Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 35854 del 18/06/2015


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 35854 Anno 2015
Presidente: CORTESE ARTURO
Relatore: BONI MONICA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
MARZO MAURIZIO N. IL 16/04/1973
avverso l’ordinanza n. 270/2013 GIP TRIBUNALE di LECCE, del
04/04/2014
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. MONICA BONI;
lette/seat=ite.le conclusioni del PG Dott. / aZe._,”\e, duch,
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T Vv.;

Data Udienza: 18/06/2015

Ritenuto in fatto

1.Con ordinanza resa il 4 aprile 2014 il G.I.P. del Tribunale di Lecce,
pronunciando in funzione di giudice dell’esecuzione accoglieva parzialmente l’istanza,
avanzata dal condannato Maurizio Marzo, unificava per continuazione i reati giudicati
nei suoi riguardi, ad eccezione di quelli di tentato omicidio aggravato dal metodo
mafioso in danno di tale Macella Maurizio e della connesse violazioni sulle armi, oggetto
della sentenza della Corte di Appello di Lecce dell’H giugno 2001, irrevocabile il
3/4/2002 e rideterminava la pena complessiva in anni sedici e mesi otto di reclusione

2. Avverso detto provvedimento ha proposto ricorso l’interessato a mezzo del
difensore, il quale ne ha chiesto l’annullamento per violazione di legge in relazione agli
artt. 81 cod. pen., 3 e 24 u.c. Cost. e vizio di motivazione. Secondo il ricorrente, il
G.I.P. , nel rigettare parzialmente l’istanza in ordine ai due delitti in epigrafe indicati,
ha ritenuto ostativo in tal senso l’avvenuta esclusione in sede di cognizione della
sussistenza del vincolo della continuazione con tutti gli altri reati, pur dando atto che ad
altro coimputato del Marzo, Cagnazzo Oronzo, l’istanza era stata accolta e che, per
dichiarazione di taluni collaboratori di giustizia, anche il tentato omicidio era
riconducibile alle finalità delle organizzazioni delle quali il ricorrente era stato partecipe.
Era evidente la disparità di trattamento tra coimputati, dipendente dalle acquisizioni
probatorie sopravvenute in tempi diversi. Pertanto, l’interpretazione del disposto del
primo comma dell’art. 671 cod. proc. pen., proposta nell’ordinanza impugnata, che
stabilisce un ostacolo insuperabile anche a fronte di elementi di prova sopravvenuti,
idonei a mutare la precedente decisione, si pone in contrasto con le previsioni di cui
agli artt. 3 e 24 u.c. della Costituzione, tanto più che per i provvedimenti emessi in
sede esecutiva non è esperibile il rimedio di cui all’art. 629 cod.proc.pen., sicchè un
eventuale errore in materia di continuazione non potrebbe ricevere emenda successiva
in violazione del diritto di difesa e del principio di eguaglianza, perché responsabili per
gli stessi fatti di reato verrebbero trattati diversamente pur in situazioni uguali.
3. Con requisitoria scritta il Procuratore Generale presso la Corte di Cassazione ha
concordato con il ricorrente circa i dubbi di incostituzionalità dell’art. 671 cod. proc.
pen. e ha chiesto che la questione sollevata non sia dichiarata manifestamente
infondata.
4. Con memoria pervenuta il 30 maggio 2015 il ricorrente ha articolato motivi
nuovi, con i quali ha dedotto:
-questione di illegittimità costituzionale degli artt. 630 e 631 cod. proc. pen. nella parte
in cui non consentono la revisione avverso provvedimenti diversi dalla sentenza
irrevocabile e dal decreto penale di condanna quando emergano elementi sopravvenuti
in grado di attenuare la pena e non di disporre il proscioglimento dell’imputato. Nel
caso di specie si è verificato un contrasto di giudicati fra la decisione assunta nei propri
confronti e quella a favore del coimputato Cagnazzo, che ha comportato un trattament
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/

ed euro 1.800,00 di multa.

irragionevolmente deteriore per esso ricorrente, condannato a pena superiore a quella
applicabile al momento di commissione del fatto, in violazione del principio di
eguaglianza, dell’art. 117 Cost. e degli artt. 6 e 7 CEDU. Di recente l’accesso alla
revisione è stato ampliato dalla Corte Costituzionale con la sentenza nr. 113/2011 che
ha dichiarato incostituzionale l’art. 630 cod. proc. pen. nella parte in cui non prevede
altro caso di revisione per l’apertura del processo ai sensi dell’art. 46 CEDU per
conformarsi a pronuncia della Corte di Strasburgo. Pertanto, la questione sollevata è
rilevante e fondata e consentirebbe la revisione avverso processo non equo in vista
dell’applicazione di pena giusta.
-L’incostituzionalità dell’art. 671 cod. proc. pen. in relazione agli artt. 3,24,111 e 117

in sede di cognizione.
-L’incostituzionalità dell’art. 670 cod. proc. pen. in relazione agli artt. 3, 111 e 117
Cost. nella parte in cui non consente di ottenere la non eseguibilità del titolo esecutivo
laddove emerga l’ingiustizia della pena rispetto ad elementi probatori sopravvenuti,
posto che le Sezioni Unite con la sentenza nr. 18821/2014 riconoscono che al giudice
dell’esecuzione spetta anche incidere sul titolo esecutivo in varie situazioni.
-La violazione di legge ed il difetto assoluto di motivazione in relazione al disposto degli
artt. 671 cod. proc. pen., 81 cpv. cod. pen. e 187 disp. att. cod. proc. pen. per avere il
giudice di merito preso quale base di computo la pena di anni sette di reclusione per il
reato ritenuto più grave, capo A2) della sentenza della Corte di Appello di Lecce del
2007 senza applicare la riduzione di cui all’art. 442 cod. proc. pen. anche in riferimento
ai reati satellite.

Considerato in diritto

Il ricorso è infondato e va dunque respinto.
1.11 ricorrente si duole dell’avvenuta applicazione da parte del giudice
dell’esecuzione della disposizione dell’art. 671 cod. proc. pen. e della sua
interpretazione in conformità all’orientamento giurisprudenziale costante, ritenendo che
la stessa debba essere riletta alla luce dei principi costituzionali di cui all’art. 24 Cost.
per consentire di ravvisare in sede esecutiva la continuazione anche se tale istituto sia
stato denegato dal giudice della cognizione con sentenza divenuta irrevocabile. Assume
dunque che il giudicato penale sul punto non potrebbe resistere a fronte
dell’acquisizione di nuovi elementi di valutazione, in grado di offrire la prova, mancata
nel giudizio in cui si era accertata la responsabilità dell’imputato, della riconducibilítà
dei reati giudicati allo stesso disegno criminoso, delineato e deliberato a monte della
commissione di altri illeciti.
1.1 L’ordinanza impugnata ha effettivamente rilevato che, sia la sentenza della
Corte di Appello di Lecce dell’Il giugno 2001, irrevocabile il 3/4/2002, sia quella della
Corte di Assise di Appello di Lecce del 31/5/2005, irrevocabile il 14/7/2007, hanno
escluso che potesse procedersi all’unificazione del tentato omicidio e dei connessi reat*
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Cost. per il divieto fatto al giudice dell’esecuzione di applicare la continuazione esclusa

in materia di armi, per i quali si era affermata la responsabilità del Marzo, con i delitti
associativi di cui agli artt. 416-bis cod. pen. e 74 D.P.R. nr. 309/90 per carenza del
presupposto della loro riconduzione al medesimo disegno criminoso. Per tali ragioni ha
quindi escluso di poter prendere in considerazione quanto emerso dalla sentenza del
G.U.P. del Tribunale di Lecce del 31/10/2007, irrevocabile il 20/3/2013, con la quale il
vincolo della continuazione tra gli stessi reati era stato riconosciuto a beneficio del
coimputato Oronzo Cagnazzo, separatamente giudicato quale coautore del medesimo
tentativo di omicidio e partecipe delle identiche organizzazioni criminose.
1.2 Ebbene, la decisione impugnata non presta il fianco ad alcuna critica, dal
momento che ha esposto in modo chiaro, compiuto e del tutto logico le ragioni di fatto

offerto corretta applicazione dei parametri normativi di riferimento.
1.2.1 In primo luogo, né l’impugnazione originaria, nè la memoria contenente
motivi nuovi, illustrano le emergenze fattuali sopravvenute alla formazione del
giudicato, che dovrebbero fornire il necessario avvallo dimostrativo all’allegata unicità
del disegno criminoso tra tutti i delitti indicati nell’istanza, circostanze solo
genericamente richiamate col riferimento al contenuto della decisione resa nei confronti
del Cagnazzo ed al contributo informativo offerto da alcuni collaboratori di giustizia
circa il carattere “mafioso” dei fatti, compiuti nell’ambito di una “guerra di mafia”. Né
risulta in sé più esplicativo il richiamo alla condivisa militanza del Marzo e del Cagnazzo
nel c.d. “clan Vincenti” ed alla correità nel perpetrare il tentato omicidio in danno del
Macella. Più chiare indicazioni non possono nemmeno trarsi dalla sentenza nr. 774 del
2007, pronunciata nei confronti del Cagnazzo, la cui motivazione a pag. 103 non
specifica le ragioni della disposta unificazione con imprecisati reati giudicati con le
sentenze del 2000 e del 2004. Il che assume rilievo al fine di valutare la rilevanza della
questione d’incostituzionalità proposta.
1.2.2 In punto di diritto non ha alcun fondamento la sollecitazione rivolta a questa
Corte perché proceda ad un’interpretazione costituzionalmente orientata della norma di
cui all’art. 671 cod. proc. pen., dal momento che il suo chiaro ed insuperabile tenore
letterale esprime un divieto rivolto al giudice dell’esecuzione, al quale preclude di
riconoscere in sede esecutiva la continuazione che sia stata esclusa nella fase del
giudizio e gli impone di riconoscere gli effetti vincolanti della pronuncia di accertamento
negativo, contenuta nella sentenza irrevocabile, non superabile per effetto di nuove
acquisizioni postume, rimaste estranee alla considerazione del giudice di cognizione
(Cass. sez. 1, n. 16235 del 30/03/2010, Di Firmo, rv. 247482; sez. 1, n. 1466 del
21/02/1997, Cantagallo, rv. 207232). E’ dunque la disposizione in esame con la sua
precisa limitazione a non consentire margini di apprezzamento discrezionale al giudice
dell’esecuzione, né opzioni interpretative quali quella suggerita in ricorso.
2. E’ manifestamente priva di qualsiasi fondamento la questione
d’incostituzionalità sollevata dal ricorrente. In primo luogo, è improprio qualificare la
decisione impugnata come frutto di un errore giudiziario che sarebbe stato commesso
nel giudizio di cognizione in merito al diniego della continuazione, dal momento ch ‘l
3

ed in diritto in base alle quali si è parzialmente respinta la domanda del ricorrente e ha

riconoscimento operato da altro giudice a favore del coimputato non dimostra in sé la
non correttezza della decisione reiettiva subita dal Marzo e che nemmeno i nuovi
elementi probatori, seppur fossero valutabili da parte del giudice dell’esecuzione,
comporterebbero l’automatico ed ineluttabile accoglimento dell’incidente proposto.
2.1 Si ricorda al riguardo che secondo consolidato orientamento giurisprudenziale,
qualora uno dei reati da unificare per continuazione sia un reato associativo, devono
negarsi soluzioni aprioristicamente negative, basate sulla struttura della fattispecie
astratta, così come, all’opposto, vanno respinte presunzioni legate alla permanenza del
vincolo partecipativo ed alla generica indeterminatezza del programma criminoso. La
questione della configurabilità della continuazione non “va impostato in termini di

programma criminoso dell’associazione, si concepiscano uno o

più

reati-fine

individuati nelle loro linee essenziali, di guisa che tra questi reati e quello
associativo si possa ravvisare una identità di disegno criminoso. Ne consegue che tale
problema si risolve in una “quaestio facti” la cui soluzione e’ rimessa di volta in volta
all’apprezzamento del giudice di merito” (Cass. sez. 1, ord. n. 12639 del 28/3/2006, rv.
234100, Adamo; sez. 5, n. 23370 del 14/5/2008, rv. 240489, Pagliara; sez. 1,
6.12.2005 nr. 44606; 14/05/1997 nr. 1474; 14.10.1997 nr. 3650). Si è altresì
correttamente affermato al riguardo: “In tema di associazione mafiosa, ovvero di
associazione D.P.R. n. 309 del 1990, ex art. 74, non può sostenersi che la commissione
di reati fine rientri nel generico programma della “societas sceleris”, nè che i medesimi
siano consumati “per eseguire” il delitto associativo, dal momento che tale reato, in
entrambe le forme innanzi richiamate, ha natura permanente ed è, di regola,
preesistente rispetto ai fatti delittuosi ulteriori; questi ultimi, a loro volta, pur essendo
certamente episodi non inconsueti nel panorama di attività criminosa della struttura
delinquenziale, non rappresentano la finalità per la quale l’associazione è stata
costituita” (Cass., sez. 1, n. 8451 del 21/1/2009, rv. 243199, Vitale). Al riguardo non
può assumere rilievo l’avvenuta commissione di fatti criminosi da parte del partecipe al
sodalizio criminoso nel periodo di appartenenza allo stesso e nemmeno che quel tipo di
attività delinquenziale rientri astrattamente nelle finalità per le quali è stata costituita
l’associazione: al contrario, l’identità del disegno criminoso non può ravvisarsi nei casi
in cui, ad esempio, un omicidio, un fatto estorsivo, di usura, lo spaccio di droga,
ancorchè appartenenti alle tipologie di illecito cui usualmente si dedichino gli associati,
siano stati commessi per eventi imprevedibili, per effetto di impulsi subitanei o di
esigenze estemporanee, ossia in situazioni concrete nelle quali le azioni siano
sollecitate da spinte motivazionali insuscettibili di una preventiva ideazione e
deliberazione nemmeno nelle linee essenziali al momento dell’adesione
all’organizzazione (Cass. sez. 1, n. 13609 del 22/3/2011, rv. 249930, Bosti; sez. 1, n.
13611 del 22/3/2011, rv. 249931, Aversano; sez. 6, n. 2960 del 27/9/1999, rv.
214555, Ingarao; sez. 1, n. 3834 del 15/11/2000, rv. 218397, Barresi). Infine, anche
l’identità del bene giuridico violato ed il lasso temporale intercorso fra le varie condotte
costituiscono aspetti da soli insufficienti a dare la dimostrazione dell’esiste za di
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compatibilità strutturale, in quanto nulla si oppone a che, sin dall’inizio, nel

quell’unico iniziale programma in vista di uno scopo determinato, ricomprendente le
singole violazioni, che costituisce l’indefettibile presupposto per il riconoscimento della
continuazione.
2.2 Non ha fondamento nemmeno la censura che lamenta il difetto di rimedi
avverso la presunta erronea statuizione negativa, contenuta nelle sentenze di merito
pronunciate a suo tempo nei confronti del ricorrente, che, al contrario, avrebbero
potuto essere contrastate con la proposizione del ricorso per cassazione, non esperito
sul punto. Già di per sé tale rilievo esclude che l’ordinamento non appronti degli
strumenti a tutela di situazioni come quella del ricorrente, mentre la tesi difensiva
trascura che la preclusione che il giudice dell’esecuzione non può superare costituisce

soltanto non la consente, ma la vieta espressamente.
2.3 Quanto alla denunciata disparità di trattamento rispetto a coimputati degli
stessi reati, per essere rintracciabile richiederebbe la dimostrazione dell’assoluta
identità di condizioni fattuali, da porre quale appropriato termine di comparazione con
la posizione di chi subisca gli effetti del giudicato, condizione non ravvisabile a fronte di
apprezzamenti discrezionali circa l’atteggiamento psicologico del soggetto agente e la
sua eventuale programmazione unitaria di più fatti di reato sin dal momento
dell’ingresso nell’associazione a delinquere.
3. Con la memoria difensiva si sono denunciate d’incostituzionalità anche le norme
di cui agli artt. 629 e 631 cod. proc. pen. che disciplinano la revisione, stabilendone
l’inapplicabilità in tutti i casi in cui i nuovi elementi acquisiti e posti a fondamento della
relativa istanza, non conducano al proscioglimento del condannato. Trascura però il
ricorrente che la questione non è rilevante nel caso specifico, dal momento che
l’incidente di esecuzione è stato proposto al fine di ottenere il riconoscimento della
continuazione ex art. 671 cod. proc. pen., non già nell’ambito di un procedimento di
revisione, nel cui solo contesto potrà eventualmente essere sollevata.
4. Quanto alla questione d’incostituzionalità dell’art. 670 cod. pen. ed ai restanti
motivi nuovi, con i quali sono stati denunciati vizi inficianti l’ordinanza impugnata in
riferimento alla determinazione della pena per i reati unificati per continuazione,
compresa la dedotta mancata applicazione di aumento sulla pena base non ridotto di
un terzo ai sensi dell’art. 442 cod. proc. pen., se ne deve rilevare l’inammissibilità:
trattasi di tematiche non comprese nei punti del provvedimento gravato, investiti
dall’impugnazione originaria.
4.1 Invero, il ricorso iniziale ha contestato soltanto la decisione sull’omessa
unificazione per continuazione di tutti i reati indicati nell’istanza e quindi il suo rigetto
parziale senza sollevare alcuna obiezione sul procedimento di computo della pena per
quelli avvinti da continuazione.
4.2 E’ costante l’insegnamento di questa Corte, secondo il quale i “motivi “nuovi”
presentati a sostegno dell’impugnazione devono avere ad oggetto, a pena di
inammissibilità, solo i capi o i punti della decisione impugnata che sono stati già
enunciati nei motivi originariamente proposti a norma dell’art. 581, comma primo, I t.
5

effetto del giudicato e della sua immodificabilità in difetto di una norma che, non

a), cod. proc. pen. e di cui rappresentano una migliore illustrazione o comunque un
ulteriore sviluppo esplicativo, ovvero una prospettazione giuridica sugli stessi elementi
fattuali; per contro, l’eventuale ampliamento dell’ambito oggettivo del gravame a punti
diversi comporterebbe l’aggiramento ingiustificato e non consentito dal sistema
processuale della perentorietà dei termini per la proposizione (Cass. sez. 3, n. 18293
del 20/11/2013, G, rv. 259740; sez. 6, n. 73 del 21/09/2011, Agui’, Rv. 251780; sez.
2, n. 1417 del 11/10/2012, P.C. in proc. Platamone e altro, rv. 254301; Sez. U, n.
4683 del 25/02/1998, Bono ed altri, rv. 210259).
Per le considerazioni svolte il ricorso va respinto, con la conseguente condanna

P. Q. M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuale.
Così deciso in Roma, il 18 giugno 2015.

del proponente al pagamento delle spese processali.

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