Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 35919 del 14/08/2014


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Penale Sent. Sez. F Num. 35919 Anno 2014
Presidente: ZECCA GAETANINO
Relatore: SETTEMBRE ANTONIO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
MAGNI DAVIDE N. IL 09/02/1979
avverso la sentenza n. 51/2014 CORTE APPELLO di TORINO, del
30/05/2014
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ANTONIO
SETTEMBRE;
lette/sentite le conclusioni del PG Dott.

Uditi difensor Avv.;

Data Udienza: 14/08/2014

- Udito il Procuratore Generale della Repubblica presso la Corte di Cassazione,
dr. Enrico Delehaye, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. La Corte d’appello di Torino, con sentenza del 30/5/2014, ha disposto la
consegna all’autorità giudiziaria della Repubblica Ceca di Magni Davide, in

distrettuale di Praga 2 (pratica n. KVZ 111/2011), con la condizione che al
termine del procedimento a suo carico il medesimo sia rinviato in Italia per ivi
scontare la eventuale condanna irrogata.
Il Magni è accusato di truffa continuata aggravata commessa ai danni di diversi
istituti bancari di quel Paese in concorso con atri quattro cittadini italiani; reato
previsto dall’art. 209, comma 1, comma 4 lett. a), comma 5 lett. a) del codice
penale della Repubblica Ceca, punito con pena edittale massima di anni dieci.
Secondo l’accusa il Magni, nel periodo tra il 27-12-2009 e 1’1-1-2010, aprì,
insieme ai compici, alcuni conti correnti presso Istituti bancari della Repubblica
Ceca ottenendo il rilascio di carte di credito e carte di pagamento;
successivamente, mediante l’utilizzo di tali carte, eseguì – nonostante la
mancanza di adeguata provvista sui conti suddetti – ingenti pagamenti a favore
della Charter & Air Service s.r.I., con sede nella Repubblica Ceca, di cui Magni
era legale rappresentante, per un ammontare complessivo di 680.000 euro, con
successiva distrazione a favore proprio e dei complici, prima che si attivasse il
sistema di controllo bancario.

2. Contro la sentenza suddetta ha proposto ricorso per Cassazione, nell’interesse
dell’imputato, l’avv. Antonio Mencobello, per violazione dell’art. 6, commi 1 e 2,
dell’art. 9 e dell’art. 18, comma 1, lett. o) della L. 22 aprile 2005, n. 69. A
giudizio del ricorrente, la Corte d’appello avrebbe dovuto rifiutare la consegna
del Magni all’Autorità Giudiziaria Ceca per due motivi, uno di carattere
sostanziale ed un altro processuale.
2.1. Quanto al primo motivo, perché una “parte” del reato ipotizzato è stata
commessa in Italia, per le seguenti ragioni:
a) perché tutti gli imputati erano residenti in Italia;
b) perché “la falsa apparenza della sussistenza di provviste sui conti correnti in
essere presso gli Istituti di credito operanti nella Repubblica Ceca
necessariamente veniva creata mediante bonifici inviati dall’Italia”;
c) perché in Italia si è realizzato il profitto, dal momento che le operazioni di
prelievo sono state effettuate tramite POS collocati in Italia.

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esecuzione del mandato di arresto europeo emesso il 29/4/2014 dal Tribunale

2.2. Quanto al secondo motivo (quello di carattere processuale), perché “nel
MAE difettano elementi di conoscenza dell’ordinamento processuale della
Repubblica Ceca”, essenziali alla regolarità della procedura, così sintetizzati dal
ricorrente:
a) non è specificato se verrà applicata dall’Autorità Giudiziaria della Repubblica
Ceca una misura cautelare;
b) non sono specificate “le forme processuali accessibili nello stato di emissione
né i tempi di prescrizione”;

reperire Magni Davide, con indicazione di tre indirizzi attribuiti al medesimo, tutti
errati, risiedendo il predetto in Torino – via Mombasilio e mai neppure
domiciliato, in Largo Racconigi; via Vincenzo Vela e via Mombariglia”.
Lamenta, infine, che siano state disattese le istanze della difesa, “non
soltanto di carattere giuridico, ma altresì a sostegno degli indizi elaborati nel
MAE come la copia dei conti correnti e delle visure societarie” e che la Corte di
merito si sia sottratta all’onere “di chiedere informazioni allo Stato emittente per
una completa conoscenza della vicenda, soprattutto con riguardo alle
competenze processuali della consegna all’Autorità Giudiziaria della Repubblica
Ceca”.

3. Con “motivi aggiunti” pervenuti nella Cancelleria di questa Corte il 7 agosto
2014, il ricorrente ha meglio illustrato il primo motivo, relativo al luogo di
commissione del reato, argomentando circa il luogo di ideazione della condotta
criminosa e il luogo di conseguimento del profitto (entrambi – ripete -in Italia).
Ha introdotto, poi, due ulteriori motivi di ricorso.
3.1. Il primo è relativo al “titolo” di consegna contenuto nel MAE. Deduce che, in
base all’art. 6, lett. c), della L. 69/2005, è esclusa la consegna ad un’Autorità
Giudiziaria straniera di soggetti che debbono essere sottoposti ad atti di
istruzione (come confronti ed interrogatori) e che non si è di fronte, nel caso di
specie, né a sentenza definitiva di condanna, né a provvedimento cautelare né a
decisione giudiziaria esecutiva. Al contrario, come è esposto nel MAE, la
consegna è richiesta per “il recapito della decisione sull’introduzione del
procedimento penale e citazione all’interrogatorio presso gli organi competenti
nel procedimento penale”. Attività, aggiunge, che non può portare alla
limitazione della libertà personale né in base alla L. 69/2005, né in base ai
principi della Costituzione italiana (art. 13) e a quelli della Convenzione per la
salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali firmata a Roma il
4/11/1950.
3.2. Il secondo introduce un vizio di motivazione del provvedimento impugnato.
Deduce che la sentenza della Corte d’appello non specifica quale sia il

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c) è riportata “un’attività di ricerca preliminare alla notifica del MAE diretta a

provvedimento dell’Autorità giudiziaria estera che costituisce il presupposto del
MAE.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso è infondato per i motivi di seguito esposti.
1. Come emerge dalla lettura del MAE e della relazione illustrativa ad esso
allegata, i fatti, ivi puntualmente descritti, si sono interamente consumati nel

del Magni e dei complici; dove sono state ottenute, dagli istituti di credito ivi
operanti, carte di pagamento e di credito utilizzate per i vari passaggi di denaro;
dove è stata costituita ed aveva sede legale la “Charter & Service s.r.l.”, sul
conto della quale sono stati fatti confluire i pagamenti disposti con le carte di
pagamento e di credito; dove sono state depositate le somme necessarie
all’accensione dei conti e, quindi, fraudolentemente trasferite dal conto sociale a
quelli individuali degli indagati, tra cui il Magni, con sofisticate operazioni
bancarie, tutte attuate in territorio ceco.
L’estratto conto allegato alla memoria difensiva depositata nella giornata del
7 agosto 2014 non smentisce le complicate movimentazioni bancarie compiute
nella Repubblica Ceca, analiticamente riportate nella documentazione trasmessa
dallo Stato di emissione, e non è prova dello svolgimento, in Italia, di una parte
della condotta, poiché esso attiene a passaggi di denaro che interessano una
società (la “Travel Service”) ed una banca italiana (Banca popolare di Intra)
estranee ai fatti descritti nel MAE e che sono, in ogni caso, successivi alla
definitiva apprensione delle somme da parte degli indagati. Per il resto, nessun
rilievo ha la circostanza che tutti gli indagati fossero residenti in Italia,
trattandosi di un fatto che non è idoneo a identificare il locus commissi delicti;
perché non è provata, e non ha comunque giuridico rilievo, la circostanza che la
provvista necessaria all’accensione dei conti bancari sia venuta dall’Italia,
trattandosi di attività antecedente alla truffa, rispetto a cui si pone come
antefatto senza integrare, nemmeno in parte, la condotta “tipica”; perché è solo
assertiva l’affermazione che l’ideazione della truffa sia avvenuta in Italia.

2. Le critiche che si appuntano sulla forma del MAE, formulate col ricorso
originario, esulano dal novero dei vizi idonei a provocarne l’annullamento. Non è
certo il MAE che deve fornire gli “elementi di conoscenza dell’ordinamento
processuale della Repubblica Ceca” o la specificazione delle “forme processuali
accessibili nello stato di emissione”, ovvero l’indicazione dei “tempi di
prescrizione” del reato, trattandosi di informazioni che non sono affatto
necessarie alla validità del mandato, che deve avere – nella procedura passiva di
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territorio della Repubblica Ceca, dove sono stati accesi i conti correnti da parte

consegna – il contenuto prescritto dall’art. 6 della L. 69 del 2005; ovverossia, le
indicazioni necessarie all’identificazione del destinatario, la specificazione del
provvedimento giudiziario da eseguire, del reato e degli elementi di collegamento
dell’estradando col reato, oltre che l’indicazione delle possibili conseguenze del
reato. Elementi tutti desumibili dal mandato di cui si discute.

3. Infondate, infine, sono le doglianze espresse nei motivi aggiunti. Il
provvedimento posto a base del MAE (“mandato d’arresto” emesso dal Tribunale

comparizione dell’imputato in relazione al procedimento a suo carico, secondo il
paragrafo 76/a, comma 1, codice penale ceco, che ciò prevede, non essendo
stato possibile ottenere la comparizione dell’imputato dinanzi all’Autorità
Giudiziaria di quel paese, per informarlo dell’esistenza del procedimento e
sottoporlo ad “interrogatorio”, nonostante i tentativi di notifica effettuati
mediante “contatto diretto” e, per tre volte, in via di collaborazione giudiziaria
internazionale, ed essendosi tratto da ciò il convincimento, insindacabile in
questa sede, che egli voglia sottrarsi alla comparizione davanti all’a.g..
Esso ha natura di provvedimento coercitivo, che, sia pure finalizzato ad esigenze
processuali, è titolo idoneo a fondare la emissione di un mandato di arresto
europeo, dato che la L. 22 aprile 2005, n. 69, art. 6, comma 1, lett. c), si
riferisce a ogni provvedimento di natura coercitiva emesso dall’a.g. dello Stato di
emissione, qualunque ne siano i motivi, purché inerenti, come nella specie, al
processo.
Non essendo detto provvedimento fondato su ragioni incompatibili con i diritti
fondamentali dell’imputato, in relazione sia ai principi della Costituzione
Repubblicana sia a quelli enunciati nella Convenzione europea dei diritti
dell’uomo (CEDU), e considerato che non possono essere dall’a.g. dello Stato di
esecuzione sindacate le valutazioni discrezionali che hanno condotto l’a.g. dello
Stato emittente alla sua adozione, i motivi da ultimo avanzati non appaiono
avere alcun fondamento giuridico. E’ il caso di rilevare che questa Corte si è già
occupata di un caso simile, nel quale la persona destinataria della richiesta di
consegna aveva denunciato l’erronea applicazione della legge n. 69 del 2005,
art. 1, comma 2, rilevando che a base del MAE non vi era un provvedimento
cautelare ma solo un ordine di accompagnamento coattivo, emesso al mero
scopo di consentire la sua presenza in udienza; atto che quindi mirava al
soddisfacimento di mere esigenze processuali e che non poteva costituire valido
titolo per la consegna. In quella sede la Corte ha precisato che “qualsiasi
provvedimento di coercizione personale, sia pure finalizzato ad esigenze
processuali, è titolo idoneo a fondare la emissione di un mandato di arresto
europeo, dato che la legge 22 aprile 2005, n. 69, art. 6, comma 1, lett. c), si

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distrettuale di Praga 2 il 29/4/2014) ha natura di ordine di arresto finalizzato alla

riferisce a ogni emesso dall’A.G. dello Stato di
emissione, qualunque ne siano i motivi, purché inerenti, come nella specie, al
processo” (fra le altre, Sez. 6, n. 2711 del 20/01/2010, Malvetta, Rv. 245793;
Sez. 6, n. 45043 del 20/12/2010, Velardi, Rv. 249219). E ha aggiunto che l’art.
1, comma 2, della medesima legge definisce il MAE come “una decisione
giudiziaria emessa (…) in vista dell’arresto e della consegna (…) di una persona,
al fine dell’esercizio di azioni giudiziarie in materia penale o dell’esecuzione di
una pena o di una misura sicurezza privative della libertà personale”, con la

fondamento di una misura “privativa della libertà personale” (Sez. 6, n. 20282
del 24/04/2013, dep. 10/05/2013 Radosavljevic Rv. 252867).
E’ stato, inoltre, affermato che, in tema di mandato di arresto europeo, può
essere data esecuzione ad una richiesta di consegna basata su un provvedimento
cautelare “interno”, che contenga un generico riferimento ad eventuali attività
istruttorie, senza collegare i termini di durata della consegna all’espletamento di
specifici atti (Sez. 6, n. 45043 del 20/12/2010, dep. 22/12/2010, Velardi, Rv.
249219); e che la consegna è legittima anche nel caso mandato emesso al fine
di ottenere la presenza di un imputato per il compimento di uno specifico atto
istruttorio (Sez. 6, n. 51511 del 18/12/2013, dep. 19/12/2013, Lampugnani, Rv.
258510).
La correttezza dell’interpretazione, secondo la quale anche l’esercizio
dell’azione penale è condizione che legittima l’emissione di un mandato di
arresto europeo, è confermata dalla disposizione di cui all’art. 19, comma 1, lett.
c), legge n. 69 del 2005, di cui la Corte di appello ha fatto corretta applicazione
nella sentenza impugnata, a termini della quale, “se la persona oggetto del
mandato d’arresto europeo è cittadino o residente
dello Stato italiano, la consegna è subordinata alla condizione che la persona,
dopo essere stata ascoltata, sia rinviata nello Stato membro di esecuzione per
scontarvi la pena o la misura di sicurezza privativa della libertà personale
eventualmente pronunciate nei suoi confronti nello Stato membro di emissione”.
Diverso, invece, è il caso dell’interrogatorio previsto dall’art. 15 della legge
n. 69 del 2005, impropriamente richiamato dal ricorrente per escludere che esso
possa costituire finalità legittima di un mandato di arresto europeo, giacché la
norma suddetta fa chiaro riferimento all’interrogatorio interno al procedimento
speciale di consegna e non all’ascolto della persona richiesta nel procedimento
penale per cui è stato emesso il MAE davanti all’autorità dello Stato richiedente.
Nel caso in esame, dunque, come si evince dalla lettura degli atti trasmessi,
finalizzati ad ottenere coattivamente la presenza del Magni per informarlo del
procedimento e procedere al suo interrogatorio davanti all’Autorità giudiziaria
della Repubblica Ceca, dopo numerosi tentativi di contatto diretto e a mezzo di

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conseguenza che anche le “azioni giudiziarie” possono essere poste a

collaborazione giudiziaria internazionale, tutti risultati vani, va affermata la
legittimità e riconoscibilità del titolo legittimante il MAE, costituito da un
provvedimento cautelare interno (espressamente denominato “mandato
d’arresto” emesso il 29 aprile 2014 dal Tribunale di Praga) al fine di esercitare
l’azione penale nei confronti del Magni per concorso in truffa (frode) aggravata e
assicurarne l’informazione del processo e la partecipazione ad esso.

4. Consegue a tanto che il ricorso va rigettato e il ricorrente condannato al

La cancelleria curerà gli adempimenti di cui all’art. 22, comma 5, legge n.
69 del 2005.

P.Q. M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Comunicazioni secondo legge n. 69 del 2005, art. 22.
Così deciso, in Roma, in data 14 agosto 2014.

pagamento delle spese processuali.

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