Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 3591 del 30/10/2014


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 3591 Anno 2015
Presidente: SAVANI PIERO
Relatore: SETTEMBRE ANTONIO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
VITA SALVATORE N. IL 25/05/1975
avverso l’ordinanza n. 176/2014 TRIB. LIBERTA’ di CATANZARO,
del 22/04/2014
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ANTONIO
SETTEMBRE;
lette/sentite le conclusioni del PG Dott.

Uditi difensor Avv.;

Data Udienza: 30/10/2014

- Udito il Procuratore Generale della Repubblica presso la Corte di Cassazione,
dr. Oscar Cedrangolo, che ha concluso per il rigetto del ricorso.
– Udito, per il ricorrente, l’avv. Alfredo Gaito, che ha chiesto l’accoglimento del
ricorso.
RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza del 22 aprile 2014 il Tribunale del riesame di Catanzaro,
decidendo su rinvio disposto da questa Corte, ha confermato, in parte,

delle indagini preliminari del locale Tribunale il 9 maggio 2013 nei confronti di
Vita Salvatore per reati di associazione a delinquere (capo A), usura in danno di
Famigliolo Franco (capi L-M) ed estorsione in danno di Restuccia Vincenzo (capo
E1), entrambi aggravati ai sensi dell’art. 7 L. 203/91.
2. Le vicende che hanno portato all’arresto del Vita sono state così ricostruite
nell’ordinanza impugnata.
2.1. CAPI L-M. A maggio del 2009 Famigliolo Franco, a corto di liquidità, si
rivolse a Comerci Francesco per un prestito di 20 mila euro, che quest’ultimo gli
procurò attraverso la “famiglia” mafiosa dei Tripodi. L’odierno prevenuto (Vita
Salvatore) avrebbe riscosso – per conto dell’erogante – la somma di C 2.000
dovuta mensilmente a titolo di interessi fino al mese di novembre 2011.
Il Tribunale ha ritenuto sussistente il quadro di gravità indiziaria per il
reato di usura in danno di Famigliolo sulla scorta delle dichiarazioni di
quest’ultimo, nuovamente valutate alla luce dei rilievi svolti dal giudice
rescindente; sulla scorta di intercettazioni telefoniche, che hanno – secondo i
giudicanti – confermato il racconto della persona offesa; sulla scorta delle
investigazioni di polizia, dalle quali sarebbe emerso lo stretto legame tra Comerci
e Vita con la famiglia Tripodi (Comerci era, unitamente alla moglie, socio della
Edil Sud Costruzioni srl, gestita, in realtà, da Tripodi Nicola; Vita Salvatore era
direttore tecnico della T5 Costruzioni, società partecipata da Tripodi Sante Mario
e da Mantino Mariantonia, moglie di Tripodi Salvatore, nonché società coinvolta
in episodi estorsivi). L’aggravante dell’art. 7 L. 203/91 è collegata – nel giudizio
del Tribunale – alla finalità agevolatrice, a vantaggio dell’associazione mafiosa
diretta da Tripodi, dell’attività spiegata dal prevenuto.
2.2. CAPO E1. Vita Salvatore, insieme ad un membro della famiglia Tripodi, si
presentò in più occasioni sul cantiere gestito dalla Costruzioni Restuccia srl
chiedendo di intervenire nei lavori con mezzi propri o attraverso la fornitura di
materiali. Restuccia accondiscese perché implicitamente minacciato. La gravità
indiziaria è stata desunta dalle dichiarazioni di Restuccia Vincenzo e da
intercettazioni telefoniche intercorse tra Arena Antonio, geometra della
Costruzioni Restuccia srl, e un tale Saverio. L’aggravante dell’art. 7 L. 203/91
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l’ordinanza applicativa della custodia cautelare in carcere emessa dal Giudice

discende dall’utilizzo del metodo mafioso utilizzato dal prevenuto per attuare la
costrizione sopra specificata.
2.3. CAPO A. La partecipazione di Vita Salvatore alla cosca Tripodi è provata nel giudizio del Tribunale – dal pieno inserimento del prevenuto, quale direttore
tecnico, nella T5 Costruzioni, utilizzata per l’esecuzione di lavori di sub-appalto
ottenuti mediante minacce alle ditte appaltatrici e dal concorso di Vita nei delitti
nei delitti di usura ed estorsione esaminati precedentemente.
L’esistenza e l’operatività, nel vibonese, della cosca Tripodi è provata, infine,

altresì, di incontri tra la famiglia Tripodi ed esponenti della cosca Mancuso.

2.0. Avverso tale provvedimento hanno proposto ricorso per Cassazione,
nell’interesse dell’indagato, gli avvocati Anselmo Torchia e Giuseppe Bagnato per
violazione di legge e vizio di motivazione.
2.1. I ricorrenti lamentano che il giudice del rinvio non abbia assolto al compito
assegnatogli dalla Suprema Corte, così da loro sintetizzato: quanto ai capi L)-M),
sottoporre a verifica puntuale e rigorosa le dichiarazioni di Famigliolo, anche alla
luce dei rilievi difensivi, tenuto conto del fatto che le sue dichiarazioni non erano
state confortate dagli accertamenti di polizia; quanto al capo El), chiarire quali
fossero state le minacce rivolte a Restuccia per indurlo ad affidare una parte dei
lavori appaltati alla T5 Costruzioni, anche in considerazione del fatto che il
destinatario diretto delle minacce (il geom. Arena) non era stato sentito dagli
inquirenti e del fatto che, dopo l’interruzione del rapporto lavorativo, la T5
Costruzioni si era rivolta al Tribunale per ottenere il pagamento delle sue
spettanze; quanto al capo A), specificare quali fossero gli elementi da cui
desumere l’inserimento del Vita nella compagine associativa e perché i reati fine
a lui contestati fossero collegati con le attività specifiche della compagine
suddetta.
Tanto premesso, deducono il mancato superamento, da parte del Tribunale del
riesame, delle criticità rilevate dal giudice rescindente, in quanto:
– le verifiche demandate alla polizia giudiziaria sulla effettiva negoziazione degli
assegni menzionati dal Famigliolo non hanno riscontrato le dichiarazioni di
quest’ultimo e le intercettazioni riportate nell’ordinanza non provano il
coinvolgimento di Vita nell’operazione usuraria. Lo stesso Tribunale, peraltro, ha
ritenuto “non coerenti” le dichiarazioni di Famigliolo rese in relazione ad altra
vicenda usuraria (riguardante il coindagato Acanfora), pure da lui denunciata,
per cui la sua credibilità ne esce viepiù intaccata, essendovi interferenza fattuale
e logica tra le parti del suo racconto. Sempre in relazione ai capi L)-M),
contestano la congruenza logica del ragionamento spiegato in ordine
all’aggravante dell’art. 7 L. 203/91, essendo stato provato solo il rapporto tra

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dalle dichiarazioni di numerosi collaboratori di giustizia, che hanno riferito,

Vita e Tripodi Sante Mario, ritenuto, dallo stesso Tribunale, estraneo
all’associazione, e non essendo stato verificato il collegamento con Tripodi Nicola
(presunto capo cosca);
– in relazione al capo E1, non sono state tenute nella debita considerazione le
informazioni raccolte in sede di indagine difensiva (dichiarazioni di Arena
Antonio), da cui emergerebbe che nessuna minaccia fu esercitata nei confronti
del Restuccia. Inoltre, non è stato considerato che, dopo la cessazione del
rapporto lavorativo, la T5 Costruzioni si rivolse al giudice per ottenere il

– in relazione al reato associativo, contestano che le scarne indicazioni contenute
nell’ordinanza genetica, a cui fa rinvio il Tribunale, siano dimostrative d’esistenza
di un’autonoma cosca Tripodi, attualmente operante nel vibonese. In ogni caso,
contestano che gli elementi addotti dal Tribunale siano significativi della
partecipazione di Vita alla cosca suddetta, essendo del tutto carente la
dimostrazione del collegamento tra i reati fine, contestati al prevenuto, e
l’attività della pretesa associazione, una volta escluso il concorso di Tripodi Sante
Mario nel reato associativo ed una volta accertato che la T5 Costruzioni venisse
utilizzata per l’esecuzioni di lavori di sub-appalto ottenuti mediante minaccia (i
ricorrenti riportano il contenuto della nota della Polizia Tributaria del 3/10/2013,
da cui risulterebbe che gli appalti complessivamente ottenuti da imprese
riconducibili alla cosca Tripodi sono di scarsa rilevanza).
Infine, i ricorrenti ripropongono l’eccezione di incompetenza territoriale,
che, deducono, è stata immotivatamente disattesa dal giudicante.

3. Con memoria a firma dell’avv. Alfredo Gaito depositata in data 23/10/2014
sono stati ulteriormente approfonditi i motivi di ricorso ed è stato sottolineato
che – a giudizio del ricorrente – non sono state rispettate le prescrizioni del
giudice rescindente in ordine ai criteri di valutazione della prova; prova che,
quanto all’esistenza di un’autonoma associazione a delinquere diretta da Nicola
Tripodi, non può passare semplicisticamente attraverso l’analisi della gravità
indiziaria relativa alla commissione dei reati scopo. Lamenta, quanto al giudizio
di intraneità formulato nei confronti del Vita, che non sia stata dimostrata la
strumentalità della T5 Costruzioni rispetto alle ragioni di esistenza
dell’associazione, né sia stata dimostrata la commissione – nell’interesse
dell’associazione – dei due reati fine contestati. Contesta che gli elementi indiziari
esposti nell’ordinanza siano significativi di una partecipazione di Vita all’usura e
all’estorsione, e, ancor più, della sussistenza dell’aggravante dell’art. 7 L.
203/91.

CONSIDERATO IN DIRITTO
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pagamento delle sue spettanze;

Il ricorso è fondato nei limiti di seguito esposti.

1. Esaminando i motivi di ricorso nell’ordine in cui sono stati proposti, non sono
fondate le censure relative alla partecipazione di Vita Salvatore all’usura in
danno di Famigliolo. Il Tribunale del riesame, adeguandosi alle indicazioni del
giudice rescindente, ha riesaminato le dichiarazioni della persona offesa sotto
l’aspetto della loro coerenza interna e alla luce delle ulteriori risultanze istruttorie
e le ha ritenute pienamente affidabili, siccome provenienti da un soggetto che

dichiarazioni obbiettivamente – seppur parzialmente – riscontrate e non in
contrasto con gli esiti degli accertamenti di polizia. Troppo sbrigativamente la
difesa svaluta gli esiti delle intercettazioni telefoniche, che hanno confermato la
situazione di difficoltà finanziaria in cui Famigliolo si trovava; il fatto che si
rivolse a Comerci per ottenere un prestito di 30 mila, o almeno di 20 mila euro, e
che ciò avvenne proprio a ridosso della data da lui indicata come momento del
prestito usurario. Così come troppo sbrigativamente svaluta la relazione,
accertata, di Comerci con la famiglia di Tripodi Nicola, posto che Comerci, socio
della Edil Sud Costruzioni s.r.l. insieme alla moglie, era, in realtà, una testa di
legno, essendo la società concretamente gestita da Tripodi Nicola (pag. 5). Tutto
ciò riscontra effettivamente – come ritenuto dal Tribunale del riesame – le
dichiarazioni del Famigliolo e attribuisce loro una valenza indiziaria sicuramente
sufficiente a sorreggere – sotto l’aspetto che qui interessa – il giudizio di
partecipazione del Vita alla vicenda usuraria.
Non corrisponde a verità, poi, che i giudici di merito abbiano trascurato gli esiti
degli accertamenti relativi agli assegni emessi da Famigliolo, giacché di essi si
parla espressamente – in maniera nient’affatto illogica – a pag. 9 dell’ordinanza,
ove è spiegato che l’affermazione di Famigliolo di non poter emettere assegni
(ritenuta in contrasto con quanto da lui fatto) si riferiva ad un diverso momento
e a diversi soggetti della vicenda usuraria, e che l’affermazione di aver pagato
l’assegno UBI CARIME n. 5029560287 era verosimilmente originata dalla
constatazione che l’assegno non era stato restituito dall’Istituto di credito o dal
soggetto beneficiario, come invece avvenuto per altri titoli. Quanto alla ritenuta
insussistenza di gravità indiziaria a carico di Acanfora Raffaele, pure accusato di
usura da Famigliolo, non è dato comprendere – in relazione alle dichiarazioni
della persona offesa – perché vi sia “interferenza fattuale e logica tra le parti del
narrato” (fatto che escluderebbe – secondo un consolidato orientamento della
giurisprudenza di legittimità – la possibilità di valutazione frazionata delle
dichiarazioni), posto che si tratta di vicende diverse, che hanno coinvolto
soggetti diversi e in epoche diverse. Nessuna censura è possibile muovere,
quindi, sotto questo profilo, ai giudici di merito, che hanno diversamente
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non aveva ragione alcuna per accusare un innocente; perché si tratta di

apprezzato le dichiarazioni della persona offesa in base alle concrete evenienze
istruttorie: evenienze contrastanti, in un caso, con le dichiarazioni del Famigliolo,
e nell’altro delle stesse confermative.
Nessuna conseguenza è possibile trarre, infine, dal silenzio serbato dal Tribunale
intorno alle produzioni asseritamente effettuate dal prevenuto in sede di udienza,
posto che nemmeno il ricorrente ne illustra il decisivo rilievo. Vale qui il principio,
più volte ribadito dal giudice di legittimità, che il giudice del riesame non è
tenuto a confutare specificamente ogni argomentazione difensiva – a meno che

decisione – ma a dare complessiva ragione della decisione assunta, dovendo
ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e le circostanze che, sebbene non
menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione
adottata. Ciò è quanto concretamente avvenuto giacché il Tribunale del riesame
non ha omesso l’esposizione delle ragioni che fanno ritenere sussistenti i gravi
indizi a carico del Vita, mentre il ricorrente non ha spiegato perché i successivi
accertamenti di polizia contraddicono – a suo giudizio – l’ipotesi accusatoria.

2.

Sono fondate, invece, le censure concernenti la ritenuta sussistenza

dell’aggravante dell’art. 7 L. 203/91, contestata al Vita. In questo caso,
l’aggravante – nella forma di aver agito per avvantaggiare l’associazione mafiosa
diretta da Tripodi Nicola -è rimasta affidata ad un dato di debole valenza
indiziaria, giacché il fatto che Comerci, insieme a Tripodi Orlando, fece visita alla
concessionaria di automobili gestita dal Famigliolo poco dopo aver ricevuto la
richiesta di prestito può rappresentare un dato di sospetto, idoneo a innescare
ulteriori accertamenti, ma non un dato dimostrativo – nemmeno a livello di
sufficienza indiziaria – della provenienza del denaro dalla famiglia mafiosa dei
Tripodi, specie laddove non si dimostri che Tripodi Orlando faceva parte di quella
famiglia (non risulta che Tripodi Orlando sia stato ritenuto concorrente nel reato
di usura, né che lo stesso sia ritenuto partecipe dell’associazione diretta dal
padre). L’ordinanza va perciò annullata sul punto.

3. Sono infondate, per contro, le doglianze relative alla ritenuta estorsione in
danno di Restuccia Vincenzo. La gravità indiziaria si fonda, in questo caso, sulle
dichiarazioni del Restuccia, il quale, avvicinato da Vita Salvatore e Tripodi Sante
Mario e richiesto di immissione nei lavori da lui appaltati, dovette
accondiscendere per tema di gravi conseguenze. La valutazione effettuata dal
Tribunale non soffre, in relazione al fatto di cui si discute, di nessuna delle
incongruenze lamentate dalla difesa, giacché, per giurisprudenza risalente e
costante, la minaccia può essere, in relazione al reato estorsivo, anche implicita

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non si tratti di argomento idoneo a scardinare l’impianto motivazionale della

e silente, allorché le condizioni dell’ambiente in cui si dipana la vicenda delittuosa
siano tali da rendere superflua, e finanche controproducente, la minaccia
esplicita. Nella specie, peraltro, l’esercizio di una pressione psicologica, in forma
delittuosa, sul Restuccia non è stata nemmeno tanto larvata, avendogli il Vita
ricordato – a fronte della prospettazione di un impiego esclusivo, nell’avvenire,
dei mezzi propri – che anche loro dovevano lavorare: dove il “dovere” sta per
“pretesa”, che Restuccia sapeva di non poter disattendere, sotto pena di
ritorsioni (come aveva già sperimentato, infatti, in precedenti occasioni). Né

giacché esse qualificano il clima – noto al prevenuto – in cui si sono svolti i fatti
alla base dell’odierno procedimento, e quindi costituiscono dati oggettivi,
presupposti alla valutazione, che è stata fatta dal Tribunale, delle condotte da lui
poste in essere in questa vicenda.
Non corrisponde a verità, poi, che il Tribunale abbia ignorato gli esiti delle
indagini difensive, compendiate nella raccolta di informazioni da Arena Antonio.
Gli è, invece, che il Tribunale le ha considerate e disattese con logici argomenti,
avendo rilevato che l’Arena era solo un dipendente della ditta Restuccia, per cui
non è affatto detto che le minacce dovessero essere rivolte nei suoi confronti, ed
avendo rilevato che le dichiarazioni dell’Arena sono contraddette da ben più
precisi e affidabili esiti istruttori, costituiti dalle intercettazioni telefoniche (in una
delle quali l’Arena, parlando con tale Saverio, si trova d’accordo con lui sul fatto
che “devono lavorare i Tripodi”; e parlando – in altra telefonata – con un ignoto
interlocutore, chiarisce che “i Tripodi” devono lavorare, sennò “ci bruciano”).
Tanto rende inattaccabile anche il giudizio, formulato dal Tribunale, intorno
all’aggravante dell’art. 7 L. 203/91, che ricorre non solo quando l’attività
delittuosa sia posta in essere per avvantaggiare un’associazione mafiosa, ma
anche quando, come nella specie, sia utilizzato il “metodo mafioso”, consistente
nell’avvalersi, anche tacitamente, della capacità di intimidazione di
un’organizzazione mafiosa concretamente operante sul territorio per fiaccare la
capacità di resistenza della vittima (nella specie, la famiglia Tripodi, operante nel
vibonese. L’esistenza e l’operatività dell’associazione suddetta è stato accertata
dai giudici del merito sulla base delle dichiarazioni rese da vari collaboratori di
giustizia e di imprenditori vittime dell’associazione in questione: pagg. 238 e
segg. dell’ordinanza genetica e 15 dell’ordinanza impugnata). Né tale
conclusione è contraddetta – per quel che si dirà – dalla ritenuta estraneità del
Vita all’associazione suddetta, giacché, in tema di estorsione, ai fini della
sussistenza della circostanza aggravante di cui all’art. 7 di. 13 maggio 1991 n.
152, non è richiesto che la condotta cui la circostanza si riferisce venga posta in
essere da un soggetto appartenente ad un’associazione di tipo mafioso, dal
momento che è l’impiego di metodi tipici di questo genere di sodalizi ad avere
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assume rilievo il fatto che le estorsioni precedenti non siano addebitate al Vita,

rilevanza decisiva (Cassazione penale, sez. II, 01/10/2009, n. 39052). D’altra
parte, non può nemmeno sostenersi, sulla scia delle prospettazioni difensive, che
l’associazione mafiosa non sia stata evocata nella specie, giacché la stretta e
notoria collaborazione di Vita con Tripodi Sante Mario nella T5 Costruzioni
rappresentavano, per lui, un biglietto da visita che, indipendentemente dalla
partecipazione – insieme al Tripodi suddetto – all’associazione e
indipendentemente dalla prova della loro partecipazione ai precedenti episodi
estorsivi, ne faceva un soggetto che rimandava, in maniera implicita ma

avvedeva, come dimostrato dal tenore degli argomenti usati con Restuccia.

4. Sono fondate, infine, le doglianze relative alla ritenuta partecipazione di Vita
Salvatore al reato associativo. La struttura logico- argomentativa dell’ordinanza
impugnata si basa, in maniera essenziale, sulla ritenuta partecipazione di Vita ai
due reati fine contestati e sulla sua collaborazione nella T5 Costruzioni, ritenuta
“testa di ariete” della cosca nel settore degli appalti. Senonché, si è visto, in
relazione all’usura, che la finalità contestata (quella di avvantaggiare
l’associazione mafiosa diretta da Tripodi Nicola) non è sorretta da idonea
motivazione; l’estorsione in danno di Restuccia è stata portata avanti – nel
giudizio del Tribunale del riesame – col metodo mafioso, ma senza
coinvolgimento effettivo dell’associazione mafiosa o di uomini che di essa
facessero organicamente parte (anche per Tripodi Sante Mario, accusato di
associazione mafiosa, è stata esclusa la gravità indiziaria); il fatto che la T5
Costruzioni fosse stato lo strumento per la “esecuzione di lavori a seguito di
subappalti conseguiti mediante minaccia ai titolari delle imprese appaltatrici” è
rimasta, a parte la contestata estorsione a Restuccia, affermazione priva di
dimostrazione, posto che nell’ordinanza non si fa riferimento ad altri episodi
aventi le caratteristiche proclamate. E’ allora da ricordare che, per potersi
parlare di partecipazione al reato associativo, è richiesta una presenza attiva
nell’ambito del sodalizio criminoso, non limitata al semplice favoreggiamento o
alla saltuaria disponibilità a collaborare con gli intranei, essendo invece
necessaria un’attività funzionale agli scopi del sodalizio ed apprezzabile come
concreto e causale contributo all’esistenza e al rafforzamento dello stesso. E’
stato infatti affermato, nella giurisprudenza di legittimità, che la condotta di
partecipazione è riferibile a colui che si trovi in rapporto di stabile e organica
compenetrazione con il tessuto organizzativo del sodalizio, tale da implicare, più
che uno “status” di appartenenza, un ruolo dinamico e funzionale, in esplicazione
del quale l’interessato “prende parte” al fenomeno associativo, rimanendo a
disposizione dell’ente per il perseguimento dei comuni fini criminosi (Cass., n.
1470 dell’11/12/2007, dep. 2008). Non risulta – per le ragioni sopra esposte 8

evidente, all’associazione dominante sul territorio: fatto di cui egli certamente si

che l’ordinanza impugnata si sia attenuta all’insegnamento predetto, per cui va
annullata anche sul punto e rinviata per nuovo esame al Tribunale competente.

5. Inammissibile, infine, è l’ultimo motivo di ricorso, concernente la
contestazione della competenza territoriale del Tribunale di Catanzaro, sia per la
genericità della deduzione, sia perché il Tribunale suddetto ha deciso in sede di
rinvio disposto da questa Corte, per cui eventuali questioni sulla competenza

P.Q.M.

Annulla l’ordinanza impugnata limitatamente al capo A) ed alla configurabilità
dell’aggravante ex art. 7 L. 203/91 quanto ai capi L)-M), con rinvio per nuovo
esame al Tribunale di Caltanissetta. Rigetta nel resto il ricorso.
Così deciso il 30/10/2014

sono superate dal giudicato.

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