Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 35920 del 29/07/2014


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Penale Sent. Sez. F Num. 35920 Anno 2014
Presidente: ZECCA GAETANINO
Relatore: CITTERIO CARLO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
ZADRO FRANCESCO N. IL 21/04/1961
POZZI SILVIA N. IL 10/09/1956
avverso la sentenza n. 1417/2006 CORTE APPELLO di VENEZIA, del
19/12/2013
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 29/07/2014 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. CARLO CITTERIO
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. kik evA\M
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che ha concluso per ) Id
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ì10441.21t41.141N- kMA/”r tiVt917M‘d

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Udito, per l arte civile, l’Avv
Uditi difensor Avv.

C\ 0\4; < tt 'A th..y.,;.x.tztipa- 4," ii'e474-: z/t Data Udienza: 29/07/2014 " P 22885/14 RG 1 CONSIDERATO IN FATTO I.. Francesco Zadro e Silvia Pozza sono stati condannati dal GIP di Venezia il 22.12.2005, entrambi per reato ex art. 216 LF in relazione alla tenuta delle scritture contabili della SRC NET srl quanto agli esercizi 2002 e 2001 (consumazione indicata al 21.2.2002, capo B), il solo Zadro anche per ulteriore solo Zadro il capoverso dell'art. 219 LF e riconosciute ad entrambi le attenuanti generiche, determinava per ciascuno la pena principale di due anni di reclusione e quelle accessorie dell'inabilitazione dall'esercizio dell'impresa commerciale e dell'incapacità all'esercizio di uffici direttivi per la durata di dieci anni. Concedeva al solo Zadro la sospensione condizionale della pena. 1.1 Adìta dall'appello degli imputati, la Corte veneta con sentenza del 19.12.13-27.1.2014 assolveva Zadro dal reato sub F) e rideterminava la pena per entrambi gli imputati in un anno quattro mesi di reclusione (con il computo di tre anni per la pena base, due anni per le generiche e la riduzione di legge per il rito), confermando nel resto. 2. Con unico atto del comune difensore, ricorrono entrambi gli imputati, enunciando i seguenti motivi: - con il primo motivo il ricorso pare lamentare incertezze nella concreta quantificazione della pena relativa alla Pozza, evidenziando che la stessa in primo grado era stata condannata per un solo reato, pur avendo avuto la medesima pena del coimputato; - il secondo motivo lamenta mancata risposta sulla motivata richiesta di applicazione ad entrambi gli imputati dell'attenuante dell'ultimo comma dell'art. 219 LF; - il terzo motivo deduce violazione di legge in ordine alla durata della pena accessoria, in quanto non determinata con computo pari alla durata della pena principale. I ricorrenti danno atto che Corte d'appello ha rigettato il corrispondente motivo richiamando la sentenza di questa Corte di legittimità Sez.5 n. 11257/2013, successiva alla sentenza 134/2012 della Corte costituzionale, ma richiamano la tesi sostenuta dall'Avvocatura erariale in tale circostanza, e deducono la conformità a Costituzione della tesi che vede nei dieci anni di reclusione previsti dall'art. 216 u.c. LF solo il limite massimo della durata delle pene accessorie speciali, pure reato ex art. 216 LF in relazione a sua ditta individuale (capo F). Il GUP, applicato al 22885/14 RG 2 richiamando il contrasto segnalato sul punto anche dalla sentenza 628/2014 (che pur ha concluso per la soluzione avversata nel ricorso) Con motivi aggiunti si sollecita la rimessione della pertinente questione di diritto alle Sezioni unite; - il quarto motivo lamenta la mancata applicazione dell'indulto. RAGIONI DELLA DECISIONE 3. Il ricorso va rigettato. Il primo motivo è inammissibile perché al tempo stesso manifestamente A ciascuno degli imputati è stato applicato il minimo della pena edittale, con la massima riduzione per le attenuanti generiche. Il fatto che il primo Giudice avesse loro applicato la medesima pena, nonostante Zadro fosse stato condannato per due reati, è irrilevante sia originariamente (posto che dalla complessiva lettura di motivazione e dispositivo si coglie agevolmente che il riferimento all'applicazione dell'art. 219 LF in luogo di quella dell'art. 81 c.p. era svolto al fine di indicare la conseguenza dell'applicazione delle attenuanti generiche, con un'implicita e coerente comparazione di equivalenza), che attualmente (l'applicazione del minimo della pena per entrambi escludendo comunque un attuale interesse a rimuovere eventuali pregressi e superati errori). Il secondo motivo è infondato nei termini che seguono. Vero che la Corte d'appello ha dato congruo conto della richiesta difensiva e non ha poi espressamente risposto sul punto, tuttavia giudica questa Corte doversi condividere la giurisprudenza di cui a Sez.5 sent. 23606/2013, secondo la quale anche l'implicito richiamo al concreto contesto dei fatti è idoneo a dar conto dell'apprezzamento negativo, che risulti dalla deliberazione che non accoglie il motivo. Nel caso concreto il capo B), per cui è intervenuta condanna, richiama espressamente il capo precedente (per il quale vi è stata in primo grado dichiarazione di prescrizione, ma previa applicazione delle attenuanti generiche) dal quale emerge oggettivamente un contesto certamente (sul piano logico e dell'evidenza) non minimale dell'intera vicenda, prescindendo dall'essersi o meno verificato un danno concreto, atteso che il disvalore (trattandosi di reato per il quale la sussistenza del danno non è elemento costitutivo) va apprezzato nella entità della mera potenzialità dei suoi effetti di profitto personale e danno ai creditori. Il terzo motivo (insieme con la sollecitazione contenuta nella nota depositata il 27.6.2014) è infondato. In definitiva lo stesso ricorrente finisce con il dedurre un conflitto di giurisprudenza che allo stato è non più attuale. i) infondato e mancante di interesse. 22885/14 RG 3 La sentenza 628/2014 ha in realtà dato atto di un dibattito pregresso, sostanzialmente superato dopo la sentenza 134/2012 della Corte costituzionale, significativamente anch'essa concludendo per la conferma dell'indirizzo giurisprudenziale secondo cui la pena accessoria che consegue alla condanna per il delitto di bancarotta fraudolenta è indicata in maniera fissa e inderogabile dal legislatore nella durata di anni dieci. Indirizzo ormai in via di attuale consolidamento (Sez.5, sentenze 11257/2013, 51526/2013, 11257/2013, 30341/2012, 42731/2012; dovendosi osservare che la più recente massimata in senso contrario - Sez.5 sent. 23606/2012 - si limita a richiamare giurisprudenza remota). Il quarto motivo è generico e carente di attuale interesse. I ricorrenti non deducono un omesso provvedimento del Giudice d'appello su loro specifica richiesta, né svolgono deduzioni specifiche sulla sussistenza delle condizioni soggettive per l'applicazione dell'indulto. E poiché l'applicazione dell'indulto può avvenire fisiologicamente anche nella fase esecutiva (che, tra l'altro, è quella che sola è in grado di ricondurre ad unità pendenze e precedenti eventuali), il motivo risulta pure sprovvisto dell'attuale necessario interesse. Consegue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali. Così deciso in Roma, il 29.7.2014 ,

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