Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 35889 del 23/04/2013


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 35889 Anno 2013
Presidente: ESPOSITO ANTONIO
Relatore: IASILLO ADRIANO

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
ROSOLIA FERDINANDO N. IL 18/08/1945
avverso la sentenza n. 1942/2009 CORTE APPELLO di GENOVA, del
30/11/2011
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ADRIANO IASILLO;

Data Udienza: 23/04/2013

Rosolia Ferdinando
N.R.G. 34858/2012
Considerato che:
Rosolia Ferdinando ricorre avverso la sentenza, in data 30.11.2011,
della Corte di Appello di Genova, confermativa della sentenza di primo grado
con la quale l’imputato era stato condannato — per il reato di ricettazione e di

detenzione per la vendita di oggetti con marchi contraffatti – alla pena di mesi
4 di reclusione ed € 200,00 di multa; l’imputato, chiedendone l’annullamento,
denuncia la carenza di motivazione in ordine alla sua affermata penale
responsabilità e alla congruità della pena.
Il ricorso è, con evidenza, privo della specificità, prescritta dall’art. 581,
lett. c), in relazione all’art 591 lett. c) c.p.p., a fronte delle motivazioni svolte
dal Giudice di secondo grado, che non risultano viziate da illogicità manifeste
e sono esaustive, avendo risposto correttamente a tutte le doglianze
contenute nell’appello e avendo ben evidenziato le ragioni per le quali ritiene
pienamente provata la penale responsabilità di Rosolia Ferdinando (si veda
la pagina 2 dell’impugnata sentenza ove si richiamano, anche, condivisi
principi di questa Suprema Corte sul reato di falso). In modo altrettanto
corretto la Corte di appello motiva sul perché la pena debba essere
considerata congrua (pena molto contenuta anche considerando i precedenti
penali specifici e il numero notevole di orologi con marchio contraffatto; si
veda pagina 3 dell’impugnata sentenza).
A fronte di tutto quanto sopra esposto l’imputato si limita ad una
generica contestazione, che non tiene assolutamente conto di quanto
affermato dal Giudice di merito. Questa Corte ha stabilito, in proposito, che la
mancanza nell’atto di impugnazione dei requisiti prescritti dall’art. 581
cod. proc. pen. – compreso quello della specificità dei motivi – rende l’atto
medesimo inidoneo ad introdurre il nuovo grado di giudizio e a produrre,
quindi, quegli effetti cui si ricollega la possibilità di emettere una pronuncia
diversa dalla dichiarazione di inammissibilità. (Sez. 1, Sentenza n. 5044 del
22/04/1997 Ud. – dep. 29/05/1997 – Rv. 207648; Sez. 3, Sentenza n. 35492
del 06/07/2007 Ud. – dep. 25/09/2007 – Rv. 237596).

1

Uniformandosi a tale orientamento, che il Collegio condivide, va
dichiarata inammissibile l’impugnazione. Ne consegue, per il disposto dell’art.
616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali
nonché al versamento, in favore della Cassa delle ammende, di una somma
che, considerati i profili di colpa emergenti dal ricorso, si determina

PQM

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa
delle ammende.

Così deliberato in camera di consiglio, il 23/04/2013

equitativamente in Euro 1.000,00.

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