Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 35966 del 04/07/2014


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 35966 Anno 2014
Presidente: ZECCA GAETANINO
Relatore: MONTAGNI ANDREA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
SALA ANGELO N. IL 01/09/1959
avverso la sentenza n. 5886/2012 CORTE APPELLO di MILANO, del
17/12/2013
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 04/07/2014 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. ANDREA MONTAGNI
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Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. r
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Data Udienza: 04/07/2014

Ritenuto in fatto
1. Il Tribunale di Milano, con sentenza in data 3.07.2012, affermava la
penale responsabilità di Sala Angelo, amministratore unico della Azienda Centro
Guarnizioni Tiger srl, in ordine al reato di cui all’art. 590 cod. pen., per avere
procurato lesioni personali gravi al dipendente Rocco Renato, consistite in una ferita
al quinto dito della mano destra con lesione sottocutanea del tendine estensore; e
ciò per colpa generica e violazione delle disposizioni in materia di sicurezza del
lavoro, in riferimento all’art. 71, comma 4, d.lgs. n. 81/2008, in quanto, in assunto

accusatorio, l’imputato aveva omesso di adottare tutte le misure necessarie a
creare adeguate condizioni di sicurezza durante l’esecuzione dei lavori. In
particolare, al Sala si contesta di avere consentito l’utilizzo di un tornio che non
risultava idoneo al lavoro di pulitura con tela smeriglio di un alberello, attività che
stava svolgendo il dipendente al momento dell’infortunio.
2.

La Corte di Appello di Milano, con sentenza in data 17.12.2013,

confermava la sentenza del Tribunale.
La Corte territoriale, soffermandosi sui motivi di doglianza che erano stati
dedotti con l’atto di impugnazione, rilevava che il reato risultava procedibile di
ufficio, giacché la malattia derivata dal fatto aveva certamente avuto una durata
almeno superiore a 40 giorni. Al riguardo il Collegio richiamava le dichiarazioni rese
dal lavoratore e la certificazione INAL, acquisita agli atti. Oltre a ciò, la Corte
distrettuale osservava che la difesa avrebbe agevolmente potuto dimostrare
l’avvenuto rientro in servizio del lavoratore già allo scadere del primo certificato
medico (riportante prognosi di soli 20 giorni), producendo le relative buste paga o i
cartellini di presenza.
Sotto altro aspetto, la Corte di Appello considerava che il datore di lavoro è
tenuto a fornire strumenti di lavorazione adeguati sotto il profilo della sicurezza,
essendo suo preciso obbligo quello di eliminare i rischi o di ridurli al minimo.
3. Avverso la citata sentenza della Corte di Appello di Milano ha proposto
ricorso per cassazione Angelo Sala, a mezzo del difensore.
Con il primo motivo viene dedotta la violazione di legge, in riferimento alla
procedibilità dell’azione penale. L’esponente, con riguardo alla questione relativa
alla durata della malattia derivata dall’infortunio, già dedotta in sede di gravame,
osserva che la Corte di Appello, nel confermare la sentenza del primo giudice, ha
sviluppato una argomentazione che inverte l’onere della prova, spettante all’accusa.
Con il secondo motivo, il ricorrente deduce il vizio motivazionale, in ordine
alla individuazione della condotta colposa attribuita all’imputato. La parte osserva
che lo stesso lavoratore infortunato ha ammesso di essere incorso in errore, il
giorno del sinistro, non essendosi sfilato i guanti; e rileva che di nessun pregio
risulta l’addebito a carico del datore di lavoro, di non aver proceduto
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all’informazione del lavoratore. La parte evidenzia poi che l’osservazione contenuta
nella sentenza impugnata, laddove si rileva che il datore di lavoro è tenuto a fornire
le attrezzature idonee, anche facendo ricorso a nuovi macchinari, non risulta
conferente rispetto all’affermazione di responsabilità penale, dal momento che la
stessa Corte di Appello ha abbandonato la tesi della inidoneità tecnica del tornio,
rispetto alla lavorazione svolta, sostenuta dal primo giudice.
Considerato in diritto

4.1 Il primo motivo di ricorso non ha pregio.
La Corte di Appello, nel confermare la valutazione effettuata dal primo
giudice in riferimento alla durata della malattia derivante dal fatto di reato, ha
argomentato, sviluppando un percorso motivazionale immune da aporie di ordine
logico rilevabili in sede di legittimità, facendo riferimento alle dichiarazioni rese dal
lavoratore ed alla certificazione INAL, acquisita agli atti. Il Collegio, in particolare,
ha considerato – ai fini della procedibilità ufficiosa del reato – che, anche accedendo
alla tesi difensiva, in base alla quale la presenza del dipendente in azienda, in data
18.06.2008, stava a significare che da tale data Rocco aveva ripreso servizio, la
durata della malattia risultava comunque superiore a 40 giorni, atteso che
l’infortunio si è verificato 1’11.04.2008.
E’ poi appena il caso di sottolineare che la considerazione pure svolta dal
Collegio – a margine del richiamato percorso argomentativo che già di per sé vale a
sostenere l’assunto – circa la agevole possibilità per la difesa di dimostrare
documentalmente la data in cui il dipendente aveva ripreso formalmente servizio,
non implica alcuna indebita inversione dell’onere della prova, trattandosi di una
osservazione aggiuntiva, rispetto al ragionamento che risulta ancorato alle acquisite
emergenze probatorie, nei sensi sopra chiariti. La sentenza impugnata supera, cioè,
la cosiddetta prova di resistenza, perché risulta conferentemente motivata, anche
eliminando il passaggio argomentativo da ultimo richiamato (cfr. Cass. Sez. 5,
Sentenza n. 37694 del 15.07.2008, dep. 03.10.2008, Rv. 241299).
4.2 Il secondo motivo di ricorso è infondato.
Occorre considerare che, nel caso in esame, le sentenze di merito, di primo
e secondo grado, concordano nell’analisi e nella valutazione degli elementi di prova
posti a fondamento delle rispettive decisioni; e che, conseguentemente, le stesse si
saldano in un unico complesso corpo argomentativo, al quale è dato fare
riferimento nel presente scrutinio di legittimità (cfr. Cass., Sez. 1, n. 8868/2000,
Rv. 216906; Cass. Sez. 3, Sentenza n. 10163 in data 1° febbraio 2002, dep. 12
marzo 2002, Rv. 221116).
Tanto chiarito, deve osservarsi che i giudici di merito hanno
conferentemente chiarito che, nel caso di specie, doveva escludersi che l’incidente
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4. Il ricorso in esame muove alle considerazioni che seguono.

si fosse verificato a causa di un imprevedibile comportamento anomalo del
lavoratore; ciò in quanto era risultato accertato che l’utilizzo del tornio, in assenza
di presidi di sicurezza adeguati, rispondeva ad una reiterata pressi aziendale
tollerata dal Sala.
Si tratta di una valutazione che si colloca nell’alveo del consolidato
insegnamento espresso dalla giurisprudenza di legittimità in riferimento alla valenza
esimente da assegnare alla condotta colposa posta in essere dal lavoratore, rispetto

Invero, la Corte regolatrice ha da tempo chiarito che nessuna efficacia
causale, per escludere la responsabilità del datore di lavoro, può essere attribuita al
comportamento negligente del medesimo lavoratore infortunato, che abbia dato
occasione all’evento, quando questo sia da ricondurre comunque alla insufficienza
di quelle cautele che, se adottate, sarebbero valse a neutralizzare proprio il rischio
derivante dal richiamato comportamento imprudente. E si è pure precisato che le
norme antinfortunistiche sono destinate a garantire la sicurezza delle condizioni di
lavoro, anche in considerazione della disattenzione con la quale gli stessi lavoratori
effettuano le prestazioni. Questa Suprema Corte ha affermato che, nel campo della
sicurezza del lavoro, gli obblighi di vigilanza che gravano sul datore di lavoro
risultano funzionali anche rispetto alla possibilità che il lavoratore si dimostri
imprudente o negligente verso la propria incolumità; e che può escludersi
l’esistenza del rapporto di causalità unicamente nei casi in cui sia provata
l’abnormità del comportamento del lavoratore infortunato e sia provato che proprio
questa abnormità abbia dato causa all’evento. Nella materia che occupa deve, cioè,
considerarsi abnorme il comportamento che, per la sua stranezza e imprevedibilità,
si ponga al di fuori di ogni possibilità di controllo da parte delle persone preposte
all’applicazione delle misure di prevenzione contro gli infortuni sul lavoro.
Conclusivamente sul punto, si osserva che la giurisprudenza di legittimità ha più
volte sottolineato che l’eventuale colpa concorrente del lavoratore non può spiegare
alcuna efficacia esimente per i soggetti aventi l’obbligo di sicurezza che si siano
comunque resi responsabili della violazione di prescrizioni in materia
antinfortunistica (cfr. Cass., sez. 4, sentenza n. 3580 del 14.12.1999, dep. il
20.03.2000, Rv. 215686); e ciò con specifico riferimento alle ipotesi in cui il
comportamento del lavoratore – come certamente è avvenuto nel caso di specie rientri pienamente nelle attribuzioni specificamente attribuitegli (Cass. Sez. 4,
Sentenza n. 10121 del 23.01.2007, dep. 9.03.2007, Rv. 236109).
Ciò posto, deve allora considerarsi che la Corte di Appello, nel ribadire che
l’utilizzo del tornio per il tipo di lavorazione (lucidatura) risultava improprio, ha del
tutto legittimamente osservato che il datore di lavoro è specificamente tenuto a
fornire strumenti di lavorazione adeguati sotto il profilo della sicurezza, essendo suo
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al soggetto che versa in posizione di garanzia.

preciso obbligo quello di eliminare i rischi o di ridurli al minimo (principio di diritto
ripetutamente affermato dalla Corte regolatrice: cfr. Cass. Sez. 4, Sentenza n.
41944 del 19/10/2006, dep. 21/12/2006, Rv. 235539). E deve infine rilevarsi che,
sul punto di interesse, i giudici di merito hanno precisato che il tornio neppure era
dotato del tegolo di protezione, presidio che sarebbe stato idoneo ad impedire il
contatto accidentale dell’operatore con le parti in movimento della macchina.
5. Al rigetto del ricorso, che si impone, segue la condanna del ricorrente al

P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma in data 4 luglio 2014.

pagamento delle spese processuali.

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