Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 35840 del 14/05/2015


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 35840 Anno 2015
Presidente: CORTESE ARTURO
Relatore: BONI MONICA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
MANRIQUE SANCHEZ JOSUE’ ISMAEL N. IL 21/04/1975
avverso il decreto n. 12495/2014 GIUD. SORVEGLIANZA di
TORINO, del 09/10/2014
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. MONICA BONI;
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lette/sentite le copclusioni del PG Dott. (a …e Qactur
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Data Udienza: 14/05/2015

Ritenuto in fatto

1.Con decreto reso in data 9 ottobre 2014 il Magistrato di Sorveglianza
di Torino dichiarava inammissibile il reclamo, proposto ai sensi dell’art. 35-ter
ord. pen. da Josue’ Ismael Manrique Sanchez per ottenere la riduzione della
pena detentiva, secondo quanto previsto dall’art. 1 del d.l. 26/6/2014 n. 92,
convertito nella legge 11/8/2014 n. 117; a fondamento della decisione
rilevava, quale condizione ostativa all’accoglimento della domanda, la

innanzi alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo.
2.Avverso detto provvedimento ha proposto ricorso l’interessato
personalmente, il quale ne ha chiesto l’annullamento, deducendo di avere
inserito nel proprio reclamo l’indicazione del mese di presentazione del ricorso
alla Corte EDU, ma non il giorno perché circostanza a lui non nota, nonché il
numero col quale lo stesso era stato protocollato, sicchè da esso era possibile
risalire alla data completa di presentazione.
Ha quindi illustrato le condizioni disumane e degradanti nelle quali aveva
espiato pena detentiva presso vari istituti penitenziari, il tutto in contrasto con
i principi di cui all’art. 27 Cost. e dell’art. 3 CEDU secondo quanto già
riconosciuto dalla pronuncia della Corte di Strasburgo nel noto caso
Torreggiani c. Italia. Ha dunque chiesto di accertare la lesione dei propri diritti
soggettivi di detenuto, come riconosciuti dagli artt. 1, 5, 6, 12, L 354/1975,
artt. 6,7, D.P.R n. 230/2000, art. 3 CEDU, artt. 2, 3 e 27 Cost. e, disporre la
detrazione di pena pari a un giorno per ogni dieci giorni di detenzione, con ciò
riformando il decreto impugnato.
3.Con requisitoria scritta depositata in data 26 gennaio 2015 il
Procuratore Generale presso la Corte di Cassazione, dr. Paolo Canevelli, ha
chiesto qualificarsi il ricorso come reclamo e trasmettersi gli atti al Tribunale
di Sorveglianza di Torino.

Considerato in diritto

Il ricorso è fondato e va dunque accolto.
1.In primo luogo si ritiene di dover dissentire dalle conclusioni
rassegnate dal Procuratore Generale presso questa Suprema Corte e di dover
confermare il corretto esperimento nel caso in esame del ricorso per
cassazione.
1.1 Si consideri, in proposito, che l’originaria istanza veniva presentata
dal Manrique in data 15 luglio 2014, in un momento nel quale era già

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mancata indicazione della data di presentazione del ricorso già pendente

provvisoriamente vigente il disposto dell’art. 35-ter ord. pen., come introdotto
dal D.L. 26 giugno 2014, n. 92, non ancora convertito con modificazioni nella
legge 11 agosto 2014, n. 117, recante, tra l’altro: “Disposizioni urgenti in
materia di rimedi risarcitori in favore dei detenuti e degli internati che hanno
subito un trattamento in violazione dell’articolo 3 della convenzione europea
per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali”. In
particolare, il legislatore ha introdotto nell’ordinamento degli specifici rimedi
risarcitori e comunque compensativi a favore di quanti abbiano subito il

violare l’art. della Convenzione europea dei diritti dell’uomo e delle libertà
fondamentali, nell’interpretazione offertane dalla Corte EDU, consentendo loro
di ottenere una riduzione della pena ancora da espiare, ovvero una somma di
denaro commisurata alla protrazione dell’esecuzione carceraria della pena
detentiva nelle condizioni, degradanti ed inumane, perciò non conformi con le
prescrizioni convenzionali. Ha quindi regolato anche il procedimento da
attivarsi da parte dell’interessato per ottenere il riconoscimento di tali rimedi e
la competenza a provvedervi: al riguardo, mediante il rinvio testuale alla
previsione dell’art. 69, comma 6 lett. b) della legge di ordinamento
penitenziario, per coloro che non versino nelle situazioni previste dal terzo
comma dell’art. 35-ter, -ossia non abbiano subito il lamentato pregiudizio in
stato di custodia cautelare, non computabile nella pena definitiva da scontare,
oppure non abbiano già terminato l’espiazione in carcere-, ha inteso rendere
esperibile lo strumento del reclamo giurisdizionale delineato dall’art. 35-bis
della stessa legge, da rivolgere al magistrato di sorveglianza secondo uno
specifico procedimento.
1.2 Viene dunque richiamata espressamente la disciplina processuale di
cui agli artt. 666 e 678 cod. proc. pen. che governa il procedimento di
sorveglianza ed impone l’attivazione del contraddittorio tra le parti, esteso
anche all’amministrazione penitenziaria interessata, e la fissazione del’udienza
in camera di consiglio per dar modo alle stesse di partecipare ed interloquire
innanzi al giudice. E’ altresì contemplata, quale eccezione alla regola generale,
la possibilità di un epilogo decisorio anticipato del reclamo in termini
d’inammissibilità ai sensi del secondo comma dell’art. 666 cod. proc. pen.,
mediante pronuncia di decreto reso con procedura “de plano” ed in assenza di
contradditorio, quando l’istanza sia stata “già rigettata (perché, n.d.r.),
basata sui medesimi elementi”, ovvero sia “manifestamente infondata per
difetto delle condizioni di legge”.
I commi 4 e 5 dell’art. 35-bis contengono anche la regolamentazione
del regime d’impugnazione avverso la decisione del magistrato di

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pregiudizio, costituito dalla sottoposizione a detenzione in condizioni tali da

sorveglianza, che è contestabile dall’interessato mediante reclamo al tribunale
di sorveglianza nel termine di quindici giorni dalla notificazione o
comunicazione dell’avviso di deposito del provvedimento, mentre la decisione
del predetto tribunale è ricorribile per cassazione, entro il termine di quindici
giorni dalla notificazione o comunicazione dell’avviso di deposito
dell’ordinanza, per il solo vizio di violazione di legge.
1.3 L’analisi dei testi normativi di riferimento non può però arrestarsi
agli artt. 35-bis e 35-ter della legge nr. 354/1975; deve tenersi nel debito

comma 2, la quale prevede espressamente che contro il decreto
d’inammissibilità, reso “de plano”, sia proponibile ricorso per cassazione.
1.4 Né in senso contrario, è sufficiente richiamare quanto stabilito da
questa sezione prima con la sentenza nr. 315 del 17/12/2014 (dep.
08/01/2015), Le Pera, rv. 261706, secondo la quale “avverso l’ordinanza del
magistrato di sorveglianza resa sull’istanza del detenuto per ottenere il
risarcimento dei danni patiti per le condizioni della detenzione è ammesso il
reclamo al tribunale di sorveglianza ex art. 35-bis, comma quarto, ord. pen.,
ma non il ricorso diretto per cassazione che, se proposto dopo l’entrata in
vigore dell’art. 3 del D.L. n. 146 del 2013 (conv. in legge n. 10 del 2014), va
qualificato come reclamo e trasmesso al detto tribunale per il principio di
conservazione dell’impugnazione espresso nell’art. 568, comma quinto, cod.
proc. pen.”. Tale decisione, al contrario, non contrasta con la linea
interpretativa sopra esposta, dal momento che riguarda un caso in cui, ad
onta della decisione espressasi in termini d’inammissibilità, la stessa era stata
assunta nella forma dell’ordinanza ed all’esito di compiuta istruttoria, quindi
all’esito di una approfondita disamina sulla fondatezza della domanda ed al di
fuori dello schema procedurale di cui all’art. 666 cod. proc. pen., comma 2..
2. Così ricostruita l’attuale cornice normativa di riferimento, l’analisi
condotta in via sistematica dell’art. 35-bis citato nei suoi vari commi induce a
ritenere che la previsione del reclamo al tribunale di sorveglianza riguardi
soltanto le decisioni assunte dall’ufficio di sorveglianza che si sia pronunciato
sul merito del reclamo, accogliendolo o respingendolo e che la declaratoria di
inammissibilità sia contestabile unicamente mediante ricorso per cassazione e
ciò in coerenza con la previsione più generale dell’art. 666 cod. proc. pen.,
comma 2, richiamata nella sua interezza e senza eccezioni di sorta dal primo
comma dell’art. 35-bis. Tale lettura, oltre a rispettarne la formulazione
testuale ed il significato logico del richiamo all’art. 666, offre il vantaggio di
assicurare alle parti la possibilità di uno scrutinio di merito, esteso a tutte le
questioni coinvolte ed articolabile in due successivi gradi innanzi a giudici

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conto anche la disposizione dell’ultimo periodo dell’art. 666 cod. proc. pen.,

dotati di pieni poteri di cognizione sul fatto quando la decisione si sia
addentrata in tali profili, mentre quando si sia limitata al riscontro immediato
e formale d’inammissibilità siffatto raddoppio del sindacato di merito non è
necessario ed è esperibile il solo controllo di legittimità.
Pertanto, tenuto conto del tenore della decisione impugnata nel caso di
specie, l’impugnazione proposta non va riqualificata come reclamo e non va
inoltrata al Tribunale di sorveglianza.
3.Tanto premesso, nel merito il ricorso va accolto, in quanto il

formalistica e non convincente del disposto dell’art. 2, comma 3, del d.l. nr.
92/2014. Tale disposizione così stabilisce:
“Art. 2 Disposizioni transitorie “1. Coloro che, alla data di entrata in vigore
del presente decreto-legge, hanno cessato di espiare la pena detentiva o non
si trovano più in stato di custodia cautelare in carcere, possono proporre
l’azione di cui all’articolo 35-ter, comma 3, della legge 26 luglio 1975, n. 354,
entro il termine di decadenza di sei mesi decorrenti dalla stessa data.
2. Entro sei mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto-legge, i
detenuti e gli internati che abbiano già presentato ricorso alla Corte europea
dei diritti dell’uomo, sotto il profilo del mancato rispetto dell’articolo 3 della
Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà
fondamentali, ratificata ai sensi della legge 4 agosto 1955, n. 848, possono
presentare domanda ai sensi dell’articolo 35-ter, legge 26 luglio 1975, n. 354,
qualora non sia intervenuta una decisione sulla ricevibilità del ricorso da parte
della predetta Corte.
3.

In tale caso, la domanda deve contenere, a pena di inammissibilità,

l’indicazione della data di presentazione del ricorso alla Corte europea dei
diritti dell’uomo.
4. La cancelleria del giudice adito informa senza ritardo il Ministero degli affari
esteri di tutte le domande presentate ai sensi dei commi 2 e 3, nel termine di
sei mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto-legge”.
3.1 Ebbene, è erroneo ritenere inammissibile l’istanza per mancata
specificazione della data di presentazione del ricorso alla Corte EDU. Nel caso
di specie ricorre piuttosto una situazione di incompleta indicazione della data,
avendo l’interessato precisato soltanto l’anno 2009 in cui aveva assunto tale
iniziativa, mancando dunque i dati relativi a giorno e mese, ma tale carenza
non pregiudica la possibilità di individuare la pratica pendente a nome del
Manrique, dal momento che tale operazione è comunque consentita dalla
specificazione del numero della sua protocollazione e del codice a barre.

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provvedimento in verifica ha proposto un’interpretazione restrittiva,

3.2 Va aggiunto che la finalità della prescrizione che impone al
richiedente di corredare la domanda dell’indicazione della data di
presentazione del ricorso alla Corte sovranazionale è quella di consentire la
verifica circa l’eventuale intervento di una pronuncia sulla ricevibilità del
ricorso stesso e l’eccezione, deducibile da parte del Governo italiano nei
procedimenti ancora pendenti al momento di entrata in vigore della legge, del
mancato esaurimento dei rimedi previsti dall’ordinamento interno.
Ebbene, siffatte finalità sono raggiungibili anche nel caso in cui la data di

anno, allorchè l’avvenuto deposito del ricorso e la perdurante pendenza del
procedimento siano egualmente riscontrabili mediante il contestuale
riferimento ad anno, numero progressivo di iscrizione e nominativo del
proponente, dati che offrono tranquillante certezza sulla circostanza di fatto
da dimostrare e che realizzano la “ratio” della previsione. Le contrarie
determinazioni assunte dal giudice di merito non sono condivisibili perché
limitatesi alla considerazione letterale della norma, non estesa al suo
significato logico-giuridico ed agli obiettivi dalla stessa perseguiti.
Pertanto, in accoglimento del ricorso, s’impone l’annullamento senza
rinvio del provvedimento impugnato con trasmissione degli atti al magistrato
di sorveglianza di Torino per il prosieguo, che dovrà attenersi al principio di
diritto sopra espresso.

P. Q. M.

Annulla senza rinvio il provvedimento impugnato e dispone trasmettersi
gli atti al Magistrato di sorveglianza di Torino.
Così deciso in Roma, il 14 maggio 2015.

presentazione del ricorso non sia compiutamente declinata in giorno, mese ed

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