Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 35977 del 17/04/2014


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 35977 Anno 2014
Presidente: ZECCA GAETANINO
Relatore: CIAMPI FRANCESCO MARIA

SENTENZA
sul ricorso proposto da :
MINISTERO DELLA ECONOMIA E DELLE FINANZE
Nei confronti di:
BALKOCI LUBOMIR
avverso la ordinanza della CORTE D’APPELLO DI TRENTO in data 05.07.2013
sentita la relazione fatta dal Consi g liere dott. FRANCESCO MARIA CIAMPI, udite le
conclusioni del PG in persona del dott. Lui g i Riello che ha chiesto l’annullamento con rinvio
della impu g nata ordinanza

1.

RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza in data 5 lu g lio 2013 la Corte d’Appello di Trento , in acco g limento
dell’istanza di riparazione per in g iusta detenzione proposta nell’interesse di Lubomir
Balkoci, asseg nando allo stesso la somma di C 62.725,00.
Emerg e dag li atti che il Lubomir fu arrestato in fla g ranza di reato il 22 dicembre 2006
dai C.C. di Rovereto per resistenza a pubblico ufficiale, danne gg iamento, molestia e
disturbo alle persone per condotte tenute all’interno del ristorante pizzeria Tre Pini e poi
nei confronti dei militari intervenuti sul luo g o e che venne scarcerato il g iorno
successivo dal PM, trattandosi di reati per i q uali era previsto l’arresto facoltativo in
fla g ranza e per cui era prevedibile, trattandosi di incensurato, l’applicazione di una pena
per la q uale sarebbe stata concedibile la sospensione condizionale. Con sentenza in
data 6 marzo 2008 il Tribunale di Rovereto condannò il Lubomir, in contumacia, alla
pena diXanni uno e mesi sei di reclusione e mesi q uattro di arresto, per i reati di cui
ag li artt. 660, 110,81, 337, 635 comma 2, n.1 e 3 in relazione all’art. 625 n. 7 c.p.,
senza sospensione condizionale della pena e la sentenza divenne definitiva, in q uanto
non impu g nata in data 29 ma gg io 2008. In data 22 settembre 2008 il Procuratore della
Repubblica di Rovereto emise ordine di carcerazione ese g uito il data 17 settembre
2009, con arresto e traduzione del condannato presso la casa circondariale di Forlì. In
data 23 nove re 2009 il Lubonnir ebbe a presentare incidente di esecuzione,

Data Udienza: 17/04/2014

3.

4.
5.

2.

lamentando la invalidità del titolo esecutivo e chiedendo la remissione in termini per
impugnare la sentenza; in data 22 dicembre 2009 propose comunque impugnazione
innanzi alla Corte d’Appello di Trento. Con provvedimento del 29 dicembre 2009 il GE di
Rovereto ritenne la validità del titolo esecutivo, omettendo di provvedere sulla istanza
di rimessione in termini; con ordinanza 16 aprile 2010 la Corte d’appello di Trento,
investita dell’appello; rimise gli atti al Tribunale ritenendo pregiudiziale rispetto
all’esame della impugnazione la decisione sulla rimessione in termini. Con ordinanza in
data 4 giugno 2010 il GE di Rovereto respinse l’istanza ritenendo la validità dell’elezione
di domicilio all’atto della scarcerazione dopo l’arresto e la conseguente validità delle
successive notificazioni. Con sentenza di questa Corte del 7 aprile 2011 vennero
annullati i provvedimenti del GE di Rovereto e quest’ultimo con ordinanza del 24 ottobre
2011 rimise il Lubomir in termini per l’impugnazione. Con sentenza n. 348 del 2011,
divenuta irrevocabile, la Corte d’Appello di Trento assolse il Lubomir dal reato di
danneggiamento per non aver commesso il fatto, riducendo la pena per il reato di cui
alll’art. 660 c.p. a due mesi di arresto e concedendo la sospensione condizionale. Nelle
more il Lubomir aveva espiato interamente la pena inflitta in primo grado con 238
giorni di detenzione nella casa circondariale di Forlì e di Lecce e 176 di detenzione
domiciliare con autorizzazione al lavoro e 134 giorni di affidamento in prova al servziioe
sociale.
Con il provvedimento impugnato la Corte territoriale ha liquidato la suindicata somma a
titolo di riparazione per ingia detensione a decorrere dal 29 dicembre 2009 ossia dal
giorno in cui è stata implicitiinte respinta, con una omissione di pronuncia, l’istanza di
essere rimesso in termini per l’impugnazione”, sul presupposto che essa ove accolta,
avrebbe determinato la scarcerazione”, in relazione alla sopravvenuta sentenza parziale
di assoluzione ed alla concessione della sospensione condizionale della pena.
Avverso tale decisione propone ricorso in cassazione il Ministero dell’Economia e Finanze
deducendo la inosservanza, violazione e falsa applicazione degli artt. 125, 314 e ss.,
643, 273, 275 e 280 c,p.p. ; la mancanza ovvero mera apparenza della motivazione
con riferimento ai presupposti per l’applicabilità dell’istituto nel caso di specie.
Il Lubomir ha presentato memoria difensiva chiedendo il rigetto del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è fondato nei limiti di cui appresso. Il problema che si pone nel presente
giudizio è dato dalla difficoltà di inquadrare la fattispecie in esame nella disciplina
normativa prevista dall’art. 314 c.p.p., che al comma 1 si riferisce esclusivamente alle
ipotesi di proscioglimento mentre il citato art. 314 c.p.p., comma 2 – nella parte relativa
anche al condannato – riguarda esclusivamente le ipotesi in cui la custodia cautelare sia
stata applicata senza che sussistessero le condizioni previste dagli artt. 273 e 280
c.p.p.. A riguardo le sezioni unite di questa Corte, con ordinanza 19 luglio 2006, hanno
sollevato la questione di legittimità costituzionale dell’art. 314 c.p.p., nella parte in cui
preclude il riconoscimento dell’indennizzo possibilità di indennizzare la detenzione subita
dalla persona che, sottoposta a custodia cautelare per più ipotesi di reato, venga poi
definitivamente assolta da alcuni di essi e condannata ad una pena inferiore alla
custodia cautelare subita. Ma l’ipotesi può riguardare anche il caso di custodia cautelare
per un unico reato per il quale intervenga condanna a pena inferiore alla custodia
cautelare subita e anche tutti quei casi nei quali, pur in presenza di cause preclusive
della riparazione (per es. la prescrizione del reato o la sua depenalizzazione) sia in
concreto accertato che, se anche fosse intervenuta condanna, questa non poteva che
essere di durata inferiore alla custodia cautelare subita.
La Corte costituzionale, con sentenza 11 giugno 2008 n. 219, ha risolto positivamente
l’incidente di costituzionalità dichiarando l’illegittimità costituzionale dell’art. 314 c.p.p.
“nella parte in cui, nell’ipotesi di detenzione cautelare sofferta, condiziona in ogni caso il
diritto all’equa riparazione al proscioglimento nel merito delle imputazioni secondo
quanto precisato in motivazione”. Il giudice delle leggi ha ritenuto che non fosse
possibile dare un’interpretazione “costituzionalmente orientata” della norma citata ma
rifacendosi alla sua precedente giurisprudenza – ed in particolare alle decisioni che
avevano riaffermato la natura “servente” della custodia cautelare rispetto al
perseguimento delle finalità del processo e alla necessità di bilanciare gli interessi in
gioco (esigenze di tutela della collettività e temporaneo sacrificio della libertà personale

per chi non sia stato ancora definitivamente giudicato colpevole) – ha affermato che ove
“la custodia cautelare abbia ecceduto la pena successivamente irrogata in via definitiva
è di immediata evidenza che l’ordinamento, al fine di perseguire le predette finalità, ha
imposto al reo un sacrificio direttamente incidente sulla libertà che, per quanto
giustificato alla luce delle prime, ne travalica il grado di responsabilità personale”.
Ha quindi concluso che “solo in apparenza la posizione di chi sia stato prosciolto nel
merito dell’imputazione penale si distingue da quella di chi sia stato invece condannato
(quanto, ovviamente, al solo giudizio circa l’ingiustizia della custodia cautelare che
soverchi la pena inflitta)” perché in entrambi i casi “l’imputato ha subito una restrizione
del proprio diritto inviolabile. In entrambi i casi, pertanto, ricorre l’obbligo di
indennizzare il pregiudizio”. Con la conseguente dichiarazione di incostituzionalità
dell’art. 314 c.p.p., per violazione del principio di uguaglianza disciplinato dall’art. 3
Cost.
Il caso oggetto del presente procedimento rientra appieno nella fattispecie esaminata
dal giudice delle leggi. Con la conseguenza, venuto meno il vincolo della necessità di
una sentenza di proscioglimento secondo i principi enunciati dalla Corte costituzionale,
che la custodia cautelare sofferta oltre il limite della condanna è astrattamente
indennizzabile ove il giudice ne accerti l’esistenza e i presupposti e sempreché non
esistano cause ostative.
In particolare va infatti evidenziato che l’avvicinamento fra le ipotesi di cui all’art. 314
c. p. p., commi 1 e 2, sotto il profilo della possibile comune derivazione della
“ingiustizia” della misura da elementi emersi successivamente al momento della sua
applicazione; e che l’elemento della accertata ‘ingiustizia’ della custodia patita, che
caratterizza entrambe le ipotesi del diritto alla equa riparazione (diverse solo per le
ragioni che integrano l’ingiustizia stessa) ne disvela il comune fondamento e ne impone
una comune disciplina quanto alle condizioni che ne legittimano il riconoscimento. Tale
ricostruzione, conforme alla logica del principio solidaristico, implica in definitiva
l’oggettiva ‘inerenza’ al diritto in questione, in ogni sua estrinsecazione “del limite della
non interferenza causale della condotta del soggetto passivo della custodia” (Cass. Sez.
Un., Sentenza n 32383 del 27.05.2010, Rv. 247663). Le Sezioni unite, nella sentenza
ora richiamata, hanno pure evidenziato che risulta legittima una disciplina normativa
che preveda l’esclusione dal beneficio in esame di chi, avendo contribuito con la sua
condotta a causare la restrizione, non possa esserne considerato propriamente
“vittima”; e che risulta perciò infondata la tesi che considera normativamente
inapplicabile all’ipotesi di cui all’art. 314 cod. proc. pen., comma 2 la condizione
ostativa della causa sinergica discendente dal comportamento doloso o colposo del
richiedente. Le Sezioni Unite hanno conclusivamente affermato il seguente principio di
diritto: “La circostanza dell’avere dato o concorso a dare causa alla misura custodiale
per dolo o colpa grave opera quale condizione ostativa al riconoscimento del diritto
all’equa riparazione per ingiusta detenzione anche nella ipotesi, prevista dall’art. 314
c.p.p., comma 2, di riparazione per sottoposizione a custodia cautelare in assenza delle
condizioni di applicabilità di cui agli artt. 273 e 280 c.p.p.; tale operatività non può
peraltro concretamente esplicarsi, in forza del meccanismo ‘causale’ che governa la
condizione stessa, nei casi in cui l’accertamento dell’ insussistenza ab origine delle
condizioni di applicabilità della misura custodiale avvenga sulla base degli stessi precisi
elementi che aveva a disposizione il giudice del provvedimento della cautela, e in
ragione esclusivamente di una loro diversa valutazione” (Cass. Sez. Un., Sentenza n
32383, cit.).
Orbene, deve ritenersi che il sistema della riparazione, come delineato dalla Corte
regolatrice, risulti permeato dal principio solidaristico, in forza del quale il diritto alla
riparazione, in ogni sua estrinsecazione, inerisce oggettivamente al limite della non
interferenza causale della condotta del soggetto passivo della custodia. Ed invero la
Suprema Corte, già con sentenza n. 6628 del 2009, espressamente richiamata dalle
Sezioni Unite nella decisione sopra ricordata, ha considerato che il principio solidaristico
sotteso all’istituto della riparazione per ingiusta detenzione, “trova … il suo naturale
contemperamento nel dovere di responsabilità che incombe in capo a tutti i consociati, i
quali evidentemente non possono invocare benefici tesi a ristorare pregiudizi da essi
stessi colposamente o dolosamente cagionati”. Deve, conseguentemente, ritenersi che,

P.Q.M.
Annulla la impugnata ordinanza con rinvio alla Corte d’appello di Trento per nuovo
esame,
Così deciso nella camera di consiglio del 17 aprile 2014
IL CONSIGLIERE ESTENSORE

IL PRESIDENTE

per effetto della pronuncia additiva della Corte Costituzionale n. 219/2008, il limite della
non interferenza causale della condotta posta in essere dal richiedente operi anche nelle
ipotesi di riparazione per ingiusta detenzione che concernono il soggetto condannato,
sottoposto a regime cautelare carcerario per un periodo più lungo rispetto alla pena
detentiva inflittagli.
Nella specie su siffatto profilo- come giustamente osservato dal PG nella sua requisitoria
scritta, non è stata effettuata alcuna valutazione da parte della Corte territoriale.
6. Si impone, pertanto, l’annullamento dell’ordinanza impugnata, con rinvio per nuovo
esame alla Corte di Appello di Trento.
Il giudice di merito dovrà quindi esaminare la domanda di riparazione, considerando
anche quanto sottolineato dalla Corte costituzionale che ha evidenziato come, nella
determinazione del quantum, il giudice della riparazione dovrà tener conto della
peculiarità di ogni caso ed in particolare della circostanza che “il grado di sofferenza cui
è esposto chi, innocente, subisca la detenzione sia in linea di principio amplificato
rispetto alla condizione di chi, colpevole, sia ristretto per un periodo eccessivo rispetto
alla pena”.

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