Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 35933 del 11/08/2014


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Penale Sent. Sez. F Num. 35933 Anno 2014
Presidente: FRANCO AMEDEO
Relatore: PETRUZZELLIS ANNA

SENTENZA
sul ricorso proposto da
1. Simone Benassi, nato a Cagliari il 20/09/1978
avverso la sentenza del 17/12/2013 della Corte d’appello di Cagliari
visti gli atti, il provvedimento denunziato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Anna Petruzzellis;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Giulio
Romano, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso;
udito l’avv. Patrizio Rovelli per il ricorrente, che si riporta al ricorso chiedendone
l’accoglimento;
RITENUTO IN FATTO
1.

La Corte d’appello di Cagliari con sentenza del 17/12/2013 ha

confermato la pronuncia del Gup del Tribunale di Cagliari del 23/11/2010, con la
quale era stata affermata la penale responsabilità di Simone Benassi per il reato
di calunnia.
2. La difesa di Benassi ha proposto ricorso con il quale deduce violazione di
legge penale e vizio di motivazione.
Premesso che il reato di calunnia è stato attribuito nel presupposto che
Benassi, nel descrivere le operazioni di controllo svolte nei suoi confronti da
agenti della polizia di Stato si fossero svolte in modo difforme dal reale, ed in
violazione dei suoi diritti, si contesta la valutazione della Corte territoriale in
forza della quale il preteso accertamento della non veridicità di quanto riferito da
Benassi potesse dimostrare il convincimento soggettivo della fondatezza delle
accuse da lui mosse, così consentendo di dimostrare su tali basi il dolo di
calunnia.

Data Udienza: 11/08/2014

In senso opposto si richiamano le dichiarazioni di testimoni, che, nel riferire
di condotte aggressive dei pubblici ufficiali nei confronti di Benassi, avevano dato
conto della possibilità del difetto di percezione della situazione di fatto da parte
di questi.
Si lamenta inoltre che sia stata conferita particolare valenza probatoria alle
relazioni stilate dagli agenti, per la natura di atto pubblico, omettendo di
accertarne la veridicità, come sarebbe stato richiesto al fine di verificare la

Si contesta la valutazione della Corte, che aveva ritenuto l’operato degli
agenti scriminato dall’adempimento del dovere, omettendo di considerare che
l’ostinazione degli agenti nel cercare di eseguire il controllo alcolemico non aveva
fondamento giuridico, a fronte della possibilità riconosciuta dall’ordinamento di
attribuire conseguenze giuridiche anche al rifiuto dell’esame, come avvenuto da
parte di Benassi, circostanza che non consentiva di scriminare la condotta
indebita tenuta dai pubblici ufficiali al fine di acquisire l’esame, mentre, al
contrario, ad essere scriminato ex art. 393 bis cod. pen. era l’atteggiamento
verbalmente aggressivo di Benassi.
L’insussistenza di tali cause di giustificazione, non percepibili da parte
dell’odierno ricorrente, che aveva denunciato quelli che riteneva abusi delle forze
dell’ordine, non consente di ravvisare la consapevolezza dell’innocenza degli
incolpati, elemento essenziale del reato.
Si lamenta inoltre l’irrilevanza del richiamo contenuto in sentenza ai fatti
intervenuti sul luogo del controllo e percepiti dagli automobilisti sopraggiunti, che
appaiono irrilevanti sulla base del capo di imputazione, che opera la
qualificazione di calunnia con riferimento esclusivo a quanto avvenuto in
occasione del fermo del mezzo condotto dal ricorrente.
3. Con il secondo motivo si deducono analoghi vizi con riguardo alla ritenuta
integrazione della calunnia per pretese frasi ingiuriose falsamente attribuite agli
agenti, che sarebbero state pronunciate ai suoi danni; in senso opposto si
contesta che l’espressione attribuita agli agenti potesse definirsi ingiuriosa, con
la conseguenza che, almeno sotto tale profilo, il reato di calunnia non
sussisterebbe, con ricadute sulla determinazione della pena, che sarebbe
eccessiva.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è fondato.
2.

Deve preliminarmente rilevarsi che il capo di imputazione,

nell’individuare il reato contestato, si riferisce genericamente alle accuse che

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Cassazione sezione f rg. 28881/2014

sussistenza del reato.

Benassi avrebbe mosso ai danni degli agenti, qualificandole come abuso di
ufficio, ed omette una specifica indicazione del fatto, essenziale a circoscriverlo
proprio ai fini di comprenderne in primo luogo la falsità, e successivamente la
possibilità della consapevolezza da parte dell’interessato, dell’innocenza degli
incolpati.
L’esame della denuncia proposta da Benassi a carico dei verbalizzanti, che

dell’imputazione, per individuarne l’oggetto, ha consentito di accertare che al
Benassi è attribuita la falsa accusa agli agenti di averlo steso prono per terra,
immobilizzandolo. Tale dato di fatto risulta però in linea con quanto dichiarato da
altri testi presenti nel corso del controllo, i quali, sia pure dando conto di una
ricostruzione fantasiosa dei fatti antecedenti il controllo da parte di Benassi,
hanno dovuto convenire su tale circostanza.
La sentenza impugnata pone a base dell’accertamento della falsità delle
accuse sia la mancata rispondenza al reale degli ulteriori elementi ricostruttivi
forniti dall’interessato, sia la maggiore valenza di quanto riferito dagli agenti in
atto pubblico, circostanze entrambe inidonee a fondare l’accertamento di
responsabilità. Infatti non lo è il primo, in quanto la falsità delle circostanze
estranee a fatti esposti nella denuncia, inidonei ad accusare ingiustamente le
forze dell’ordine, non integra la fattispecie contestata, mentre a fronte di
dichiarazioni testimoniali, di persone estranee, dalle quali si ricava la veridicità
sulla modalità operativa degli agenti riferita da Benassi, nessuna maggiore
valenza probatoria può assumere la relazione di servizio, per la qualità di atto
pubblico del documento che la forma.
La sentenza impugnata risulta quindi fondata sul travisamento delle
risultanze, nella parte in cui conferisce rilievo alla falsità di dati ricostruttivi che
in nulla incidono sull’oggetto della denuncia che si pretende calunniosa, e
desume una maggiore forza probatoria da un atto privo di tale funzione.
3. In ragione di quanto esposto è rimasta del tutto sfornita di prova la
natura falsa delle accuse mosse agli agenti, individuabile nell’uso della violenza
per immobilizzare il ricorrente per terra, circostanza che impone l’annullamento
senza rinvio della sentenza impugnata, perché il fatto non sussiste.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il fatto non sussiste.
Così deciso n41/08/2014

costituisce corpo di reato il cui contenuto è essenziale, a fronte della genericità

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