Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 35946 del 16/07/2015


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 35946 Anno 2015
Presidente: CHIEFFI SEVERO
Relatore: BONI MONICA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
SANTORO GAETANO N. IL 15/03/1994
avverso l’ordinanza n. 183/2015 TRIB. LIBERTA’ di CATANZARO,
del 10/03/2015
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. MONICA BONI;
ictte/sentite le conclusioni del PG Dott.
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Uditi difensor Alvv.;

11L1

Data Udienza: 16/07/2015

Ritenuto in fatto

1.Con ordinanza resa il 10 marzo 2015 il Tribunale di Catanzaro confermava l’ordinanza
emessa dal G.I.P. del Tribunale di Crotone in data 28 febbraio 2015, con la quale era stata
applicata la misura cautelare in carcere nei confronti di Gaetano Santoro in quanto gravemente
indiziato ‘dei delitti di concorso in detenzione illegale di tre pistole a salve modificate, di un
fucile a canne mozze con matricola abrasa, quindi arma clandestina, di parti di arma e di

al fine di immetterle in circolazione di diciannove banconote da venti euro contraffatte.
1.1 A fondamento della decisione il Tribunale riteneva acquisito un grave quadro
indiziario a carico dell’ indagato in ordine a tutti i reati indicati nei capi d’imputazione, formulati
con la richiesta di applicazione della misura cautelare, in ragione:
– del rinvenimento all’atto della perquisizione nella cantina, adibita a laboratorio, dell’abitazione
del Santoro, ove risiedevano anche i coindagati Sergio e Luciano Santoro, rispettivamente
padre e fratello dello stesso, di una pistola a salve smontata nelle sue componenti, modificata
in arma da sparo;
-della presenza dell’indagato in quel locale unitamente al fratello Luciano e del tentativo
operato alla vista delle forze dell’ordine di occultare un oggetto, che, rinvenuto, era risultato
un otturatore per la pistola semiautomatica in lavorazione;
– del ritrovamento all’interno della camera da letto, occupata da Gaetano e Luciano Santoro, di
valigette in plastica già confezionate, contenenti due pistole a salve modificate e pronte allo
sparo, analoghe a quella rinvenuta smontata in cantina, di un fucile a canne mozzate marca
Bernardelli con matricola abrasa, nonché sempre nello stesso ambiente di un computer
portatile acceso con dei documenti informatici aperti inerenti la costruzione di pistole di vario
calibro e delle banconote contraffatte.
Il Tribunale riteneva dunque acquisita la prova indiziaria del coinvolgimento di entrambi i
fratelli Santoro e del padre nell’attività illegale di trasformazione delle armi a salve, alcune già
pronte per la cessione e nella detenzione del fucile e delle banconote, in quanto gli stessi erano
stati colti nel luogo adibito a laboratorio ed occupavano la stessa camera da letto ove erano
stati riposti gli altri oggetti di illecita detenzione. Non assegnava dunque alcuna credibilità alle
affermazioni di Luciano Santoro sull’appartenenza esclusiva del fucile e sulla personale attività
di modifica delle pistole a salve, stante il condiviso interesse per tali dispositivi e la
compresenza nel locale ove tali interventi erano in corso.
In punto di esigenze cautelari riscontrava il pericolo di recidivazione specifica,
desumendone la prova dalle modalità della condotta e dalla sua commissione proprio al
domicilio, il che rendeva inadeguata la misura degli arresti domiciliari, che avrebbe consentito
di riprendere indisturbati l’attività criminosa.
2. Avverso detto provvedimento ha proposto ricorso l’indagato a mezzo del difensore il
quale ha dedotto i seguenti motivi:
1

.—

attrezzature per la loro fabbricazione, nonché di ricettazione dello stesso fucile e di detenzione

a) violazione di legge, carenza ed illogicità della motivazione; il Tribunale non ha condotto una
disamina incrociata tra le dichiarazioni del ricorrente e quelle del fratello Luciano, assuntosi la
responsabilità esclusiva in ordine ai reati di cui ai capi a), b) e c) riguardanti le armi. Se avesse
proceduto in tal modo avrebbe dovuto dedurre che il ricorrente nulla aveva saputo in merito al
fucile mentre era al corrente dell’attività concernente le pistole, alla quale però non aveva
offerto alcun contributo, avendovi assistito passivamente con un atteggiamento integrante la
mera connivenza non punibile, non essendo gravato dell’obbligo di impedire l’evento e non
avendo nemmeno rafforzato il proposito criminoso altrui mediante uno stimolo all’azione o la

circostanze che non consentono di superare la soglia della mera connivenza perché:
– la mera conoscenza dell’attività svolta dal fratello Luciano non equivale a concorso nei relativi
reati, dal momento che la condivisione della camera da letto non determina in via automatica
l’appartenenza ad entrambi gli occupanti di quanto vi è riposto;
– l’occultamento del fucile all’interno di un’intercapedine ricavata nel!” armadio esclude che il
ricorrente ne conoscesse l’esistenza;
– la presenza nella cantina-laboratorio era casuale ed il tentativo di occultare un otturatore
erano frutto di un gesto istintivo alla vista degli operatori di p.g., ma non significava che
anch’egli stesse lavorando sull’arma.
b) Violazione di legge in relazione al disposto degli artt. 178 lett. b) e 179 cod. proc. pen. per
non avere il Tribunale rilevato la nullità assoluta dell’ordinanza applicativa in ordine al delitto di
cui al capo d), per il quale il P.M. non aveva formulato alcuna domanda cautelare, avendo nella
sua richiesta argomentato sulle esigenze cautelari in riferimento ai soli fatti attinenti le armi;
per contro, il collegio del riesame non ha offerto congrua risposta all’eccezione difensiva in
ordine all’assenza di argomentazioni del richiedente in merito al pericolo di reiterazione della
condotta concernente le banconote contraffatte, per cui il G.I.P. non avrebbe potuto applicare
la misura custodiale in mancanza di espressa richiesta del P.M..
c) Carenza di motivazione in ordine al mantenimento della misura di maggiore afflittività ed
alla mancata sostituzione con gli arresti domiciliari con strumenti di controllo a distanza;
l’ordinanza impugnata risolve tale tematica con formule di stile e non indica alcun elemento
concreto da cui poter desumere il pericolo di recidivazione, escluso sia dai controlli delle forze
dell’ordine, che dallo stato di incensuratezza e dalla manifestata disponibilità a sottoporsi a
strumenti di controllo quale il c.d. braccialetto elettronico.
3. Con successiva memoria depositata il 17 giugno 2015 la difesa ha articolato dei motivi
nuovi, con i quali ha dedotto:
-due precedenti della Suprema Corte, le sentenze nr. 11396 del 29/1/2015 e nr. 21604 del
27/3/2015, hanno ribadito il concetto di connivenza non punibile in situazioni nelle quali uno
dei coindagati si era attribuito la responsabilità esclusiva per le condotte oggetto
d’investigazione, come accaduto nel caso in esame, nel quale difetta la prova della prestazione
di un qualunque contributo morale o materiale da parte del ricorrente all’attività del fratello;

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4,

rassicurazione di un appoggio durante il suo compimento. Il Tribunale ha valorizzato

-il profilo dell’adeguatezza della misura applicata deve essere attentamente considerato anche
alla luce della recente legge nr. 47/2015, le cui disposizioni sono applicabili alla fattispecie per
il principio di retroattività della legge più favorevole; pertanto, viene in rilievo l’aspetto
dell’attualità del pericolo di recidivazione, del tutto carente per l’assenza di occasioni prossime,
favorevoli alla commissione di nuovi reati posto che lo scantinato adibito a laboratorio è stato
sottoposto a sequestro preventivo come tutta l’attrezzatura impiegata per la modificazione
delle armi; parimenti per la detenzione delle banconote false, il loro sequestro priva il
ricorrente della possibilità di smerciarle;

dell’art. 275 cod. proc. pen., comma 3-bis, aggiunto dalla legge nr. 47/2015, dovendo il
giudice che applichi la misura custodiale giustificare le ragioni per le quali ritenga inidonea la
misura degli arresti domiciliari con le procedure di controllo di cui all’art. 275-bis, profilo non
esaminato dal Tribunale.

Considerato in diritto

Il ricorso è infondato e va dunque respinto.
1.L’ordinanza in verifica ha confermato il provvedimento applicativo della misura
custodiale fornendo ampia, articolata e puntuale motivazione della sussistenza dei gravi indizi
a carico dell’indagato in ordine a tutti i reati contestatigli, siccome desunti dall’informativa della
polizia giudiziaria e dai processi verbali di perquisizione e sequestro in atti. Ne ha dedotto
l’elevata probabilità della responsabilità concorsuale del Santoro nell’attività artigianale di
trasformazione di armi a salve in efficienti pistole, armi comuni da sparo, condotta nel locale
cantinato dell’edificio sede dell’abitazione familiare, nella detenzione illegale di un fucile cal. 12
a canne mozze, reso clandestino per l’abrasione del numero di matricola e nella detenzione
altrettanto illegale delle banconote contraffatte.
1.1 Premesso che in ordine a tale ultima fattispecie il ricorrente ha reso confessione,
ammettendo l’appartenenza esclusiva delle banconote falsificate, il provvedimento in esame
evidenzia un’attenta e completa rassegna del materiale offerto dalle investigazioni, che ha
condotto i giudici cautelari ad escludere che a carico di Gaetano Santoro fosse ravvisabile un
atteggiamento di mera connivenza non punibile rispetto all’attività criminosa svolta dal fratello
Luciano. In particolare, a sostegno di tale assunto il Tribunale ha indicato:
-l’avvenuto accesso delle forze dell’ordine presso l’abitazione condivisa dagli indagati in un
momento nel quale dal locale cantina erano stati percepiti dagli operatori di p.g. distinti rumori
di macchinari in funzione ed al cui interno erano state rinvenute le attrezzature sottoposte a
sequestro e su un carrello una pistola a salve smontata nelle sue componenti, oggetto di
interventi di modifica in atto per renderla arma da sparo;
-la presenza dell’indagato in quel locale unitamente al fratello Luciano ed il tentativo operato
alla vista delle forze dell’ordine di rientrare immediatamente nel cantinato e da parte di

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iN)

-la carenza motivazionale del provvedimento impugnato risalta ancor più alla luce del disposto

Gaetano di occultare dietro la schiena un oggetto, che, rinvenuto, era risultato un otturatore
per pistola semiautomatica di piccolo calibro, appena forgiato durante la lavorazione in corso;
– il ritrovamento all’interno della camera da letto, occupata dal padre Sergio Santoro di
valigette in plastica già confezionate, contenenti due pistole a salve modificate e pronte allo
sparo, analoghe a quella rinvenuta smontata in cantina e quindi verosimile prodotto
dell’attività svolta dai figli;
– il rinvenimento all’interno della camera da letto di Gaetano e Luciano Santoro di un fucile a
canne mozzate marca Bernardelli con matricola abrasa, nonché di un computer portatile

banconote contraffatte.
1.2 Ha dunque valorizzato circostanze di fatto di indiscussa dimostrazione, ossia la
presenza dei due fratelli Santoro nella cantina laboratorio mentre era in corso l’attività di
alterazione dei dispositivi a salve, la condotta concorde tenuta alla vista degli operatori di
polizia col tentativo di rientrare nel locale adibito ad officina, la detenzione personale da parte
del ricorrente di un otturatore appena realizzato, verosimilmente riconducibile alla pistola in
lavorazione, che era del tipo corrispondente alle altre due già terminate e collocate all’interno
delle valigette, pronte per la consegna, otturatore che egli aveva tentato di nascondere per
ostacolarne l’apprensione nella consapevolezza del valore indiziante del possesso di tale
oggetto.
1.3 Inoltre, ha considerato che il fucile, per quanto non collocato in vista, era riposto
all’interno dell’armadio della camera da letto dei due germani Santoro, la cui codetenzione ha
dedotto da tale circostanza, dal condiviso interesse per le armi, dimostrato da quanto sopra
esposto e dalla presenza di documenti informatici esplicativi dei processi di costruzione di armi
di vario calibro all’interno del p.c. acceso e funzionante nella loro stessa camera. Da tali
premesse fattuali il Tribunale ha dedotto con corretto procedimento inferenziale che anche la
detenzione di tale arma fosse riconducibile ad entrambi i giovani Santoro non essendo credibile
che uno soltanto di essi, Luciano, lo avesse riposto in quel luogo all’insaputa di Gaetano,
coinvolto attivamente anche nell’attività di alterazione delle pistole a salve.
1.4 Si è dunque pervenuti ad escludere che il ruolo rivestito dal ricorrente si sia limitato
alla mera conoscenza di quanto compiuto dal fratello, accettato passivamente nell’assenza di
un qualsiasi contributo concorsuale; sul punto il Tribunale con ineccepibile rigore logico ha
osservato che la sua presenza all’interno della cantina trasformata in laboratorio mentre era in
atto la lavorazione ed il tentativo di sfuggire alla perquisizione e di occultare l’otturatore
costituiscono elementi non contestati, ma anche antitetici alla tesi difensiva del passivo
atteggiamento tenuto quale mero spettatore, che per mera curiosità avrebbe preso in mano
l’otturatore della pistola in corso di trasformazione. Per contro, le affermazioni del coindagato
assumono il valore di un mero tentativo di scagionare il fratello, per contro assuntosi la
responsabilità esclusiva delle banconote in una sorta di ripartizione degli addebiti per
contenere i pregiudizi della constatazione flagranza dei reati contestati.

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acceso con dei documenti informatici, inerenti la costruzione di pistole di vario calibro e delle

1.5 In punto di diritto questa Corte osserva che l’orientamento interpretativo richiamato
in ricorso, di cui non si contesta la fondatezza, non è pertinente al caso di specie, nel quale,
per la ricostruzione fattuale esposta nei due provvedimenti cautelari, non può affatto ricondursi
la condotta del ricorrente alla mera connivenza; egli pare avere offerto un contributo concreto
all’attività condotta col fratello nello stesso frangente ed alla detenzione del fucile all’interno
della stessa camera da egli occupata, tanto da avere persino cercato di sfuggire alle
conseguenze della scoperta in flagrante.
Si ricorda che la nozione di connivenza è stata elaborata dalla giurisprudenza di

l’atteggiamento non punibile di chi si mantenga del tutto passivo e non offra alcun apporto
dotato di qualsivoglia efficacia causale, da quello del concorrente che dia un contributo
partecipativo positivo – morale o materiale – all’altrui condotta criminosa, anche in forme che
agevolino la detenzione, l’occultamento ed il controllo di quanto illecitamente detenuto,
assicurando all’altro concorrente, anche implicitamente, una collaborazione sulla quale questi
può contare (Cass. sez. 6, n. 44633 del 31/10/2013, Dioum e altri, rv. 257810, in relazione ad
una fattispecie in cui questa Suprema Corte ha ritenuto corretta l’affermazione di
responsabilità a titolo di concorso del titolare dell’abitazione in cui erano custoditi cospicui
quantitativi di sostanze stupefacenti, non celate in unico luogo, e di strumenti idonei al
confezionamento delle dosi; nonché sez. 6, n. 47562 del 29/10/2013, P.M. in proc. Spinelli, rv.
257465; sez. 4, n. 4948 del 22/01/2010, Porcheddu ed altri, rv. 246649; sez. 4, n. 11392 del
16/01/2006, Quattrini, rv. 233913).
Ancor più rigorosi principi sono stati formulati in riferimento al concorso nella detenzione
di armi e munizioni, ravvisato anche se tali dispositivi siano stati custoditi od occultati ad
insaputa del soggetto in locali di sua proprietà, da lui gestiti o comunque occupati se lo stesso,
una volta acquisita conoscenza della presenza di tali oggetti nulla faccia per rimuovere tale
situazione antigiuridica, dimostrando con il suo comportamento chiara complicità con i
proprietari del materiale illecitamente detenuto (Cass. sez. 6, n. 46303 del 04/11/2014, P.G. in
proc. Grasso, rv. 261016; sez. 1, n. 12916 del 01/07/1980, Giudice, rv. 146999; sez. 1, n.
6547 del 05/02/2013, Sciortino, rv. 255140; sez. 6, n. 46303 del 04/11/2014, RG. in proc.
Grasso, rv. 261016). Pertanto, anche qualora l’apporto dato dal concorrente si estrinsechi in
una omissione, questa può assumere la valenza necessaria ad integrare la compartecipazione,
se implichi un tacito assenso alla permanenza degli oggetti in luogo anche nella sua
disponibilità.
2. Deve dunque escludersi che l’ordinanza impugnata sia affetta da violazione di legge o
da vizio di motivazione anche in punto di rigetto dell’eccezione di nullità del provvedimento
genetico: il Tribunale ha rilevato che la domanda formulata dal P.M. menzionava tutti e quattro
i delitti di cui ai capi a), b), c) e d), nonché, ai soli fini di contestazione, la contravvenzione di
cui al capo e) e argomentava sulla gravità indiziaria di tali fattispecie, compresa quella avente
ad oggetto il denaro falsificato con l’indicazione della presenza dello stesso numero seriale su
tutte le diciannove banconote. Che poi nell’istanza non fosse stato trattato il tema delle

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/C

legittimità in riferimento alla detenzione di stupefacenti, per la quale si è distinto

,
esigenze cautelari con specifico riferimento al delitto di cui al capo d), ciò non inficia la
correttezza della soluzione offerta dal Tribunale, basatasi sulla considerazione complessiva
della richiesta, espressiva della chiara volontà di sollecitare l’applicazione della misura in
relazione a tutti i quattro delitti configurati.
3. In merito alle esigenze cautelari il Tribunale ha condiviso la valutazione espressa dal
primo giudice sul concreto ed attuale pericolo di recidivazione specifica, desunta dall’avvenuta
attività di alterazione delle armi, dalla detenzione di diversa arma clandestina, dalla
preparazione di altre due pistole corredate di caricatore e pronte all’uso all’interno

giudizio di pericolosità è stato dunque basato sulla constatazione delle modalità della condotta,
della pluralità di armi detenute e sul necessario collegamento con ambienti della criminalità
locale, dai quali si sono potuti acquisire il fucile con matricola abrasa e le banconote
contraffatte, senza peraltro che alcun chiarimento fosse stato reso al riguardo dagli indagati o
col ricorso.
3.1 Anche la considerazione sull’adeguatezza della misura in esecuzione è stata
puntualmente giustificata in ragione della conduzione dell’attività di modificazione delle pistole
a salve all’interno dell’abitazione, luogo di collocamento degli strumenti idonei a tale scopo e di
conservazione dei dispositivi già trasformati, oltre al fucile ed alle munizioni, sicchè non
avrebbe alcuna efficacia deterrente la sottoposizione agli arresti domiciliari nello stesso
contesto in cui si è svolta la condotta criminosa perché cautela non idonea a recidere i
pregressi contatti con gli ambienti criminali verso i quali era orientata la produzione e si erano
acquisiti parte degli oggetti illecitamente detenuti.
3.2 Per contraddire tale considerazione la difesa richiama la condizione di incensuratezza
del ricorrente, l’insufficienza dimostrativa della gravità del reato e l’efficacia deterrente dei
continui controlli cui egli sarebbe sottoposto in caso di ammissione alla custodia domiciliare,
elementi che sono stati già valutati come recessivi rispetto alle esigenze di tutela della
collettività a fronte di una pluralità e varietà di condotte criminose, rese ancor più insidiose
proprio dalla natura insospettabile di soggetti privi di pregiudizi.
3.3 Ebbene, la decisione impugnata non presta il fianco alle critiche le sono state mosse,
dal momento che il giudizio sull’intensità del pericolo di recidivazione e sull’adeguatezza della
misura applicata è stato correttamente desunto da precise circostanze fattuali che attengono
sia al profilo oggettivo del fatto di reato, sia a quello soggettivo della personalità del suo
autore; in tal modo il Tribunale ha offerto corretta applicazione dei criteri valutativi indicati
dalla giurisprudenza di questa Corte, secondo la quale “In tema di misure coercitive, ai fini
della configurabilità della esigenza cautelare del pericolo di reiterazione criminosa di cui all’art.
274, lett. c), cod. proc. pen., gli elementi apprezzabili possono essere tratti anche dalle
specifiche modalità e circostanze del fatto, considerate nella loro obiettività, giacché la
valutazione negativa della personalità dell’indagato può desumersi dai criteri oggettivi e
dettagliati stabiliti dall’art. 133 cod.pen. tra i quali sono comprese le modalità e la gravità del
fatto reato” (Cass. sez. 2, n. 51843 del 16/10/2013, Caterino e altri, rv. 258070). Inoltre, si è
6

dell’abitazione degli indagati, del coinvolgimento anche nel traffico di banconote falsificate. Il

pacificamente ammessa la possibilità di valutare le circostanze del fatto nella loro obiettività
quali dati sintomatici di pericolosità sociale e concreta capacità a delinquere (Cass. sez 4, n.
11179 del 19/01/2005, Miranda ed altri, rv. 231583; sez. 4, n. 34271 del 3/07/2007,
Cavallari, rv. 237240; sez. 6, n. 12404 del 4/04/2005, rv. 231323; sez. 3, n. 1995 del
23/04/2004, rv. 228882; sez. 5, n. 45950 del 19/12/2005, rv. 233222; sez. 1, n. 30561 del
15/07/2010, Miccelli, rv. 248322).
3.3.1 Né tali considerazioni possono ricevere smentita dalla novellata formulazione del
testo dell’art. 274 lett. c) cod. proc. pen., modificato ad opera dell’art. 2 della recente legge nr.

fatto e per la personalità della persona sottoposta alle indagini o dell’imputato, desunta da
comportamenti o atti concreti o dai suoi precedenti penali, sussiste il concreto e attuale
pericolo che questi commetta gravi delitti con uso di armi o di altri mezzi di violenza personale
o diretti contro l’ordine costituzionale ovvero delitti di criminalità organizzata o della stessa
specie di quello per cui si procede. Se il pericolo riguarda la commissione di delitti della stessa
specie di quello per cui si procede, le misure di custodia cautelare sono disposte soltanto se
trattasi di delitti per i quali é prevista la pena della reclusione non inferiore nel massimo a
quattro anni ovvero, in caso di custodia cautelare in carcere, di delitti per i quali è prevista la
pena della reclusione non inferiore nel massimo a cinque anni nonché per il delitto di
finanziamento illecito dei partiti di cui all’articolo 7 della legge 2 maggio 1974, n. 195, e
successive modificazioni. Le situazioni di concreto e attuale pericolo, anche in relazione alla
personalità dell’imputato, non possono essere desunte esclusivamente dalla gravità del titolo dì
reato per cui si procede”. Nel caso di specie anche tali indici di valutazione risultano rispettati,
posto che i delitti investigati, analizzati in tutte le loro implicazioni fattuali, comportano la
possibile applicazione di pena elevata e comunque prevista dal legislatore in misura massima
superiore alle soglie indicate dalla norma.
3.3.2 La difesa con la memoria contenente i motivi nuovi ha poi denunciato per gli effetti
di cui all’art. 609 cod. proc. pen. il mancato rispetto da parte dell’ordinanza impugnata del
novellato disposto dell’art. 275 cod. proc. pen., comma 3-bis. La disposizione prescrive che
“Nel disporre la custodia cautelare in carcere il giudice deve indicare le specifiche ragioni per
cui ritiene inidonea, nel caso concreto, la misura degli arresti domiciliari con le procedure di
controllo di cui all’articolo 275-bis, comma 1”.
Ebbene, tali previsioni, oltre a ribadire con forza e chiarezza che la sottoposizione
dell’indagato a custodia in carcere costituisce la forma residuale di coercizione cautelare,
applicabile soltanto a fronte dell’accertata e motivata inadeguatezza di altre misure meno
afflittive, ha imposto al giudice che scelga di sottoporre l’indagato o l’imputato alla misura
custodiale inframuraria per i reati per i quali non opera la presunzione stabilita dal comma 3,
terzo periodo, di dare conto in modo specifico delle ragioni per le quali non consideri idonea
alle esigenze del caso concreto quella domiciliare con i sistemi di controllo di cui all’art. 275-bis
cod. proc. pen., il quale era stato già modificato per effetto del d.l. n. 146 del 2013, convertito
con modificazioni dalla I. n. 10 del 2014, con l’inserimento della previsione dell’applicazio
7

X_

47 del 16 aprile 2015, il quale recita: “c). quando, per specifiche modalità e circostanze del

generalizzata di tali strumenti di sorveglianza in tutti i casi di sottoposizione a custodia
domiciliare, tranne che non siano ritenuti superflui in riferimento alle caratteristiche del caso.
Nel caso di specie l’affermazione di elevata pericolosità sociale del ricorrente non è stata
affatto basata sulla mera gravità dei titoli di reato ascrittigli, quanto piuttosto sulle concrete
circostanze della loro commissione e sulla capacità a delinquere specifica, mentre la pena
irrogabile è certamente superiore ai limiti indicati dalla norma sopra citata; inoltre, il
provvedimento ha motivatamente ritenuto che altre misure meno afflittive non fossero
adeguate alle esigenze del caso secondo un giudizio fattale che, alla luce della sua perentorietà

criminosa, condotta nel luogo ove l’indagato dovrebbe essere sottoposto a custodia, deve
ritenersi incensurabile in sede di legittimità e inclusivo in via implicita dell’apprezzamento di
non idoneità anche del braccialetto elettronico, pur a fronte dell’inesistenza al momento della
decisione del Tribunale della disposizione di legge che ne impone la considerazione e la
specifica giustificazione di inidoneità.
Infine, anche la censura che addebita al collegio del riesame la mancata valutazione della
sottoposizione a sequestro del locale cantina e degli attrezzi ivi rinvenuti, non può condividersi
dal momento che nemmeno con le note difensive prodotte all’udienza di riesame tali
argomentazioni erano state sviluppate e che anche sotto il profilo logico nulla esclude che gli
indagati si procurino altri strumenti e proseguano nella produzione di armi da sparo presso il
domicilio, magari in locali diversi.
Per le considerazioni svolte il ricorso va respinto con la conseguente condanna del
ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P. Q. M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Dispone
trasmettersi a cura della cancelleria copia del provvedimento al Direttore dell’istituto
penitenziario ai sensi dell’art. 94, comma 1-ter, disp. att. c.p.p..
Così deciso in Roma, il 16 luglio 2015.

e delle compiute e coerenti argomentazioni svolte basata sulle caratteristiche dell’attività

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