Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 35864 del 23/04/2013


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 35864 Anno 2013
Presidente: ESPOSITO ANTONIO
Relatore: IASILLO ADRIANO

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
MONOPOLI PASQUALE N. IL 16/07/1980
MACCHIARULO FRANCESCO N. IL 15/01/1975
LADOGANA MATTEO N. IL 06/05/1972
avverso la sentenza n. 3090/2010 CORTE APPELLO di L’AQUILA,
del 03/05/2012
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ADRIANO IASILLO;

Data Udienza: 23/04/2013

Monopoli Pasquale, Macchiarulo Francesco e Ladogana Matteo
N.R.G. 34136/2012

Considerato che:
Monopoli Pasquale, l’Avvocato Rosario Marino — quale difensore di
Macchiarulo Francesco – e Ladogana Matteo ricorrono avverso la sentenza,

sentenza di primo grado (su appello del P.G.), rideterminò la pena per
Macchiarulo e Ladogana — per la ricettazione di due autovetture — in anni 3 di
reclusione ed € 2.200,00 di multa e confermò la pena — per lo stesso reato —
a Monopoli (anni 2 e mesi 8 di reclusione ed € 2.000,00 di multa) e
chiedendone l’annullamento, osservano genericamente che vi sarebbe
carenza di motivazione con riguardo: al diniego delle attenuanti generiche e
alla congruità della pena; il difensore del Macchiarulo in relazione alla
valutazione degli elementi probatori.
Si deve, preliminarmente, rilevare che non viene accolta l’istanza di
rinvio del Ladogana — istanza pervenuta in data 11.04.2013 e la quale si
fonda sulla circostanza che l’imputato non avrebbe ricevuto l’avviso di
fissazione dell’udienza, data appresa dagli altri coimputati — in quanto agli atti
risulta regolare notifica al domicilio eletto presso l’Avvocato Franco Metta (di
Cerignola) in data 17.01.2013 (riceve la notifica la collega di studio Avvocato
Paola Metta).
I ricorsi sono, poi, privi della specificità, prescritta dall’art. 581, lett. c), in
relazione all’ad 591 lett. c) c.p.p., a fronte delle motivazioni svolte dal Giudice
di merito, che non risultano viziate da illogicità manifeste e sono esaustive
avendo risposto correttamente a tutte le doglianze contenute nei singoli
appelli. Questa Corte ha stabilito, in proposito, che la mancanza nell’atto di
impugnazione dei requisiti prescritti dall’art. 581 cod. proc. pen. compreso quello della specificità dei motivi – rende l’atto medesimo inidoneo
ad introdurre il nuovo grado di giudizio e a produrre, quindi, quegli effetti
cui si ricollega la possibilità di emettere una pronuncia diversa dalla
dichiarazione di inammissibilità (Sez. 1, Sentenza n. 5044 del 22/04/1997
Ud. – dep. 29/05/1997 – Rv. 207648; Sez. 3, Sentenza n. 35492 del
06/07/2007 Ud. – dep. 25/09/2007 – Rv. 237596).

in data 03.05.2012, della Corte di Appello di L’Aquila, che, in riforma della

Per quanto riguarda, infatti, il ricorso del difensore del Macchiarulo si
deve rilevare l’assoluta genericità dello stesso, che consiste nella mera
enunciazione di astratti principi sull’obbligo di motivazione, senza neppure
specificare in relazione a quale questione la Corte di appello non avrebbe
adempiuto a tale obbligo. E’ appena il caso di specificare che le
impugnazioni riguardavano solo la qualificazione giuridica del fatto (furto

trattamento sanzionatorio; tutti gli imputati hanno rinunciato al primo motivo
di appello e quindi è rimasto solo il motivo relativo al trattamento
sanzionatorio (si veda pagina 4 dell’impugnata sentenza).
Per quanto riguarda il trattamento sanzionatorio nei ricorsi degli altri
due imputati (dato che il difensore del Macchiarulo, come già detto, non
specifica nulla) si prospettano, invero, esclusivamente valutazioni di elementi
di fatto, divergenti da quelle cui è pervenuto il Giudice d’appello con
motivazioni congrue ed esaustive, previo specifico esame degli argomenti
difensivi attualmente riproposti.
Infatti la Corte territoriale esamina, correttamente, i vari elementi fissati
dall’articolo 133 del c.p. (gravità del fatto commesso e personalità degli
imputati gravati da precedenti penali specifici) per giustificare il diniego delle
attenuanti generiche per tutti gli imputati. Questa suprema Corte ha più volte
affermato che ai fini dell’applicabilità delle circostanze attenuanti generiche di
cui all’art. 62 bis cod. pen., il Giudice deve riferirsi ai parametri di cui all’art.
133 del codice penale, ma non è necessario, a tale fine, che li esamini tutti,
essendo sufficiente che specifichi a quale di esso ha inteso fare riferimento
(si veda sul punto ad esempio Sez. 2, Sentenza n. 2285 del 11/10/2004 Ud.
– dep. 25/01/2005 – Rv. 230691). Inoltre, sempre secondo i principi di questa
Corte — condivisi dal Collegio – ai fini dell’assolvimento dell’obbligo della
motivazione in ordine al diniego della concessione delle attenuanti generiche,
il giudice non è tenuto a prendere in considerazione tutti gli elementi
prospettati dall’imputato essendo sufficiente che egli spieghi e giustifichi l’uso
del potere discrezionale conferitogli dalla legge con l’indicazione delle ragioni
ostative alla concessione delle circostanze, ritenute di preponderante rilievo.
Ad esempio in un caso posto all’attenzione di questa Suprema Corte – che ha
considerato corretta la relativa motivazione – il giudice di merito aveva

anziché ricettazione, come ritenuto nella sentenza di primo grado) e il

ritenuto che non potessero concedersi le attenuanti generiche in relazione
alla gravità del fatto e ai precedenti penali dell’imputato (Si veda Sez. 1,
Sentenza n. 3772 del 11/01/1994 Ud. – dep. 31/03/1994 – Rv. 196880).
La Corte di appello ha, inoltre, ben evidenziato gli elementi che le
hanno fatto ritenere la pena irrogata congrua. In proposito questa Suprema
Corte ha più volte affermato il principio — condiviso dal Collegio – che la

rientra nell’ampio potere discrezionale del giudice di merito, il quale assolve il
suo compito anche se abbia valutato globalmente gli elementi indicati nell’art.
133 cod. pen. (nel caso di specie i criteri sopra evidenziati; Sez. 4, Sentenza
n. 41702 del 20/09/2004 Ud. – dep. 26/10/2004 – Rv. 230278).
Si rileva, in proposito, che le valutazioni di merito sono insindacabili nel
giudizio di legittimità, quando il metodo di valutazione sia conforme ai principi
giurisprudenziali e l’argomentare scevro da vizi logici, come nel caso di
specie (Sez. U, Sentenza n. 24 del 24/11/1999 Ud. – dep. 16/12/1999 – Rv.
214794).
Uniformandosi a tali orientamenti, che il Collegio condivide, vanno
dichiarate inammissibili le impugnazioni.
Ne consegue, per il disposto dell’art. 616 c.p.p., la condanna dei
ricorrenti al pagamento delle spese processuali nonché al versamento, in
favore della Cassa delle ammende, di una somma che, considerati i profili di
colpa emergenti dal ricorso, si determina equitativamente in Euro 1.000,00
ciascuno.
PQM

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle
spese processuali e, ciascuno, della somma di Euro 1.000,00 in favore della
Cassa delle ammende.
Così deliberato in camera di consiglio, il 23/04/2013

Il Consigliere estensore

determinazione della misura della pena tra il minimo e il massimo edittale

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