responsabilità del prevenuto,
fondando nel frattempo una qualificata probabilità di colpevolezza (cfr.
Cass., Sez. 2^, 19 gennaio 2005, Paesano).
In questa prospettiva, la doglianza sollevata dalla difesa è
inaccoglibile, invocandosi qui un controllo censorio sull’apprezzamento del

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elemento di prova idoneo a fondare un motivato giudizio finale di

quadro probatorio non esercitabile a fronte di una motivazione che non si
appalesa ictu ocu/i illogica. Nella specie, non è dubitabile che il giudice del
riesame, confermando l’ordinanza cautelare, ha evidenziato in maniera
non illogica gli elementi posti a sostegno della gravità del quadro
indiziario, non potendo negarsi tale valenza come già evidenziato.
Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle
spese processuali.
P.Q.M.

processuali.
La Corte dispone inoltre che copia del presente provvedimento sia
trasmesso al direttore dell’istituto penitenziario competente perché provveda a
quanto stabilito dall’art. 94 co. 1 ter disp. att. c.p.p..
Così deciso in Roma alla udienza del 13 maggio 2014..

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese

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