Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 35835 del 27/06/2013


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 35835 Anno 2013
Presidente: BIANCHI LUISA
Relatore: GRASSO GIUSEPPE

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
GAGLIARDI ALESSANDRO N. IL 11/04/1973
avverso la sentenza n. 1698/2012 GIP TRIBUNALE di CASSINO, del
15/11/2012
sentita la relazione fatta dal Consigliere 1Iott. GIUSEPPE GRASSO;
lettel-setitite le conclusioni el PG Dott.

Uditi difØi6r Avv.;

Data Udienza: 27/06/2013

FATTO E DIRITTO

1. Il Tribunale di Cassino con sentenza del 15/11/2012, all’esito di richiesta delle
parti ai sensi dell’art. 444, cod. proc. pen., applicò nei confronti Gagliardi
Alessandro, imputato di violazione dell’art. 73 del d.P.R. n. 309/1990, la pena
concordata dalle parti medesime, operata la riduzione del rito.

3. Il ricorrente, denunziando violazione di legge e vizio motivazionale in questa
sede rilevabile si duole: a) della mancanza di motivazione in ordine alla non
ricorrenza di una delle ipotesi liberatorie di cui all’art. 129, cod. proc. pen.; b)
della mancata applicazione dell’art. 62bis, cod. pen.; c) del giudizio di congruità
della pena, il quale non aveva tenuto conto della personalità del soggetto, che
aveva evitato che il reato venisse portato ad ulteriori conseguenze, aiutando
concretamente la P.G.; d) del mancato riconoscimento della diminuente di cui al
comma 7 dell’art. 73, del d.P.R. n. 309/1990.

4. Il ricorso non supera il vaglio d’ammissibilità.
Richiamandosi la ferma giurisprudenza di questa Corte, devesi affermare che
fatta eccezione dell’ipotesi di pena illegale – ipotesi che nella fattispecie non
ricorre – l’accordo raggiunto tra le parti e recepito dal giudice nella conseguente
sentenza, ex art.444 c.p.p. preclude alle parti stesse, nonché al P.G., la
proposizione, nella successiva sede dell’impugnazione, di eccezioni o censure
attinenti al merito delle valutazioni, sottese al consenso prestato dalle parti
medesime (giurisprudenza di legittimità consolidata: Cass. Sez. 4 Sent. n. 20165
del 29/04/04, rv 228567; Cass. Sez. 4 Sent. n. 3946 del 30/03/98, rv 210639;
Cass. Sez. 1 Sent. n. 6898 del 24/01/97, rv 206642; Cass. Sez. 4 Sent. n. 8060
del 20/08/96, rv 205835; Sez. III, 3/5/2011, n. 23804).
Condivisibilmente si è, di recente (Cass., Sez. IV, n. 27733 del 18/11/20111;
nello stesso senso, Cass., Sez. Fer., n. 32078 del 12/8/2010) chiarito che nel
procedimento di applicazione della pena su richiesta (art. 444 e ss. c.p.p.), le
parti (anche quella pubblica) non possono prospettare con il ricorso per
cassazione questioni incompatibili con la richiesta di patteggiamento, in
particolare afferenti le prove risultanti dagli atti del procedimento nonché la
qualificazione giuridica del fatto risultante dalla contestazione, in quanto l’accusa
come giuridicamente qualificata non può essere rimessa in discussione. Ne
consegue che, una volta pronunciata la sentenza che ha recepito l’accordo, sul
quale il giudice ha preventivamente esercitato il suo potere di controllo, le parti

2. Avverso la sentenza l’imputato propone ricorso per cassazione.

(anche quella pubblica) non possono più prospettare questioni e sollevare
censure con riferimento all’applicazione delle circostanze e alla entità della pena,
che non sia illegale. Né tale doglianza può essere formulata prospettando il
difetto di motivazione, in quanto, con l’accordo intervenuto tra loro, le parti
hanno implicitamente esonerato il giudice dell’obbligo di rendere conto (almeno
“inter partes”) dei punti non controversi della decisione, non potendosi
pretendere l’esposizione dei motivi di un convincimento che le parti stesse hanno
già fatto proprio.

condizione negativa di cui all’art. 129, cod. proc. pen. (come nel caso in esame),
può essere ammessa censura sul punto.
Pur vero che questa Corte ha anthe affermato che il procedimento di
applicazione della pena su richiesta non impedisce l’azionabilità del ricorso per
cassazione quando il vizio di violazione di legge attenga alla qualificazione
giuridica del fatto (S.U., n. 5 del 19/1/2000; conformi, Cass. 1341/2000;
2083/2000; 39526/2006). Tuttavia, ove il giudice abbia effettuato la verifica
delibativa che la legge gli assegna non è più consentito alle parti e allo stesso
P.G. di dolersi della qualificazione, dell’individuazione delle circostanze, del
bilanciamento e del computo della pena, in quanto si tratterebbe di doglianze
inammissibili perché dirette a ricostruire i fatti, sul punto, in modo diverso da
quanto concordato.

7. Alla declaratoria d’inammissibilità consegue la condanna dell’imputato,
oltre che al pagamento delle spese processuali, della sanzione pecuniaria,
giudicata congrua, di cui in dispositivo.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e ciascuno a quello della somma di C. 1.500,00 in favore della
cassa delle ammende.

Così deciso i j Roma il 27/6/2013
Il C

Né, una volta che il giudice abbia dato mostra di aver preso in esame la

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