Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 35969 del 04/07/2014


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 35969 Anno 2014
Presidente: ZECCA GAETANINO
Relatore: MONTAGNI ANDREA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
CICCONI MARCELLO N. IL 04/05/1974
avverso la sentenza n. 4141/2012 CORTE APPELLO di MILANO, del
27/11/2012
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 04/07/2014 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. ANDREA MONTAGNI
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Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. l’t el”P
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che ha concluso per

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Udito, per>parte civile, l’Avv
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Data Udienza: 04/07/2014

Ritenuto in fatto
1. Cicconi Marcello, a ministero dell’avv. Ronco, ha proposto ricorso per
cassazione avverso la sentenza della Corte di Appello di Milano del 27.11.2012, con
la quale è stata confermata la sentenza di condanna emessa dal G.i.p. presso il
Tribunale di Como in data 11.04.2012. Al prevenuto si contesta il reato di cui agli
artt. 73, 80, comma 1, lett. d), d.P.R. n. 309/1990, la violazione della disciplina in
materia di armi, il delitto di ricettazione e altro, con recidiva reiterata, specifica ed
i nfraq ui nq uen na le.

La parte, con unico motivo, deduce violazione di legge e vizio di
motivazione, in riferimento al complessivo trattamento sanzionatorio. L’esponente
denuncia la violazione del principio del ne bis in idem sostanziale, che vieta al
giudice di imputare più volte al reo il medesimo elemento di disvalore. Osserva che
la pena inflitta, pari ad anni 21 ed un mese di reclusione ed € 65.100,00 di multa,
ridotta di un terzo per la diminuente di rito, risulta sproporzionata rispetto alla
effettiva gravità del fatto commesso. La condizione di latitanza, il possesso di armi,
i precedenti penali a carico, secondo il ricorrente, oltre a fondare il giudizio di
pericolosità sociale per l’applicazione della recidiva, sono i medesimi elementi sulla
base dei quali è stata elevata l’entità della pena base e determinato l’aumento ex
art. 63, comma 4, cod. pen. e l’ulteriore aumento per la recidiva.
1.1 L’imputato, con ulteriore ricorso a firma dell’avvocato Ligotti, ha
denunciato la violazione di legge ed il vizio di motivazione, risultante dal testo del
provvedimento impugnato.
La parte evidenzia che nei motivi di appello era stato denunciato il fatto che
il primo giudice avesse ritenuto sussistente l’ipotesi di cui all’art. 99 comma 5, cod.
pen.; e rileva che l’aumento di pena, nella misura di due terzi, deve ritenersi
riferibile al reato più grave relativo alla detenzione di armi, ipotesi richiamata
nell’art. 99 comma 5 cod. pen. Sul punto, l’esponente osserva che la risposta
offerta dalla Corte territoriale risulta incongrua, giacché il Collegio, pur avendo
osservato che nel caso si versa in ipotesi di recidiva facoltativa, ha richiamato il
calcolo operato dal primo giudice, il quale aveva operato l’aumento di pena rispetto
alla diversa ipotesi di recidiva obbligatoria. Il ricorrente si duole poi della
determinazione della pena relativa al reato di cui al capo A); e rileva che la Corte di
Appello, nel confermare il calcolo della pena operato ai sensi dell’art. 63, comma 4,
cod. pen., ha omesso di effettuare una autonoma valutazione al riguardo.
L’esponente contesta poi l’individuazione del reato di cui al capo A), relativo
alla violazione dell’art. 73 d.P.R. n. 309/1990, come reato più grave; ed altresì la
valutazione effettuata dai giudici di merito, rispetto alla individuazione della
circostanza aggravante più grave, tra quelle contestate, osservando che la Corte di
Appello ha confermato la statuizione del primo giudice, che aveva fatto riferimento
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alla recidiva ex art. 99 comma 5, cod. pen. Infine, la parte rileva che erroneamente
la Corte distrettuale ha ritenuto che l’appellante non avesse richiesto l’esclusione
della recidiva ex art. 99, comma 4, cod. pen.
1.2 II ricorrente, a mezzo dell’Avv. Ronco, ha depositato motivi nuovi. La
parte denuncia la violazione di legge, osservando che la Corte distrettuale
erroneamente ha affermato che il deducente, con l’atto di appello, non avesse
contestato i presupposti di applicabilità della recidiva facoltativa. Sotto altro
aspetto, il ricorrente denuncia il vizio motivazionale, in relazione alla

determinazione del trattamento sanzionatorio.
Considerato in diritto
2. I ricorsi originari in oggetto, che si esaminano congiuntamente ai proposti
motivi nuovi, impongono le considerazioni che seguono.
2.1 Occorre in primo luogo considerare che del tutto legittimamente la Corte
di Appello ha evidenziato che il gravame non investiva la questione della esclusione
della recidiva facoltativa, ma, unicamente, i criteri con i quali il primo giudice aveva
proceduto alla determinazione del trattamento sanzionatorio. L’atto di
impugnazione, al quale la Suprema Corte accede direttamente a fronte della natura
del rilievo all’esame, contiene infatti articolate doglianze che involgono:
l’individuazione della più grave circostanza tra quelle contestate; e la questione
relativa all’applicazione della disciplina dettata dall’art. 63 coma 4, cod. pen. Di
converso, all’atto di appello non risulta affidata alcuna censura attinente al diverso
tema, relativo alla possibile esclusione della contestata recidiva, ex art. 99, comma
4, cod. pen., da parte del giudice di merito. E’ poi appena il caso di osservare che
la Corte di Appello ha comunque evidenziato che nel caso in esame sussistevano i
presupposti per l’applicazione della recidiva facoltativa, atteso che il nuovo fatto di
reato era espressione di accentuata e notevolissima pericolosità sociale del
prevenuto, venendo pure in rilievo la violazione della disciplina in materia di armi.
2.2 Tanto premesso, giova allora richiamare i principi di diritto affermati
dalla Corte regolatrice, in tema di concorso di circostanze aggravanti. E bene, deve
osservarsi, ai fini di interesse in questa sede, che la Corte regolatrice, a Sezioni
Unite, ha chiarito che la recidiva è circostanza aggravante ad effetto speciale
quando comporta un aumento di pena superiore a un terzo; e che, pertanto,
soggiace, in caso di concorso con circostanze aggravanti dello stesso tipo, alla
regola dell’applicazione della pena prevista per la circostanza più grave. Sul punto,
le Sezioni Unite hanno precisato che è circostanza più grave quella connotata dalla
pena più alta nel massimo edittale e, a parità di massimo, quella con la pena più
elevata nel minimo edittale, con l’ulteriore specificazione che l’aumento da irrogare
in concreto non può in ogni caso essere inferiore alla previsione del più alto minimo
edittale per il caso in cui concorrano circostanze, delle quali l’una determini una
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pena più severa nel massimo e l’altra più severa nel minimo (Cass. Sez., U
Sentenza n. 20798 del 24/02/2011, dep. 24/05/2011, Rv. 249664).
Si osserva, inoltre, che le Sezioni Unite hanno da ultimo ribadito che in
tema di reato continuato, la violazione più grave va individuata in astratto in base
alla pena edittale prevista per il reato ritenuto dal giudice in rapporto alle singole
circostanze in cui la fattispecie si è manifestata e all’eventuale giudizio di
comparazione fra di esse (Cass. Sez. U, Sentenza n. 25939 del 28/02/2013,
dep. 13/06/2013, Rv. 255347; in argomento, si veda anche Cass. Sez. U,

Sentenza n. 748 del 12/10/1993, dep. 25/01/1994, Rv. 195805).
2.3 E bene: nel caso di specie i giudici di merito si sono puntualmente
attenuti ai richiamati principi di diritto. In particolare, deve osservarsi: che
correttamente il reato più grave è stato individuato nel delitto di cui al capo A), ex
art. 73, d.P.R. n. 309/1990, in riferimento alla detenzione di sostanza stupefacente
del tipo cocaina ed hashish; e che del pari legittimamente è stata ritenuta più
grave la circostanza aggravante di cui all’art. 99, comma 4, cod. pen., rispetto a
quella di cui all’art. 80, comma 1, lett. d), d.P.R. n. 309/1990, pure contestata, in
considerazione dell’aumento di pena di due terzi non riducibile, previsto per la
recidiva ex art. 99 comma 4, cod. pen., sussistendo nel caso l’ipotesi di cui al II
comma della disposizione da ultimo citata. Deve poi osservarsi che il Tribunale,
come conferentemente rilevato dalla Corte di Appello, ha fatto riferimento
all’ipotesi di cui all’art. 99 comma V, cod. pen., soltanto rispetto alla violazione
della disciplina in materia di armi (rientrante tra i delitti indicati dall’art. 407,
comma 2, lett. a, cod. proc. pen.) e non con riguardo alla violazione del testo unico
sugli stupefacenti, di cui al capo A); e che proprio rispetto all’art. 23, legge n.
110/75 è stato applicato un aumento di pena in continuazione, su quella stabilita
per il reato più grave.
Preme poi evidenziare che le determinazioni relative sia alla pena base per il
reato più grave sia all’entità degli ulteriori aumenti per i reati satellite risultano
conferentemente motivate dai giudici di merito, di talché il relativo apprezzamento
si sottrae al sindacato di legittimità. E’ appena il caso di considerare che in tema di
valutazione dei vari elementi per la concessione delle attenuanti generiche, ovvero
in ordine al giudizio di comparazione e per quanto riguarda la dosimetria della pena
ed i limiti del sindacato di legittimità su detti punti, la giurisprudenza di questa
Suprema Corte non solo ammette la c.d. motivazione implicita (Cass. sez. VI 22
settembre 2003 n. 36382 n. 227142) o con formule sintetiche (tipo “si ritiene
congrua” vedi Cass. sez. VI 4 agosto 1998 n. 9120 Rv. 211583), ma afferma anche
che le statuizioni relative al giudizio di comparazione tra circostanze aggravanti ed
attenuanti, effettuato in riferimento ai criteri di cui all’art. 133 cod. pen., sono
censurabili in cassazione solo quando siano frutto di mero arbitrio o ragionamento
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illogico (Cass. sez. III 16 giugno 2004 n. 26908, Rv. 229298). Si tratta di
evenienza che certamente non sussiste nel caso di specie. La Corte di Appello,
infatti, ha considerato che la pena complessivamente applicata risultava adeguata
alla entità e molteplicità dei fatti di reato posti in essere dall’imputato ed
all’evidenziato grado di pericolosità sociale nonché all’indole criminale dello stesso
prevenuto, il quale più volte si è dedicato a condotte criminose, poste in essere
anche durante la latitanza e con la diretta disponibilità di armi, così da

3. Tanto chiarito, si osserva per completezza argomentativa che l’entità
delle pena relativa al più grave reato di cui al capo A), risulta legittima, anche in
considerazione delle sopravvenute modifiche normative. Come noto, per effetto
della sentenza della Corte Costituzionale del 12 febbraio 2014 n. 32, la disciplina in
materia di sostanze stupefacenti che viene in rilievo è quella prevista dal d.P.R. n.
309/1990, nella versione antecedente alle modifiche introdotte dal d.l. 30 dicembre
2005, n. 272, convertito con modificazioni dalla legge 21 febbraio 2006, n. 49, di
talché la pena per le c.d. droghe pesanti, ai sensi dell’art. 73, va da otto a venti
anni di reclusione, oltre la multa. Non di meno, trattandosi di una cornice
sanzionatoria più severa, rispetto a quella vigente all’epoca dei fatti per i quali si
procede, resta comunque applicabile il limite edittale previgente, compreso tra sei
e venti anni di reclusione, oltre la multa. Orbene, nel caso di specie la pena base,
in relazione alla detenzione della rilevante quantità di cocaina di cui si tratta è stata
determinata in anni nove di reclusione: ed i giudici hanno chiarito che il
discostamento dal minimo edittale si giustificava proprio in ragione della
evidenziata gravità della condotta.
4. Deve infine osservarsi che neppure sussiste la denunciata violazione del
principio del ne bis in idem sostanziale, per avere i giudici considerato la negativa
personalità dell’imputato sia ai fini della recidiva, che rispetto agli indici di cui
all’art. 133 per la dosimetria della pena e per gli aumenti in continuazione. Invero,
la Suprema Corte ha chiarito che il giudice, nell’esercizio del suo potere
discrezionale, può legittimamente negare la concessione delle attenuanti generiche
e, contemporaneamente, ritenere la recidiva, valorizzando per entrambe le
valutazioni il riferimento ai precedenti penali dell’imputato, in quanto il principio del
ne bis in idem sostanziale non preclude la possibilità di utilizzare più volte lo stesso

fattore per giustificare scelte relative ad elementi la cui determinazione è rimessa
al prudente apprezzamento dell’Autorità decidente (Cass. Sez. 6, Sentenza n.
47537 del 14/11/2013, dep. 29/11/2013, Rv. 257281).
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5. In conclusione, il ricorso deve essere rigettato. Ai sensi dell’art. 616 cod. »
proc. pen. segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

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compromettere gravemente la sicurezza e l’incolumità pubblica.

P.Q. M .
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso in Roma, in data 4 luglio 2014.

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