Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 35919 del 25/11/2014


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 35919 Anno 2015
Presidente: CHIEFFI SEVERO
Relatore: TARDIO ANGELA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
TRESOLDI PATRIZIA, nata il 27/11/1962
avverso l’ordinanza n. 45/2014 TRIBUNALE LIBERTÀ di MONZA del
15/07/2014;

sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. Angela Tardio;
sentite le conclusioni del Procuratore Generale Dott. Paolo Canevelli,
che ha chiesto il rigetto del ricorso;
udito l’avv. Giovanni Pagliarulo, in sostituzione dell’avv. Corrado
Sanvito, per la parte civile, che si è richiamato alla memoria
depositata il 24 novembre 2014.

Data Udienza: 25/11/2014

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza del 18 luglio 2013 il Tribunale di Monza, in funzione di
giudice del riesame, provvedendo a seguito di annullamento con rinvio della
propria precedente ordinanza del 3 dicembre 2012, disposto da questa Corte con
sentenza del 5 aprile 2013, in dipendenza della mancata instaurazione del

riesame avverso il provvedimento del 3 dicembre 2012 del G.i.p. dello stesso
Tribunale, che, a seguito della richiesta avanzata dalla indicata parte civile,
aveva disposto il sequestro conservativo -a garanzia delle obbligazioni civili
derivanti dal reato, nonché delle somme dovute quali spese del procedimento
e/o somme comunque dovute all’Erario, fino al complessivo ammontare di
1.500.000 euro- di beni immobili, titoli azionari e partecipazioni societarie,
indicati specificamente nella premessa dell’ordinanza, di proprietà di Tresoldi
Patrizia, imputata per i reati di bancarotta fraudolenta patrimoniale, bancarotta
semplice e ricorso abusivo al credito, commessi nella gestione della DKW S.r.l.

2. Questa Corte, quinta sezione penale, con sentenza del 28 maggio 2014,
ha annullato detta ordinanza con rinvio per nuovo esame al Tribunale di Monza,
ritenuta la fondatezza dei motivi attinenti alla dedotta omessa verifica della
proporzionalità della estensione del vincolo cautelare e della sussistenza del
periculum in mora legittimante il medesimo vincolo.

3. Il Tribunale di Monza, quale giudice del rinvio nel procedimento ex art.
324 cod. proc. pen. promosso nell’interesse di Tresoldi Patrizia, ha dichiarato,
con ordinanza del 15 luglio 2014, non luogo a provvedere sul ricorso presentato
dalla stessa.
Il Tribunale ha rilevato, a ragione della decisione, che:
– il processo a carico della ricorrente si era definito con sentenza emessa
dallo stesso Tribunale il 26 maggio 2014, ai sensi dell’art. 444 cod. proc. pen.,
divenuta irrevocabile il 10 luglio 2014;
– con detta sentenza il sequestro conservativo disposto dal G.i.p. era stato
ridotto nella misura di 1.300.000 euro;
– la competenza ad adottare provvedimenti relativi ai beni oggetto del
vincolo, in tema di sequestro conservativo, apparteneva, dopo la definitività della
sentenza di applicazione della pena, al giudice civile, convertendosi detto
sequestro in pignoramento, secondo i principi fissati dalla giurisprudenza di
legittimità;

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contraddittorio con la parte civile fallimento DKW S.r.l., ha rigettato l’istanza di

- non rientrava, pertanto, nella propria competenza la decisione circa la
perdurante efficacia e l’estensione del sequestro conservativo sui beni della
ricorrente.

4. Ricorre avverso tale ordinanza, per mezzo del proprio difensore di fiducia
avv. Federico Cecconi, Tresoldi Patrizia, che ne chiede l’annullamento sulla base
di due motivi, richiedendo anche, ai sensi e per gli effetti degli artt. 610, comma
2, o comunque 618 cod. proc. pen., la rimessione del ricorso alle Sezioni unite
per dirimere il contrasto giurisprudenziale in tema di rapporti tra sequestro

conservativo ex art. 316 cod. proc. pen. e sentenza di applicazione pena su
richiesta della parte consolidata in giudicato, e premettendo alla illustrazione dei
motivi il riferimento alla vicenda cautelare, con richiamo agli atti di pertinenza,
allegati al ricorso.
4.1. Con il primo motivo la ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 606,
comma 1, lett. b), cod. proc. pen., manifesta violazione dell’art. 320 cod. proc.
pen. in relazione ai rapporti intercorrenti tra sentenza di patteggiamento ex art.
444 cod. proc. pen. e sequestro conservativo ex art. 316 cod. proc. pen.
Secondo la ricorrente, che richiama le norme di riferimento del sequestro
conservativo e i principi di diritto tratti dalla giurisprudenza di questa Corte con
riguardo alla natura e agli effetti della sentenza di applicazione della pena su
richiesta della parte, la norma di cui all’art. 320 cod. proc. pen., che postula la
conversione del sequestro in pignoramento ove la sentenza di condanna diventi
irrevocabile, è stata oggetto di erronea interpretazione.
Prendendo le mosse dalla sentenza n. 22062/2011, con la quale questa
Corte ha affermato che il sequestro conservativo disposto sui beni dell’imputato
perde efficacia -se il processo è definito con sentenza di patteggiamento- solo
ove l’azione risarcitoria, esercitata in sede penale, non sia riassunta in sede civile
ed esercitata nei termini di cui all’art.

669-octies cod. proc. civ., si deve

escludere, ad avviso della ricorrente, la sussistenza di alcuna automatica
conversione del sequestro in pignoramento per effetto del passaggio in giudicato
della sentenza di patteggiannento, richiedendosi l’attivazione della parte civile per
la instaurazione del giudizio nella competente sede civile nel termine di sessanta
giorni di cui all’art. 669-octies cod. proc. civ.
Nella specie, l’ordinanza impugnata è stata emessa il 15 luglio 2014, mentre
non era ancora decorso il termine di sessanta giorni di cui alla indicata norma,
essendo passata in giudicato la sentenza di patteggiamento il 10 luglio 2014, e il
sequestro non era convertito in pignoramento.
Né, peraltro, può parlarsi di conversione del sequestro conservativo in
pignoramento se la sentenza di condanna irrevocabile non contiene la
determinazione del danno da reato e rinvia al giudice civile per la sua

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quantificazione, come pure affermato da questa Corte (con sentenze n.
42698/2008 e n. 26105/2009), con ulteriore conferma della infondatezza di
alcun automatismo di conversione.
4.2. Con il secondo motivo la ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 606,
comma 1, lett. b), cod. proc. pen., manifesta violazione dell’art. 125, comma 3,
cod. proc. pen. e dell’art. 309, comma 9, richiamato dall’art. 324, comma 7, cod.
proc. pen., in relazione al difetto di motivazione dell’ordinanza impugnata, che si
è limitata a richiamare precedenti giurisprudenziali “assolutamente distonici e

Secondo la ricorrente, sono in particolare contrastanti la già richiamata
sentenza n. 22602/2011, che esclude la conversione ope legis del vincolo di
cautela che presuppone la tempestiva attivazione da parte del titolare della
pretesa risarcitoria, e la successiva sentenza n. 11312/2013, che, al contrario,
ha affermato/evidenziato l’esistenza di un automatismo per cui la conversione
avverrebbe de plano per effetto del passaggio in giudicato della sentenza di
patteggiamento.

5. La parte civile con memoria depositata il 24 novembre 2014 eccepisce la
mancata notifica dell’avviso della fissazione dell’udienza camerale odierna,
informalmente conosciuto solo il precedente 21 novembre 2014; deduce in ogni
caso la legittimità dell’ordinanza impugnata e rappresenta l’intervenuta
riassunzione dell’azione risarcitoria in sede civile da parte del fallimento DKW
S. r. l.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso, il cui esame nel merito non è pregiudicato dalla eccezione in
rito della parte civile che, assumendo le sue conclusioni, vi ha implicitamente
rinunciato, è infondato.

2. Questa Corte ha più volte affermato che la conversione del sequestro
conservativo in pignoramento ai sensi dell’art. 320 cod. proc. pen. ha luogo
anche al passaggio in giudicato di sentenza di patteggiamento, dopo il quale ogni
provvedimento relativo al bene oggetto del vincolo rientra nella competenza del
giudice civile (tra le altre, Sez. 1, n. 22468 del 16/05/2007, dep. 08/06/2007,
Brunengo, Rv. 240466; Sez. 1, n. 25950 del 29/05/2008, dep. 27/06/2008,
Serraiocco, Rv. 240466; Sez. 5, n. 16312 del 08/02/2013, dep. 10/04/2013,
Velsecchi, Rv. 255190).
Tale principio è coerentemente correlato al rilievo che, in tema di cose
soggette a sequestro conservativo disposto a norma dell’art. 316 cod. proc. pen.,
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contrastanti tra loro”.

a differenza del regime stabilito nell’abrogato codice di procedura penale,
secondo il quale, dopo la sentenza irrevocabile, l’opposizione di qualsiasi
interessato al sequestro conservativo e l’esame delle domande di restituzione
costituivano materia di incidente di esecuzione da promuovere dinanzi al giudice
penale (artt. 612 e 624 cod. proc. pen. del 1930), il vigente codice di rito
attribuisce al passaggio in giudicato della condanna -cui è pacificamente
equiparata in linea generale la sentenza di applicazione pena ex art. 445, comma
1, ultima parte, cod. proc. pen. (tra le altre, Sez. 1, n. 22468 del 16/05/2007,

pignoramento, cui consegue che la competenza a giudicare domande di terzi
intese a contestare il vincolo imposto sul bene è funzionalmente devoluta al
giudice civile, dinanzi al quale la domanda va introdotta nelle forme
dell’opposizione del terzo al pignoramento (tra le altre, Sez. 1, n. 37579 del
27/06/2001, dep. 17/10/2001, Saetta, Rv. 220118; Sez. 1, n. 25950 del
29/05/2008, citata; Sez. 5, n. 16312 del 08/02/2013, citata).

3. Di tali condivisi principi il Tribunale, che li ha richiamati, ha fatto esatta
interpretazione, coerentemente applicandoli al caso in esame in cui il processo a
carico della ricorrente si è definito, dopo il disposto annullamento con rinvio di
precedente ordinanza, con sentenza del 26 maggio 2014, resa ex art. 444 cod.
proc. pen. dal Tribunale di Monza e divenuta irrevocabile il 10 luglio 2014, e
pervenendo al congruente giudizio finale della propria incompetenza a decidere
sia sulla perdurante efficacia del disposto sequestro sia sulla sua estensione,
oggetto di espressa statuizione contenuta nella medesima sentenza.

4. Non induce a diversa riflessione, e non determina la contestata
incongruenza motivazionale, né legittima la configurabilità di un contrasto
giurisprudenziale che richieda l’intervento risolutore delle Sezioni unite, il
principio affermato nella sentenza di questa Corte (Sez. 1, n. 22062 del
21/01/2011, dep. 01/06/2011, Gaucci, Rv. 250225), richiamata dalla ricorrente,
alla cui stregua, come da massimazione ufficiale, il sequestro conservativo
disposto sui beni dell’imputato, una volta che il processo sia definito con
sentenza di patteggiannento, perde efficacia soltanto ove l’azione risarcitoria, già
esercitata in sede penale, non sia tempestivamente riassunta in sede civile e
quindi iniziata nei termini previsti dall’art. 669-octies cod. proc. civ.
Il principio affermato, invero, non condiziona, contrariamente alla tesi
difensiva, la soluzione del problema oggetto di contestazione e che qui rileva,
attinente alla individuazione della competenza a decidere sul tema del sequestro
conservativo, sotto il duplice profilo della sua perdurante efficacia e della sua
estensione dopo la definitività della sentenza di applicazione di pena, poiché,
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citata)- l’effetto di convertire automaticamente il sequestro conservativo in

come condivisibilmente già rimarcato da questa Corte (Sez. 5, n. 16312 del
08/02/2013, citata, in motivazione), l’indicata sentenza non era volta a risolvere
tale problema, ma “soltanto quello della individuazione del momento in cui si
determini (o meno) la conversione del sequestro conservativo in pignoramento
oppure la cessazione di efficacia del sequestro conservativo dopo la definitività
suddetta” e, “nell’affermare che con la sentenza di patteggiamento il sequestro
non perde(va) immediatamente efficacia, non nega(va) comunque il passaggio
della competenza a decidere in capo al giudice civile”.

consegue alla irrevocabilità della sentenza e all’apertura della fase esecutiva,
osta il mancato decorso del termine di sessanta giorni previsto dall’art. 669octies cod. proc. civ., ha alcun fondamento nella stessa indicata sentenza, che
ha correlato la sopravvenuta inefficacia del sequestro conservativo, intanto
perdurante, al mancato inizio in detti termini dell’azione risarcitoria, mentre la
deduzione che la sentenza di patteggiamento è priva di statuizioni civilistiche,
interessanti profili risarcitori per danno da reato, non tiene conto comunque della
funzione di garanzia del sequestro anche successiva al momento del passaggio in
giudicato della sentenza di patteggiannento, sottolineata nella stessa sentenza
(che ha richiamato conformi precedenti), in relazione alle spese sostenute dalla
parte civile e ai crediti dell’erario per il pagamento delle spese di giustizia
processuale e (eventualmente) carcerarie, la cui statuizione è esecutiva nel detto
momento.

5. Il ricorso, pertanto, deve essere rigettato.
Al rigetto del ricorso segue di diritto la condanna della ricorrente al
pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese
processuali.
Così deciso in Roma, il 25 novembre 2014

Il Consigliere estensore

Il Presidente

Né l’osservazione, secondo cui a tale riserva di giurisdizione civile, che

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