Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 35819 del 02/07/2015


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 35819 Anno 2015
Presidente: CORTESE ARTURO
Relatore: DI TOMASSI MARIASTEFANIA

SENTENZA
sul ricorso proposto da CARLI Massimo, nato a Comacchio il 29/12/1954,
avverso la sentenza emessa in data 06/06/2014 dal Tribunale di Ferrara.
Visti gli atti, la sentenza impugnata, il ricorso;
sentita la relazione svolta dal consigliere M.Stefania Di Tornassi;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Enrico
Delehaye, che ha concluso chiedendo la declaratoria d’inammissibilità del ricorso.

Data Udienza: 02/07/2015

RITENUTO IN FATTO
1. Con la sentenza in epigrafe il Tribunale di Ferrara ha condannato Massimo
CARLI alla pena di 200,00 euro di ammenda per il reato di cui all’art. 650 cod. pen.
commesso in Comacchio il 10 settembre 2010,
Secondo la contestazione il CARLI, legale rappresentante della s.n.c. “Calri di
Massimo Carli & C.”, non aveva ottemperato all’ordinanza n. 456 del 24.8.2010 del
dell’attività di somministrazione di alimenti e bevande all’interno del locale pubblico
denominato “La Comacina”, continuando a somministrare bevande anche alle persone
non alloggiate nella predetta struttura.
A ragione della condanna, il Tribunale osservava che dagli elementi acquisiti
(testimonianze dell’ispettore Spallacci, dell’avventrice Brandolini, del dipendente
Tommasi, del fratello e della moglie dell’imputato; dichiarazioni spontanee
dell’imputato; ordinanza comunale n. 456 del 24.8.2010 e ordinanza precedente, n.
190 del 14.5.2010, in quella richiamata) emergeva chiaramente che nel ristorante
della struttura alberghiera erano stati accolti, in violazione della sospensione
provvisoria, avventori che non erano clienti della struttura stessa. Sussisteva quindi il
reato contestato atteso il chiaro tenore dell’ordinanza e il presupposto della tutela
penale era riconducibile a ragioni di ordine pubblico, correlati alla violazione della
normativa sul disturbo della pubblica quiete, come emergeva dall’ordinanza stessa.
2. Ha proposto ricorso Massimo CARLI personalmente, chiedendo l’annullamento
della sentenza impugnata. Denunzia:
2.1. nullità della sentenza per mancata motivazione sulle prove a discarico; il
Tribunale aveva, difatti, completamente omesso di considerare gli elementi forniti
dalla difesa attestanti le condizioni meteo locali, che corroboravano l’assunto difensivo
che le persone non clienti dell’albergo trovate presso il ristorante si erano soltanto lì
riparate;
2.2. inutilizzabilità delle dichiarazioni dell’avventrice, riportate

de relato dalla

polizia giudiziaria, in violazione dell’art. 195, comma 4, cod. proc. pen.
2.3. errata ricostruzione dei fatti; non risultava, difatti, in alcun modo provato che
la cliente identificata dagli ispettori fosse cliente del ristorante esterno della locanda;
né poteva escludersi che parte dei clienti dì altro ristorante pressoché limitrofo, la
Barcaccia, si fossero spostati per esigenze contingenti nel locale oggetto di ispezione;
2.4. mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche; non erano state
considerate, in particolare, le difficoltà incontrate dal ricorrente, il valore afflittivo del
provvedimento amministrativo, il comportamento processuale leale;
2.5. mancata concessione del beneficio della non menzione della condanna, pur
sussistendo tutte le condizioni di legge che l’avrebbero consentita.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Comune di Comacchio con la quale gli era stato impartito l’ordine di sospensione

1. Il ricorso è inammissibile sotto ogni aspetto.
2. Dagli atti risulta che l’ordine di sospensione violato era stato imposto al
ricorrente quale sanzione ai sensi dell’art.

17-ter r.d. n. 773 del 1931 – la cui

violazione è punibile ai sensi dell’art. 650 cod. pen. a mente del quinto comma del
medesimo articolo – e che la sua decorrenza era stata già rinviata, in considerazione
Risulta dunque che l’ordine era stato legittimamente impartito e che l’imputato
aveva avuto ampiamente modo di organizzare la propria attività per poterlo rispettare
puntualmente.
Il provvedimento impugnato ha inoltre ineccepibilmente dato conto del fatto che
la prova che nel locale ristorante stavano consumando un pasto avventori esterni alla
struttura, in violazione dell’ordine, risultava, oltre che da quanto riferito dall’ispettore
verbalizzante, dalle dichiarazioni rese a dibattimento dalla stessa avventrice
(Brandolini).
2.1. Tanto posto, la censura riferita all’inutilizzabilità delle dichiarazioni
assertvannente de relato, da tale avventrice, del verbalizzante, in violazione del divieto
posto dall’art. 195, comma 4, cod. proc. pen., cade dunque su dato assolutamente
irrilevante nell’economia della decisione, sorretta da motivazione che esaurientemente
si regge sulle dichiarazioni rese a dibattimento dalla testimone Brandolini.
2.2. La denunzia di travisamento della deposizione della Brandolini, non solo non
è autosufficiente, ma appare anche manifestamente infondata alla luce del tenore del
verbale delle dichiarazioni da questa rese a dibattimento. E, così come la doglianza di
errata ricostruzione dei fatti, si risolve nel tentativo, per altro articolato anche in forma
ipotetica e comunque assolutamente generico, di confutare il significato attribuito alle
prove acquisite, insindacabile in questa sede perché l’interpretazione del materiale
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probatorio è compito rimesso interamente ai giudici del merito.
2.3. Cade, per conseguenza, ancora su aspetti irrilevanti, già ampiamente
smentiti, la doglianza di omessa adeguata considerazione delle deduzioni e allegazioni
difensive sulle condizioni metereologiche, con cui si intendeva corroborare l’assunto
che le persone estranee alla struttura non erano nel ristorante per desinare, ma solo
per ripararsi (dalle intemperie).
3.

Afferente a valutazioni squisitamente di merito, e generica, è quindi la

doglianza sul trattamento sanzionatorio. La pena inflitta è di 200,00 euro di ammenda.
A fronte di sanzione di tal fatta, l’affermazione che il ricorrente avrebbe meritato
attenuanti generiche non è corredata da alcun argomento decisivo e l’allegazione delle
difficoltà di incontrate per adempiere all’ordinanza non solo è aspecifica e non
autosufficiente, ma neppure appare coerente con quanto all’inizio rimarcato in
relazione ai differimenti già goduti.

delle diverse esigenze, al termine della stagione estiva.

4. Manifestamente infondato è infine l’ultimo motivo, con cui si lamenta l’omessa
concessione del beneficio della non menzione della condanna nel certificato generale
del casellario giudiziale spedito a richiesta dei privati, a proposito del quale è
sufficiente ricordare che a mente dell’art. 24, comma 1, lett. b) , d.P.R. n. 313 del
2002, le condanne alla sola pena dell’ammenda non sono iscritte in detto certificato.
3. Il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile e all’inammissibilità consegue, ai
spese del procedimento e – per i profili di colpa correlati all’irritualità dell’impugnazione
(C. cost. n. 186 del 2000) – di una somma in favore della cassa delle ammende nella
misura che, in ragione delle questioni dedotte, si stima equo determinare in euro
1.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e al versamento della somma di euro 1000,00 alla cassa delle
ammende.
Così deciso il 2 luglio 2015
Il consigliere estenso

sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle

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