Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 35834 del 27/06/2013


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 35834 Anno 2013
Presidente: BIANCHI LUISA
Relatore: GRASSO GIUSEPPE

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
MILIA CHRISTIAN N. IL 28/02/1975
avverso la sentenza n. 1364/2012 CORTE APPELLO di CAGLIARI,
del 04/03/2013
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 27/06/2013 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. GIUSEPPE GRASSO
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.-€I-.-o
che ha concluso per a

Lt2.

Udito, per la
Udit i d’

civile, l’Avv
Avv.

Data Udienza: 27/06/2013

RITENUTO IN FATTO
1. Il Tribunale di Cagliari, con sentenza del 14/9/2012, dichiarato
Milia Christian colpevole del reato di cui all’art. 73, comma 5, del d.P.R. n.
309/1990, concessegli le attenuanti generiche ed effettuata la riduzione del
rito abbreviato, condannò il medesimo alla pena stimata di giustizia.

1.1. La Corte d’appello di Cagliari, investita dall’impugnazione

primo grado.

2. L’imputato ricorre per cassazione avverso quest’ultima sentenza,
prospettando plurime censure.

2.1. Con il primo motivo, con il quale denunzia violazione di legge
(artt. 49, cod. pen. e 73, comma 1, d.P.R. n. 309/1990), il ricorrente assume
che in assenza di specifico accertamento il fatto avrebbe dovuto qualificarsi
come inoffensivo. Anche nella fattispecie del reato di pericolo astratto non può
essere obliterata la regola nullum crimen sine iniuria, la cui affermazione
dipende da valutazione ex post.
In particolare, sarebbe occorso verificare le oggettive circostanze del fatto (il
numero delle piante, la tenuta delle stesse, la tecnica di coltivazione, ecc.) e,
indi, con giudizio eclettico, sarebbe stato necessario tener conto di ogni utile
aspetto della condotta, escludendo la configurazione del reato, ove diretta
all’uso personale esclusivo, stante il divieto d’incriminare le condotte di mero
consumo.
In definitiva, andava esclusa la tipicità del fatto in quanto inoffensivo.

2.2. Con la seconda censura viene denunziato vizio motivazionale.
La Corte territoriale non aveva tenuto conto del fatto che era stata rinvenuta
una sola piantina, il cui principio attivo risultava inferiore al limite consentito
per l’uso personale; piantina che era tenuta all’interno dell’abitazione, senza
essere alimentata con l’ausilio di tecniche particolari. Inoltre, escluso che
l’imputato fosse stato visto in zone utilizzate solitamente dagli spacciatori, lo
stesso, invece, risultava tossicodipendente.

2.3. Con il terzo motivo il Milia deduce violazione dell’art. 73,
comma 1, cit., nonché vizio motivazionale.
La Corte di merito non aveva considerato che non era stato rilevato alcuno
specifico confezionamento in dosi, né era emersa alcun’altra circostanza che
I

proposta dall’imputato, con sentenza del 4/3/2013, confermò la statuizione di

potesse far propendere per una destinazione allo spaccio. Il

«mero

confezionamento», cioè la conservazione, doveva reputarsi altra cosa, quel
che rilevava era l’assenza di suddivisione in dosi. Il frazionamento era ben
altro rispetto al confezionamento per la conservazione e le foglie, appunto,
erano state collocate in un’unica busta, grossolanamente frazionate, per
essere conservate e non per essere destinate allo spaccio.

2.4. Con l’ultimo motivo vengono denunziati violazione del comma

motivazione.
Gli indizi non avrebbero dovuto essere sottoposti a mera sommatoria, ma ne
andava, invece, ponderato il peso d’ognuno d’essi: il giudice di secondo grado
«Avrebbe dovuto, allora, valutare le ulteriori emergenze indiziarie, tra cui la
mera divisione delle foglie di cannabis tra quelle secche ed infiorescenze; la
mancanza di un confezionamento in singole dosi dello stupefacente; la
mancanza di strumenti di pesatura, di denaro di piccolo taglio; il fatto che gli
stessi militi intervenuti (…), hanno escluso la presenza del Milia nelle piazze di
spaccio della zona. Lo stato di tossicodipendenza dell’imputato, certificato da
una struttura pubblica.»
La Corte territoriale sulla base d’una congettura inammissibile aveva, infine,
affermato che il confezionamento delle foglie fosse propedeutico alla cessione
a terzi e, ancor più che fosse incompatibile con lo scopo conservativo per l’uso
personale, in quanto generante muffe.

CONSIDERATO IN DIRITTO
3. Il ricorso, il quale, in ragione dell’intima contiguità delle
questioni indicate al vaglio con i singoli motivi, è opportuno sottoporre ad
unitario esame, appare infondato.

3.1. In primo luogo occorre partire dalle emergenze istruttorie,
non fedelmente riprese in ricorso.
Oltre alla pianta invasata e in perfetto stato vegetativo, la P.G. rinvenne
all’interno dell’abitazione, adeguatamente celati, un rotolo di nastro adesivo e
quattro dischetti in cellophane, ricavati da comuni borse usa e getta della
spesa, nonché una confezione operata utilizzando dischetti dello stesso tipo,
contenente gr. 18 di foglie e gr. 21 di inflorescenze. Effettuata perizia in sede
di giudizio abbreviato, si è appurato che dal materiale conservato potevano
trarsi 43 dosi medie singole di principio attivo.

2

2 dell’art. 192, cod. proc. pen., nonché mancanza ed illogicità della

Se è pur vero, come afferma il ricorrente, non potersi seguire l’asserto
della Corte cagliaritana, secondo il quale la conservazione, per un futuro uso
personale, all’interno dei dischetti termosaldati di cui s’è detto, avrebbe
dovuto escludersi perché una simile conservazione sarebbe risultata fonte di
muffe (conclusione, questa, che richiederebbe il sostegno di un acclaramento
tecnico e che non può riconnettersi alle conoscenze comuni); è, d’altro canto,
del tutto illogico ricorrere a una simile tecnica conservativa per l’uso
personale, come vorrebbe il ricorrente: sarebbe bastato riporre in un barattolo

luogo al complesso sistema di vero e proprio confezionamento, che appare
avere come scopo la cessione a terzi.
Da un punto di vista, poi, dell’inquadramento della fattispecie, la Corte
territoriale ha correttamente ricordato che secondo l’orientamento condiviso di
questa Corte, la coltivazione di piante dalle quali possano trarsi principi attivi
stupefacenti, costituendo reato di pericolo astratto, integra la fattispecie
penale a prescindere dall’entità della detta coltivazione e del quantitativo di
principio attivo da essa ricavabile (S.U., n. 28605 del 24/4/2008). Salvo a
verificarsi, in concreto, l’effettiva mancanza di significativa offensività (Cass.
IV, n. 25674 del 1772/2011, essendo stato riscontrato principio attivo pari
solo a mg. 16; Cass., VI, n. 1262 del 10/12/2012, nel caso in cui non era
stato accertato il numero delle dosi ricavabili).
In definitiva, qui si è in presenza di un fatto offensivo e, in ogni caso, v’è
la prova della destinazione ad uso non esclusivamente personale della
sostanza stupefacente ricavata dalla pianta.

4. All’epilogo consegue la condanna del ricorrente al
pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali.

Così deciso i Roma il 27/6/2013.

o in qualunque altro recipiente il materiale vegetale, senza bisogno di far

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