Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 35923 del 05/08/2014


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Penale Sent. Sez. F Num. 35923 Anno 2014
Presidente: ZECCA GAETANINO
Relatore: TADDEI MARGHERITA

Data Udienza: 05/08/2014

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
CORTESE FAUSTO N. IL 01/02/1958
avverso la sentenza n. 203/2010 CORTE APPELLO di VENEZIA, del
12/12/2013
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 05/08/2014 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. MARGHERITA TADDEI .
r
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. 1-3=
che ha concluso per -C
,

Udito, per la parte civile, l’Avv
Uditi difensor Avv.

f

RITENUTO IN FATTO

1.

Con la sentenza indicata in epigrafe , la Corte di appello di Venezia,

confermava la sentenza del Tribunale di Verona , in data 09.07.2009 , che
indicati:
a) del reato p. e p. dagli artt. 56 e 628 C.P., perché compiva atti idonei diretti in modo
non equivoco a costringere con violenza e minaccia PINTO MICOLE, commessa presso
il negozio di estetica “IMPERO DEL SOLE” sito in via Mameli, a consegnargli i soldi
della cassa, intimandole di dargli i solidi e alla risposta negativa cominciando a
chiederli urlando, scuotendo nel contempo violentemente il bancone della cassa,
quindi dopo averlo scavalcato cominciando a colpire con calci la cassaforte posta sotto
il bancone e continuando a ripetere di dargli ì soldi, quindi, avendo la donna
manifestato l’intenzione di chiamare la polizia, si allontanava dal negozio dopo aver
compiuto altri gesti violenti;
b) del reato p. e p. dall’art. 582 C.P., per aver cagionato a PINTO MICOLE lesioni
personali consistite in trauma chiuso cranico minore ed escoriazione alla fronte,
giudicate guaribili in gg. 5 s.c, scagliandole contro un vaso di plastica che la colpiva al
viso.In Verona il 30.03.2007
RECIDIVA REITERATA SPECIFICA

1.1 Avverso tale sentenza propone ricorso il difensore di fiducia dell’imputato,
avvocato Mauro Ziliani, chiedendo l’annullamento della sentenza e deducendo
a motivo la violazione dell’art.56 comma 3 cod.pen. .Lamenta in particolare la
mancata congruità della motivazione della Corte che ha negato la desistenza
sul presupposto che il Cortese abbandonò il progetto criminale quando la
commessa manifestò l’intenzione di chiamare le Forze dell’ ordine e che tale
minaccia determinò la scelta e la successiva condotta dell’imputato. A parere
del ricorrente ,invece, per aversi desistenza è sufficiente la spontaneità della
scelta di abbandonare il proposito criminoso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
2.11 ricorso è inammissibile perché manifestamente infondato.
2.1 Correttamente ed in linea con la giurisprudenza di legittimità, la Corte di
merito ha puntualizzato che per aversi desistenza volontaria è necessario che
nel determinismo che porta a recedere dal progetto criminale non si inserisca
un qualche fattore esterno che ne sia l’elemento propulsore. Nel caso in esame
la Corte ha precisato in fatto che Cortese fu indotto a desistere dal tentativo di

aveva condannato Cortese Fausto alla pena di giustizia per i reati di seguito

rapina da due fattori esterni, che influenzarono in modo decisivo la sua
condotta: la minaccia della persona offesa di far intervenire la Polizia e la
impossibilità di aprire la cassaforte.
2.2 Secondo la giurisprudenza di questa Corte (Cass., Sez. 2, n. 18385 del
05/04/2013-dep. 24/04/2013, Pesce e altri, rv. 255919), in tema di
desistenza dal delitto, benché la volontarietà non debba essere intesa come
spontaneità, la decisione di interrompere l’azione non deve comunque risultare
6, n. 11732 del 27/01/2012-dep. 28/03/2012, Di Lauro e altri, rv. 252230), si
è affermato che “la “volontarietà” della desistenza non deve essere confusa con

la “spontaneità” della medesima, nel senso che la desistenza è volontaria.
Anche quando non è spontanea perché indotta da ragioni utilitaristiche o da
considerazioni dirette ad evitare un male ipotizzabile o dalla presa di coscienza
degli svantaggi che potrebbero derivare dal proseguimento dell’azione criminosa
(cfr., Cass., Sez. 4, n. 17384 del 12/ 02/ 2003, Schiavo). La legge non prende in
considerazione le intime ragioni che inducono l’agente a desistere dall’azione
criminosa, ma richiede invece, con la previsione del requisito della volontarietà,
che la desistenza non sia riconducibile a cause esterne che rendano impossibile,
o gravemente rischiosa, la prosecuzione dell’azione.”
2.3 Insomma, seppur non spontanea, tale prosecuzione non deve essere
impedita da fattori esterni che renderebbero estremamente improbabile il
successo dell’azione medesima; la scelta deve quindi essere operata in una
situazione di libertà interiore indipendente dalla presenza di fattori esterni
idonei a menomare la libera determinazione dell’agente (cfr., ex multis, Cass.,
Sez. 5, n. 1955 del 07/ 12/ 1999-dep. 21/02/2000, Maravolo, rv. 216438)”.
2.4 L’esimente della desistenza nel tentativo,in altri termini, richiede che la
determinazione del soggetto agente di non proseguire nell’azione criminosa si

come necessitata. In particolare, con la sentenza n. 11732/2012 (Cass., Sez.

concreti indipendentemente da cause esterne che impediscano comunque la
prosecuzione dell’azione o la rendano vana. Sez. 2, Sentenza n. 41484 del
29/09/2009 Cc. (dep. 28/10/2009 ) Rv. 245233 ,sicchè l’esimente non
richiede un’autentica resipiscenza, potendo essere giustificata da motivi di
qualsiasi natura, anche utilitaristici, ma necessita di una deliberazione
assunta in piena libertà, indipendentemente da fattori esterni suscettibili di
influire sulla determinazione dell’agente , secondo un paradigma dell’azione
che vede la volontarietà sussistere in ragione della effettiva possibilità di

2

p

scelta tra due condotte: tale possibilità viene meno non solo quando una di
esse sia impossibile da realizzare, ma anche quando una delle due presenti
svantaggi o rischi tali da non potersi attendere da qualunque persona
ragionevole.
2.5 Alla luce delle considerazioni che precedono la condotta del Cortese
sicuramente non fu il risultato di un libero determinarsi e,pertanto, non è il
caso di parlare di desistenza.

inammissibile il ricorso, l’imputato che lo ha proposto deve essere condannato
al pagamento delle spese del procedimento, nonché – ravvisandosi profili di
colpa nella determinazione della causa di inammissibilità – al pagamento a
favore della Cassa delle ammende di una somma che, alla luce del dictum della
Corte costituzionale nella sentenza n. 186 del 2000, sussistendo profili di
colpa, si stima equo determinare in euro 1.000,00 (mille/00).
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di euro mille alla Cassa delle ammende.
Così • ciso ‘n Roma, il 5 agosto 2014
Il Con

ore

Il Presidente

3. Ai sensi dell’articolo 616 cod. proc. pen., con il provvedimento che dichiara

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