Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 35915 del 11/11/2014


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 35915 Anno 2015
Presidente: SIOTTO MARIA CRISTINA
Relatore: TARDIO ANGELA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
CAPOCCIA ROBERTO, nato il 22/01/1959
avverso l’ordinanza n. 36/2013 TRIBUNALE SORVEGLIANZA di
CAMPOBASSO del 16/12/2013;

sentita la relazione fatta dal Consigliere dott. Angela Tardio;
lette le conclusioni del Procuratore Generale in persona del dott.
Antonio Gialanella, che ha chiesto dichiararsi inammissibile o, in via
subordinata, rigettarsi il ricorso, con ogni consequenziale statuizione
ex art. 616 cod. proc. pen.

Data Udienza: 11/11/2014

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza del 16 dicembre 2013 il Tribunale di sorveglianza di
Campobasso, decidendo nel procedimento instaurato per la trattazione delle
istanze di detenzione domiciliare ex art.

16-nonies legge n. 82 del 1991, di

affidamento al servizio sociale ex art. 47 Ord. Pen. e di detenzione domiciliare ex

presentazione della domanda- nella Casa circondariale di Campobasso in
espiazione della pena di anni diciassette, mesi nove e giorni undici di reclusione,
giusta provvedimento di cumulo del 28 maggio 2010 della Procura Generale
presso la Corte di Appello di Lecce, con fine pena al 18 febbraio 2017, ha
rigettato la richiesta di detenzione domiciliare proposta in deroga alla normativa
ordinaria e ha dichiarato inammissibili le ulteriori richieste.
Il Tribunale rilevava, a ragione della decisione, che:
– l’istante, collaboratore di giustizia, era stato ammesso già una prima volta
al beneficio della detenzione ai sensi dell’indicato art.

16-nonies con ordinanza

del Tribunale di sorveglianza di L’Aquila del 7 giugno 2011, ricorrendo i
presupposti dell’avvenuta espiazione di almeno un quarto della pena, della
importanza della collaborazione prestata e della corretta condotta carceraria;
– tale misura, sospesa provvisoriamente dal Magistrato di sorveglianza di
Roma in data 4 agosto 2012, era stata revocata dal Tribunale di sorveglianza di
Roma con ordinanza del 4 settembre 2012 in quanto l’istante era evaso dal
domicilio il 29 luglio 2012 ed era stato poi arrestato, si era ritenuta inconferente
la giustificazione offerta e si era valorizzata la protrazione del suo allontanamento
dal domicilio per diciotto giorni consecutivi;
– in relazione alla entità della pena e alla data della sua decorrenza (23
gennaio 2003), doveva verificarsi, ai fini della concessione dei benefici
penitenziari, la sussistenza della condizione del ravvedimento del collaboratore,
non presumibile sulla base della sola avvenuta collaborazione e dell’assenza di
persistenti collegamenti del condannato con la criminalità organizzata,
richiedendosi la presenza di ulteriori specifici elementi che valessero a
dimostrarne in positivo l’effettiva sussistenza, sia pure in termini di ragionevole
probabilità;
– tali elementi non erano riscontrabili nella specie, poiché la condotta tenuta
dall’istante durante la detenzione domiciliare era stata censurabile e inidonea a
far considerare sicuro il suo ravvedimento, avuto anche riguardo alla
giustificazione fornita, ulteriormente indicativa della consapevolezza della
violazione, mentre la gravità impressionante dei delitti commessi, l’ulteriore

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art. 47-ter Ord. Pen., avanzate da Capoccia Roberto, detenuto -all’epoca della

condanna per il delitto di evasione e la lontananza della fine della pena
rendevano opportuno un ulteriore periodo di osservazione penitenziaria;
– la commissione del delitto di evasione precludeva l’ammissibilità delle altre
istanze ai sensi dell’art. 58-quater cod. pen.

2. Avverso detta ordinanza ha proposto ricorso per cassazione, per mezzo
del suo difensore avv. Giancarlo Raco, l’interessato Capoccia, che ne chiede
l’annullamento sulla base di unico motivo, con il quale denuncia inosservanza ed

47-ter Ord. Pen. e manifesta illogicità della motivazione, ai sensi dell’art. 606,
comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen.
2.1. Secondo il ricorrente, il Tribunale ha escluso la sussistenza del requisito
del ravvedimento, con riguardo alla richiesta avanzata ai sensi dell’art.

16-nonies

legge n. 82 del 1991, argomentando unicamente con riferimento al suo
allontanamento dal domicilio il 29 luglio 2012, in contrasto con la giurisprudenza
di legittimità, secondo cui il ravvedimento deve essere valutato avendo riguardo
alla condotta complessiva del collaboratore di giustizia.
Né la condanna per il delitto di evasione è automaticamente preclusiva della
possibilità di concessione dei benefici penitenziari, dovendo il giudice procedere
all’esame approfondito della personalità del condannato, soprattutto quando,
come nella specie, non è intervenuta alcuna condanna per l’episodio di
allontanamento dal domicilio.
2.2. Del tutto illogici sono, inoltre, gli argomenti che riguardano la gravità
impressionante dei delitti commessi, l’ulteriore condanna per il delitto di evasione
e la lontananza della fine della pena, poiché la tipologia e gravità dei fatti erano
evidenti già prima che egli, divenuto collaboratore, fosse ammesso la prima volta
alla detenzione domiciliare ex art. 16-nonies legge n. 82 del 1991; la condanna
per il delitto di evasione “non esiste” alla luce delle emergenze del certificato del
casellario giudiziale; il residuo pena è stato illogicamente qualificato come
lontano sebbene fosse del tutto compatibile con quello che, in via generale,
consente l’affidamento al servizio sociale ex art. 47 Ord. Pen., anche a
prescindere dalla qualità di collaboratore.
2.3. Censurabile è anche la declaratoria d’inammissibilità delle ulteriori
istanze, avanzate in via subordinata, di affidamento in prova al servizio sociale e
di detenzione domiciliare, motivata in relazione alla commissione del delitto di
evasione per il quale non ha riportato alcuna condanna, a ciò conseguendo che
non può applicarsi il divieto di concessione dei benefici, di cui all’art. 58-quater,
commi 1 e 3, Ord. Pen., e a maggior ragione non ricorre la fattispecie di cui ai
commi 5 e segg. della stessa disposizione, che postula che il condannato, nel
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erronea applicazione dell’art. 16-nonies legge n. 82 del 1991 e degli artt. 47 e

porre in essere una condotta punibile a norma dell’art. 385 cod. pen., abbia
commesso un ulteriore delitto di una certa gravità.

3. Il Procuratore Generale presso questa Corte ha depositato requisitoria
scritta, concludendo per la declaratoria d’inammissibilità e in via subordinata per
il rigetto del ricorso.

1. Il ricorso, nel suo complesso infondato, deve essere rigettato.

2. Questa Corte ha più volte affermato che, ai fini della concessione dei
benefici penitenziari in favore dei collaboratori di giustizia, il requisito del
“ravvedimento” previsto dall’art. 16-nonies d.l. n. 8 del 1991 n. 8, convertito
nella legge n. 82 del 1991, come introdotto dall’art. 14 legge n. 45 del 2001, non
può essere oggetto di una sorta di presunzione, formulabile sulla sola base
dell’avvenuta collaborazione e dell’assenza di persistenti collegamenti del
condannato con la criminalità organizzata, ma richiede la presenza di ulteriori,
specifici elementi, di qualsivoglia natura, che valgano a dimostrarne in positivo,
sia pure in termini di mera ragionevole probabilità, l’effettiva sussistenza (tra le
altre, Sez. 1, n. 48505 del 18/11/2004, dep. 16/12/2004, Furioso, Rv. 230137;
Sez. 1, n. 34283 del 12/07/2005, dep. 23/09/2005, Pepe, Rv. 232219; Sez. 1, n.
1115 del 27/10/2009, dep. 13/01/2010 Brusca, Rv. 245945; Sez. 1, n. 48891 del
30/10/2013, dep. 05/12/2013, Marino, Rv. 257671).
Si è, infatti, puntualizzato che la facoltà di ammettere alle misure alternative
soggetti sottoposti a programma di protezione a norma della legge n. 82 del
1991 anche in deroga alle disposizioni vigenti (come già previsto dall’art. 13-ter,
comma 2, della detta legge, abrogato dall’art. 7 legge n. 45 del 2001, e ora
dall’art.

16-nonies, comma 4, introdotto dall’art. 14 stessa legge) riguarda

soltanto le limitazioni in tema di condizioni di ammissibilità, ma non si estende ai
presupposti relativi all’emenda di tali soggetti e alla finalità di conseguire la loro
stabile rieducazione, previsti dalle norme dell’ordinamento penitenziario e rimessi
alla valutazione discrezionale della magistratura di sorveglianza (Sez. 1, n. 665
del 28/01/2000, dep. 06/03/2000, Tibaldi, Rv. 215495), né si sottrae al criterio
della valutazione discrezionale da parte del giudice, che deve riguardare, al di là
dell’indefettibile accertamento delle condizioni soggettive di ammissibilità,
l’opportunità del trattamento alternativo e concernere le premesse meritorie e
l’attingibilità concreta del beneficio, in relazione alla personalità del condannato

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CONSIDERATO IN DIRITTO

(Sez. 1, n.5523 del 24/10/1996, dep. 04/12/1996, Chiofalo, Rv. 206185; Sez. 1,
n. 3367 del 18/10/2000, dep. 29/01/2001, P.G. in proc. Nistri, Rv. 218043).
Il ravvedimento, previsto dall’art. 16-noníes legge n. 8 del 1991, postula, in
particolare, una valutazione globale della condotta del soggetto, in modo da
accertare se l’azione rieducativa, complessivamente svolta (realizzata anche in
virtù della corretta gestione di tutti i benefici penitenziari già fruiti) abbia
prodotto il risultato del compiuto ravvedimento del reo. Tra i vari elementi di
valutazione del sicuro ravvedimento del reo e del suo riscatto morale vanno presi

carcerario e i compagni di detenzione, nonché lo svolgimento di un’attività
lavorativa o di studio per verificare se c’è stata da parte del reo una revisione
critica della sua vita anteatta e una reale ispirazione al suo riscatto morale (Sez.
1, n. 3675 del 16/01/2007, dep. 31/01/2007, Tedesco, Rv. 235796; Sez. 1, n.
9887 del 01/02/2007, dep. 08/03/2007, Pepe, Rv. 236548), o manifestazioni di
resipiscenza, tra le quali concrete iniziative riparatorie nei confronti di chi ha
subito le conseguenze dei reati commessi, dotate di forza e ampiezza tali da
rivelare un serio intento di riconciliazione con la società civile gravemente offesa
(Sez. 1, n. 1115 del 27/10/2009, citata).

3. Di questi condivisi principi l’ordinanza impugnata, che li ha richiamati, ha
fatto esatta interpretazione e corretta applicazione.
3.1. Il Tribunale, congruamente rappresentando le evidenze fattuali
disponibili, ha logicamente argomentato in ordine alla non ravvisabilità nella
condotta dell’istante, collaboratore di giustizia ammesso al programma di
protezione, di un sicuro ravvedimento, evidenziando che lo stesso, già ammesso
al beneficio della misura della detenzione domiciliare in deroga, in presenza dei
presupposti di ammissibilità previsti dall’invocato art. 16-noníes legge n. 82 del
1991, aveva violato la prescrizione fondamentale di non allontanarsi dal suo
domicilio, protraendo detto allontanamento per diciotto giorni consecutivi e
riscontrando, con le stesse inconferenti giustificazioni fornite, la sicura e
deliberata volontà di commettere la violazione ascrittagli.
Nel suo percorso argomentativo il Tribunale, che ha dato atto nella parte
espositiva che, per detta condotta, nei confronti dell’istante è stata prima sospesa
il 4 agosto 2012 dal Magistrato di sorveglianza di Roma e poi revocata il 4
settembre 2012 dal Tribunale di sorveglianza di Roma la misura della detenzione
domiciliare già concessa, ha ragionevolmente evidenziato la certa opportunità di
un ulteriore periodo di osservazione penitenziaria del medesimo istante, che ha
coerentemente correlato sia ai gravi precedenti penali e alla ulteriore condanna
per il delitto di evasione sia alla lontananza della fine della pena.

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in considerazione, in via esemplificativa, i rapporti con i familiari, il personale

3.2. Tali apprezzamenti, coerenti rispetto al sistema delle misure alternative
e delle loro finalità anche in presenza della disciplina derogatoria per i
collaboratori di giustizia, sono ragionevolmente fondati anche sul curriculum
criminale dell’istante e sulla sua personalità (tra le altre, Sez. 1, n. 36141 del
30/06/2004, dep. 09/09/2004, Dell’Arte, Rv. 2295819) e sono correttamente
improntati alla necessità di approfondire nel tempo l’osservazione della
personalità e al connesso principio della gradualità del trattamento nella
concessione di benefici penitenziari, ripetutamente affermato da questa Corte

Sez. 1, n. 20551 del 04/02/2011, dep. 24/05/2011, P.G. in proc. D’Ambrosio, Rv.
250231).

4. A fronte delle svolte considerazioni sono privi di giuridico pregio i rilievi e
le osservazioni difensive, che infondatamente non tengono conto dello sviluppo
del ragionamento sotteso al disposto rigetto, che ha riguardato -senza limitarsi
alla sola argomentazione riguardante l’allontanamento del ricorrente dal domicilio
il 29 luglio 2012 e senza trascurare la normativa speciale- la complessiva
condotta del medesimo, la durata del suo allontanamento, le giustificazioni
offerte, l’apprezzamento, già intervenuto in sede giudiziaria, della rilevanza della
violazione e la gravità dei suoi precedenti penali; contrappongono una, non
consentita in questa sede, diversa lettura della valenza degli stessi precedenti e
della durata della pena residua, logicamente valorizzati gli uni e l’altra in vista
della valutazione della nuova concedibilità del beneficio, già revocato per grave
condotta trasgressiva, ed eccepiscono, senza offrire la dimostrazione della
deduzione e della sua incidenza sulla tenuta della motivazione, l’assenza di
condanna per evasione.

5. Priva di fondamento è, infine, la censura che attiene alla contestata
declaratoria d’inammissibilità delle subordinate istanze di affidamento in prova e
di detenzione domiciliare.
E invero, se la commissione del reato di evasione, enunciata a ragione di tale
declaratoria, non è sufficiente a fondare una pronuncia d’inammissibilità a norma
dell’art. 58-quater, comma 1, Ord. Pen. ove non vi sia un riconoscimento di
colpevolezza (tra le altre, Sez. 1, n. 9827 del 05/02/2009, dep. 04/03/2009,
Mosca, Rv. 243293; Sez. 1, n. 18127 del 06/05/2010, dep. 13/05/2010, Zoccoli,
Rv. 247080), è comunque assorbente il rilievo -a parte la considerazione della
comunque indimostrata fondatezza della deduzione di tale mancanza- della
operatività del divieto di concessione fissato dal secondo comma della medesima
disposizione, posta la pregressa revoca con ordinanza del 4 settembre 2012 della
misura della detenzione domiciliare precedentemente concessa al ricorrente, e
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(tra le altre, Sez. 1, n. 5689 del 18/11/1998, dep. 26/03/1999, Foti, Rv. 212794;

tenuto conto della possibilità per questa Corte condivisibilmente rimarcata dal
Procuratore Generale nella sua requisitoria, di rettificare la motivazione del
provvedimento impugnato a fronte della correttezza della soluzione della
questione in diritto (tra le altre Sez. 2, n. 3706 del 21/01/2009, dep.27/01/2009,
P.C. in proc. Haggag, Rv. 242634; Sez. 2, n. 19696 del 20/05/2010,
dep. 25/05/2010, Maugeri e altri, Rv. 247123).

6. Al rigetto del ricorso segue per legge, in forza del disposto dell’art. 616

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali.
Così deciso in Roma, in data 11 novembre 2014

Il Consigliere estensore

Il Presidente

cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

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