Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 35887 del 15/07/2015


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 35887 Anno 2015
Presidente: CORTESE ARTURO
Relatore: NOVIK ADET TONI

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
AZZARONE LIBERANTONIO N. IL 21/02/1990
avverso l’ordinanza n. 121/2014 CORTE APPELLO di BARI, del
03/10/2014
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ADETNI NOVIK;
lette/sette le conclusioni del PG Dott. ge,t_eit
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Uditi difensor Avv.;

Data Udienza: 15/07/2015

RILEVATO IN FATTO
1. Con ordinanza del 3 ottobre 2014, la Corte di appello di Bari, in funzione
di giudice dell’esecuzione, rigettava l’istanza presentata da Azzarone
Liberoantonio, diretta ad ottenere la rideterminazione della pena in conseguenza
della sentenza della Corte Costituzionale n. 32 del 2014, che aveva determinato
la reviviscenza della normativa antecedente la modifica dell’articolo 73 d.p.r. 309
del 1990 (cd. “Jervolino – Vassalli”). Osservava che Azzarone era stato
condannato con sentenza definitiva alla pena di anni quattro di reclusione ed

determinata: pena base, anni 6 di reclusione ed euro 27.000 di multa, così
ridotta per la diminuente del rito. In sintesi, il giudicante riteneva che la
possibilità di intervento del giudice dell’esecuzione era esclusivamente limitata
alla possibilità di correggere l’irrogazione di una pena illegale, riconducendo la
pena irrogata nei limiti di legge e non aveva il potere di riproporzionare la pena.
Nel caso di specie non ricorreva questa circostanza in quanto la pena inflitta,
seppure attestata nel limite massimo, era conforme a legge.
2. Avverso tale pronuncia ha proposto ricorso per Cassazione Azzarone
Liberantonio, a mezzo del difensore di fiducia, e ne chiede l’annullamento per
violazione di legge. Ritiene il difensore, che richiama la giurisprudenza sul punto,
che la rideterminazione della pena rientrava nelle specifiche competenze del
giudice dell’esecuzione e che detto giudice avrebbe dovuto adeguare la pena alla
normativa più favorevole per il condannato rimuovendo la normativa dichiarata
incostituzionale.
3. Il Procuratore generale presso questa Corte in un articolato parere ha
chiesto l’accoglimento del ricorso.

CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il provvedimento impugnato va annullato. Sul tema del ricorso -oggetto di
contrastanti orientamenti giurisprudenziali – sono di recente intervenute le Sezioni Unite
di questa Corte che, con le coeve sentenze 26 febbraio 2015, ricorrenti Jazouli, Sebbar e
Marcon, hanno risolto i dubbi circa la possibilità di applicazione della disciplina più
favorevole in sede esecutiva, quale conseguenza della sentenza della Corte
Costituzionale richiamata.
2. In particolare, è stato accolto il principio per cui pena illegale non è solo quella
superiore alla sanzione edittale massima reintrodotta per effetto della pronuncia di
incostituzionalità, ma anche quella applicata in base alla sanzione prevista dalla norma
incostituzionale. Osserva in proposito la sentenza 22471/2015, Sebbar, esprimendo un
principio applicabile anche in sede esecutiva, che “la valutazione discrezionale del giudice
nella individuazione della pena in concreto da applicare non può prescindere dagli
1

euro 18.000 di multa per la coltivazione di 448 piante di marijuana, così

”indicatori astratti” (il minimo e il massimo edittale) che il legislatore gli ha fornito. è
nell’ambito di quello spazio sanzionatorio che il giudicante deve compiere la sua
valutazione. Con la conseguenza che se detto spazio muta (si restringe o si dilata),
mutano inevitabilmente i parametri entro i quali la valutazione in concreto deve essere
effettuata. Per altro, in tema di sostanze stupefacenti, tale spazio sanzionatorio, con il
ripristino della distinzione tra “droghe leggere” e “droghe pesanti”, conseguente alla
sentenza del Giudice delle leggi n. 32 del 2014, è stato sensibilmente ridisegnato,
consentendo, di nuovo, il ricorso ad una forbice edittale (tanto per limitarsi alla sola pena

rispetto a quella posta a base delle statuizioni contestate, vale a dire da sei a venti anni
di reclusione (tanto che, come si è anticipato, il massimo della prima corrisponde al
minimo della seconda), così da comporre un quadro di riferimento non paragonabile a
quello tenuto presente al momento delle pronunzie dei giudici del merito e da realizzare,
pertanto, un sostanziale ridimensionamento dello stesso disvalore penale del fatto.
Ed è sostanzialmente per tale ragione che, ad esempio, nella sentenza n.
26340/2014 (Di Maggio), si osserva in particolare che la ripristinata distinzione della
risposta repressiva (che tiene conto della diversa natura delle sostanze stupefacenti),
implicando una così marcata differenza del trattamento sanzionatorio, comporta la
necessità di rideterminare la pena in concreto (a suo tempo) ritenuta congrua ed
applicata. Invero, una volta mutato il parametro di riferimento, il giudice del merito deve
inderogabilmente riesercitare il potere discrezionale conferitogli dagli artt. 132 e 133 cod.
pen.”.
3. Alla luce dei principi espressi delle Sezioni unite, è evidente che il caso
portato all’attenzione del giudice dell’esecuzione va diversamente considerato
rispetto a quanto ritenuto nel provvedimento impugnato che, limitando la
possibilità di intervento del giudice dell’esecuzione ai soli casi di irrogazione di una pena
inflitta in eccesso rispetto agli attuali edittali, non ha affrontato il merito dell’istanza e non
ha evidenziato le diverse ragioni che potessero far ritenere la pena congrua e adeguata
al fatto in esame.
P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame alla Corte di appello
di Bari.
Così deciso in Roma, il 15 luglio 2015
Il Consigliere estensore

Il Pre iden e

detentiva) – da due a sei anni di reclusione – di gran lunga meno ampia (e meno severa)

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