Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 3590 del 29/10/2014


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 3590 Anno 2015
Presidente: DUBOLINO PIETRO
Relatore: SETTEMBRE ANTONIO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
CALANDRA GIUSEPPE ANTONINO N. IL 13/07/1946
avverso il decreto n. 37/2011 CORTE APPELLO di MESSINA, del
02/05/2012
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ANTONIO
SETTEMBRE;
_

Udit i difensur A v \

Data Udienza: 29/10/2014

- Lette le conclusioni del Procuratore generale della repubblica presso la Corte di
Cassazione, che ha chiesto la dichiarazione di inammissibilità del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Il Tribunale di Messina, con decreto confermato dalla locale Corte d’appello in
data 2/5/2012, ha applicato a Calandra Giuseppe Antonino la misura di
prevenzione della sorveglianza speciale di PS con obbligo di soggiorno nel

31/5/1965 e dell’art. 4 della legge 27 dicembre 1956, n. 1423, imponendogli
altresì il versamento della cauzione di C 5.000, perché soggetto socialmente
pericoloso, in quanto indiziato di associazione mafiosa.

2. Contro il decreto suddetto ha proposto ricorso per cassazione, nell’interesse
del proposto, l’avv. Carmelo Scilla, proponendo censure in rito e in merito.
Nel rito, deduce la nullità del decreto per i seguenti motivi:
– non è stata data risposta alla doglianza sollevata al punto 1 dell’atto d’appello,
ove veniva lamentata la celebrazione del giudizio in camera di consiglio, invece
che in pubblica udienza;
– la proposta di applicazione della misura di prevenzione è stata avanzata dal
Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Caltanissetta, da ritenere
funzionalmente incompetente, in quanto Calandra risiedeva, all’epoca della
proposta, nel comune di Capizzi (Messina) ed era domiciliato in Catania;
peraltro, anche l’associazione mafiosa di cui Calandra avrebbe fatto parte
operava a Messina. Pertanto, l’iniziativa poteva provenire solo dal Procuratore
della Repubblica presso il Tribunale di Catania, ovvero dal Procuratore della
Repubblica presso il Tribunale di Messina;
– il provvedimento applicativo della misura è stato emesso, ad ogni modo, da
Tribunale incompetente (Messina), perché diverso da quello presso cui è radicato
il Pubblico Ministero proponente.
Nel merito, eccepisce la mancanza di motivazione in ordine al giudizio di
pericolosità sociale.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Tutti i motivi di ricorso sono manifestamente infondati.
1. Quanto al primo motivo in rito, va rilevato che la richiesta di udienza pubblica
fu formulata dal proposto all’udienza del 9/3/2010, data in cui il Tribunale prese
la causa in decisione. Successivamente, a seguito della pubblicazione – avvenuta
il 17/3/2010 – in gazzetta ufficiale della Repubblica Italiana della sentenza della

comune di residenza per anni quattro, ai sensi dell’art. 2 della L. 575 del

Corte

Costituzionale

n.

93

dell’8/3/2010,

dichiarativa

dell’illegittimità

costituzionale dell’art. 4 L. 1423/56 nella parte in cui non consentiva che, su
istanza degli interessati, il procedimento per l’applicazione delle misure di
prevenzione si svolgesse, davanti al tribunale e alla corte d’appello, nelle forme
dell’udienza pubblica, il Tribunale rimise il procedimento in istruttoria per
l’udienza “pubblica” del 6/7/2010. Pertanto, quale sia stato – il 6/7/2010 e
nell’udienza successiva – il modulo utilizzato per redigere il verbale di udienza, è
evidente che la richiesta di parte ebbe accoglimento.

luglio 2010 e quella successiva si siano svolte in camera di consiglio, in
considerazione del modulo prestampato utilizzato, non è possibile trarre – da
questo fatto – le conclusioni prospettate dalla difesa. Dalla lettura del verbale di
udienza del 6 luglio e del 12 ottobre 2010 non risulta che le parti abbiano
rinnovato l’istanza di svolgimento del processo in pubblica udienza, per cui è da
ritenere che avessero accettato una diversa modalità di svolgimento del
procedimento, giacché, quando il procedimento si svolga in più udienze, è ben
possibile che la richiesta di udienza pubblica riguardi una soltanto di esse. E va
ancora considerato, conclusivamente e definitivamente, che i difensori del
proposto – presenti in loco – non sollevarono alcuna eccezione nelle udienze del
6 luglio e del 12 ottobre del 2010, per cui sono irrimediabilmente decaduti dalla
facoltà di far valere eventuali nullità. Questa Corte insegna, infatti, da lungo
tempo, che, allorché il giudizio si svolga nelle forme del rito camerale fuori dei
casi previsti dalla legge, si verifica una nullità relativa che, a pena di decadenza,
deve essere eccepita dalle parti presenti prima che venga compiuto il primo atto
del procedimento o, se non è possibile, subito dopo (Cass., n. 38114 del
19/6/2009. Conformi: N. 6361 del 1993 Rv. 194730; N. 2512 del 1994 Rv.
197738; N. 7227 del 1995 Rv. 201378; N. 2368 del 1998 Rv. 210137; N. 26059
del 2005 Rv. 232101). Principio affermato in relazione al giudizio ordinario che si
svolga – contrariamente alla previsione normativa – col rito camerale, e che
vale, a maggior ragione, nel procedimento di prevenzione, dove la forma
pubblica è condizionata ad una richiesta di parte.

2. Anche gli altri motivi in rito sono manifestamente infondati.
Non corrisponde a verità che non sia stata data risposta alla doglianza
concernente la pretesa incompetenza del Tribunale di Messina a conoscere della
proposta di applicazione della misura di prevenzione nei confronti del ricorrente,
avendo invece la Corte di appello, a sostegno della ritenuta infondatezza di detta
eccezione, fatto specifico richiamo a quanto, sul punto, era stato argomentato
dal giudice di primo grado; ragione per cui sarebbe stato onere della difesa
confrontarsi con tali argomentazioni, le quali risultano invece totalmente

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In ogni caso, va rilevato che, seppur si volesse ritenere che le udienze del 6

ignorate, essendosi la stessa difesa limitata a riproporre quelle che, a suo avviso,
avrebbero dovuto comportare la declinatoria della competenza.

3. Inammissibile è l’ultimo motivo di ricorso, con cui, sebbene mostri di
conoscere il dettato normativo ed il risalente insegnamento di questa Corte di
legittimità – secondo cui il vizio di motivazione in materia di prevenzione non è
deducibile in sede di legittimità – il ricorrente ripropone la tesi, sostenuta in
giudizio, dell’insufficienza argonnentativa del provvedimento impugnato,

argomenti tipici del giudizio di merito.
Nel caso di specie, come è dato desumere fin dalla prima lettura, non può
affatto parlarsi di motivazione omessa, giacché il Tribunale e la Corte d’appello
hanno chiaramente collegato il giudizio sulla pericolosità sociale del proposto a
fatti e circostanze di rilievo penale, sfociati, da ultimo, nell’arresto del Calandra
(a marzo del 2007) e nel suo rinvio giudizio per associazione mafiosa. Sono
state ritenute decisive, nei suoi confronti, le dichiarazioni di numerosi
collaboratori di giustizia, i quali hanno riferito del ruolo da lui ricoperto all’interno
del sodalizio mafioso denominato “gruppo di Mistretta” fin dagli anni ’80 del
secolo scorso. Per tale via è stato accertato – ad un livello di gravità indiziarla
certamente suscettibile di determinare l’applicazione di una misura di
prevenzione – che Calandra era “uomo d’onore” della famiglia di Mistretta e che
dal 2003, dopo l’arresto di Rampulla Sebastiano, svolse il ruolo di cerniera – che
era stato del Rampulla – tra la criminalità messinese e quella palermitana,
godendo della fiducia di Giuseppe Farinella (capo del mandamento di Gangi-San
Mauro Castelverde) e di Giuseppe Barreca, vice del Farinella (in questo senso le
dichiarazioni di Antonino Calderone e gli elementi di riscontro alle dichiarazioni di
costui). E’ stato anche accertato che Calandra era il referente, a Capizzi, della
cosca Santapaola, per conto della quale faceva il collettore delle estorsioni
perpetrate in danno degli imprenditori operanti in zona (dichiarazioni di Galati
Giordano Orlando). Più di recente, infine, a conferma della sua ascesa nel
sodalizio, è stato detto che fu affiancato a Domenico Virga, nuovo capo
mandamento di San mauro Castelverde, per agevolarlo nello svolgimento dei
compiti a quest’ultimo assegnati (dichiarazioni di Antonino Giuffré).
Da qui la logica conclusione – tratta dai giudici di merito – che Calandra è
soggetto socialmente pericoloso, per via dei suoi trascorsi mafiosi – accertati con
sentenza passata in giudicato – e del suo permanente inserimento nella
criminalità organizzata del messinese, dove risulta in costante, permanente
ascesa. Solo una forzatura del linguaggio, pertanto, può indurre il difensore del
proposto a sostenere che il provvedimento manchi di motivazione, o che questa
sia solo apparente.
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ignorando,oltretutto, l’articolata motivazione esibita dal Tribunale e riproponendo

4. Ai sensi dell’articolo 616 cod. proc. pen., con il provvedimento che dichiara
inammissibile il ricorso, la parte privata che lo ha proposto deve essere
condannata al pagamento delle spese del procedimento, nonché — ravvisandosi
profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità – al pagamento
a favore della cassa delle ammende della somma di mille euro, così
equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di C 1.000 in favore della Cassa delle
ammende.
Così deciso il 29/10/2014

P.Q.M.

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