Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 35814 del 30/04/2015


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 35814 Anno 2015
Presidente: CORTESE ARTURO
Relatore: BONI MONICA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
ANDREINI WALTER STEFANO N. IL 11/06/1965
nei confronti di:
SANGIORGI BARBARA N. IL 03/11/1954
BORGHESI MASSIMO N. IL 27/03/1961
inoltre:
SANGIORGI BARBARA N. IL 03/11/1954
BORGHESI MASSIMO N. IL 27/03/1961
avverso la sentenza n. 9/2013 CORTE ASSISE APPELLO di
BOLOGNA, del 16/10/2013
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 30/04/2015 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. MONICA BONI
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. Atc,U,, (7,4 ),Leak
che ha concluso per J
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Data Udienza: 30/04/2015

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Uditi difensor Avv. 45

Ritenuto in fatto

1. Con sentenza emessa in data 8 novembre 2010 il G.U.P. del Tribunale di Rimini
all’esito del giudizio celebrato nelle forme del rito abbreviato, dichiarava gli imputati Barbara
Sangiorgi e Massimo Borghesi responsabili del delitto di concorso in abbandono di persona
incapace, loro contestato, perché, nelle rispettive qualità di responsabile del reparto di
psichiatria e di coordinatore del personale infermieristico, addetto al medesimo reparto presso

paziente Mario Andreini, ricoverato in detto reparto e che avevano in cura e custodia, lo
abbandonavano, e, esclusa l’aggravante contestata, li condannava alla pena di giustizia e al
risarcimento danni nei confronti della costituita parte civile, mentre li assolveva dal restante
delitto di omicidio colposo, contestato in alternativa come commesso in danno del predetto
paziente.
2. Con sentenza del 26 ottobre 2011 la Corte di assise d’appello di Bologna, investita
dell’appello degli imputati, della parte civile con riferimento all’ammontare del danno liquidato
e del pubblico ministero quanto all’assoluzione dal delitto di omicidio colposo, assolveva gli
imputati per non aver commesso il fatto.
3.Proposto ricorso da parte del Procuratore Generale presso la Corte d’Appello di Bologna
e dalla parte civile, la quinta sezione penale della Corte di Cassazione con sentenza del 21
febbraio 2013 nr. 17976 annullava la sentenza di appello e rinviava ad altra sezione della Corte
distrettuale per nuovo giudizio, rilevando la totale irrazionalità della motivazione della
pronuncia assolutoria. In particolare evidenziava che:
-poiché il trasferimento dell’Andreini nella casa di cura II Sole s.r.I., struttura “aperta”, nella
quale i pazienti erano liberi di circolare, non aveva incontrato il consenso del paziente e
nemmeno dei suoi familiari, ed egli aveva versato in gravi condizioni mentali, che gli avevano
impedito di badare a se stesso e di sopravvivere, se non assistito, lo stesso avrebbe dovuto
essere trasferito in altro nosocomio più adeguato alle sue esigenze e comunque essere
sottoposto a più adeguata sorveglianza quanto ai suoi movimenti, tanto più che egli aveva già
dimostrato, mentre vi era ospitato, di voler abbandonare il luogo;
-non poteva essere esclusa la colpevolezza degli imputati per quanto accaduto a paziente loro
affidato, in quanto ospitato nella struttura in cui essi avevano prestato la loro attività, per cui
responsabili del suo allontanamento dovevano ritenersi sia coloro che, pur dirigendo la
struttura quale titolare e coordinatore dei servizi, non avevano impartito corrette disposizioni
circa le modalità di trattamento del paziente, sia le figure professionali presenti in reparto al
momento della scomparsa e che avevano consentito la sua verificazione senza essersi attivati
per impedirla;

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la struttura sanitaria “Il Sole s.r.l.”, omettendo di sorvegliare e vigilare adeguatamente il

-era incomprensibile il rilievo sulla presenza dell’Andreini in reparto fino alla sua scomparsa,
ovvia constatazione, che non rende lecita la condotta omissiva da parte di chi gli aveva
consentito di allontanarsene.
Pertanto, riteneva necessaria la celebrazione di rinnovato giudizio per verificare da parte
del giudice di rinvio se, in concreto, agli imputati fosse spettato il compito di vigilare sulla
condotta, potenzialmente autolesionistica, dell’Andreini, se tale eventuale omissione fosse
assistita dall’elemento soggettivo richiesto dall’art. 591 cod. pen. e se il decesso dell’Andreini

4. La Corte di Assise di Appello di Bologna con sentenza del 16 ottobre 2013, concesse
agli imputati le circostanze attenuanti generiche, dichiarate equivalenti all’aggravante di cui
all’art. 591 cod. pen., comma 3, riformava parzialmente la sentenza di primo grado e la
condanna degli imputati alla pena di mesi otto di reclusione ciascuno, al risarcimento dei danni
in favore della parte civile, liquidati in euro 40.000,00, alla rifusione in favore della stessa
parte civile delle spese di costituzione.
4.1 A fondamento della decisione rilevava che, poiché tra la pronuncia della sentenza di
appello e di quella della Corte di Cassazione il cadavere dell’Andreini era stato rinvenuto ed era
certa la verificazione dell’evento morte quale conseguenza dell’abbandono, non avendo potuto
costui sopravvivere privo di farmaci e di assistenza continua, il giudizio di rinvio si doveva
concentrare sulla sola imputazione di abbandono di persona incapace, aggravato ai sensi del
terzo comma 591 cod. pen., fattispecie più grave rispetto a quella contestata in via
alternativa di omicidio colposo. Rilevato poi che la Casa di cura “il Sole, s.r.l.” non era
adeguatamente attrezzata per garantire una adeguata e continuativa vigilanza dei pazienti,
trattandosi di una struttura “aperta”, che consentiva di uscire dall’interno, solo azionando un
bottone, senza che la cosa fosse percepita da un “portiere” , ovvero da un “vigilante” e senza
che al sistema di videosorveglianza nei locali fosse addetto del personale incaricato di seguire
le apparecchiature, attese le particolari condizioni di salute dell’Andreini, -paziente a rischio per
il suo comportamento “oniroide” ed i plurimi tentativi di fuga, privo di senso dell’ orientamento
e della percezione del luogo ove trovavasi e del proprio stato di salute, nonché incapace di
provvedere a se stesso-, riteneva che i due imputati per le mansioni professionali svolte e per
essere stati integrati nell’organizzazione della casa di cura fossero stati a conoscenza delle
carenze strutturali ed operative del nosocomio. Ciò nonostante la Sangiorgi aveva
personalmente autorizzato il ricovero della vittima nella consapevolezza delle sue condizioni di
non autosufficienza ed il Borghesi aveva organizzato i turni del personale infermieristico senza
prevedere speciale vigilanza sul paziente, la cui scomparsa non era stata nemmeno percepita
nell’immediatezza della verificazione, posto che il suo corpo, nonostante le difficoltà motorie,
era stato rinvenuto a trecento metri dalla struttura.
5.

Avverso detta pronuncia hanno proposto separati ricorsi a mezzo dei rispettivi

difensori gli imputati, nonché la parte civile.
5.1 Barbara Sangiorgi ha lamentato:
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fosse ricollegabile causalmente alla condotta omissiva ascritta ai due imputati.

a) contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione, travisamento delle risultanze
processuali in ordine alla sussistenza dell’elemento soggettivo del delitto di cui all’art. 591
cod.pen e violazione dell’art. 533 cod.proc. pen., erronea applicazione dell’art. 591 cod.pen..
La Corte distrettuale ha fondato il giudizio di responsabilità a carico della ricorrente sul
presupposto che, essendo la stessa la direttrice del reparto di psichiatria in assenza del
primario e pur essendole note le carenze della struttura sanitaria, non avrebbe predisposto una
vigilanza continuativa sul paziente Andreini, coscientemente abbandonato a se stesso; ha però

cura, poiché la stessa non aveva competenze di direzione del reparto di psichiatria, -funzioni
assegnate dall’1/4/2007 ad altro sanitario, il dr. Bandieri, che aveva svolto il turno di servizio
precedente-, nemmeno quale vicario del predetto sanitario per mancato conferimento di
delega in tal senso, né era stata presente nella residenza il pomeriggio del 23 aprile 2007,
allorquando l’Andreini aveva attuato i tentativi di fuga, ma soltanto il giorno del suo
allontanamento
Il responsabile dr. Bandieri, che pure aveva constatato la sintomatologica del paziente il giorno
23 aprile 2007, non aveva disposto una vigilanza particolare, per cui tale provvedimento non
avrebbe potuto e dovuto essere assunto nemmeno dall’imputata, posto che l’Andreini la
mattina della scomparsa non aveva manifestato anomalie comportamentali, era stato visto
all’interno del reparto, distante dalle vie di fuga, senza lasciar prevedere il suo improvviso
abbandono del luogo, sicchè, valutando la condotta “ex ante”, non era esigibile un diverso
atteggiamento volitivo e la disposizione di continua vigilanza, pretesi nella sentenza impugnata
e non poteva esserle addebitata una condotta omissiva dolosa per l’assenza di consapevolezza
e di concreta rappresentazione dell’evento. Al riguardo la ricorrente aveva maturato il
ragionevole convincimento dell’impossibilità di allontanamento dell’Andreini, sia per le sue
difficoltà motorie, sia per le valutazioni specialistiche espresse dai medici dell’Ospedale di
Rimini, secondo i quali anche le annotazioni anamnestiche sui tentativi di fuga in stato oniroide
non impedivano il suo ricovero in struttura aperta, sicchè erano irrilevanti, mentre la sentenza
non aveva illustrato le ragioni per le quali la stessa avrebbe dovuto disattendere tali indicazioni
che rappresentavano difficoltà di locomozione, ma non lasciavano prevedere l’allontanamento
sia pure in un contesto di debole vigilanza, anche perché le persone operanti nei pressi
dell’ingresso della struttura avrebbero dovuto segnalare la sua presenza in quell’area.
Pertanto, non è esigibile che la ricorrente disponesse la vigilanza continuativa
sull’Andreini, perché non le competeva l’assunzione della decisione, non essendo direttrice di
reparto, né essendo stata presente al momento dei tentativi di fuga, mentre la struttura era
destinata ad accogliere pazienti non sottoposti a trattamento sanitario obbligatorio, ma
ricoveratisi volontariamente, nella quale erano precluse misure coercitive ed ella non aveva
avuto consapevolezza di abbandonare un paziente in stato di pericolo.
Inoltre, non rispondeva al vero che ella avesse autorizzato il ricovero dell’Andreini presso
la casa di cura, in quanto la relativa decisione di collocarlo in osservazione, superata la fase di

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travisato i dati probatori quanto alla posizione dell’imputata nell’organizzazione della Casa di

TSO, era stata assunta dal dr. Aurigemma, dirigente del reparto psichiatrico dell’ospedale di
Rimini, mentre ella si era occupata soltanto di compilare il modulo di adesione al progetto
diagnostico e terapeutico.
b) Carenza della motivazione in ordine alla sussistenza del nesso causale tra l’evento morte e
la condotta omissiva ascritta all’imputata, contraddittorietà e travisamento delle risultanze
processuali ed inosservanza ed erronea applicazione della legge penale in relazione
all’aggravante di cui all’art. 591, comma 3 0 cod.pen., nonché violazione dell’art. 533 cod.

sentenza della Corte di Cassazione, aveva ritenuto che la stessa non le avesse devoluto anche
il tema della sussistenza della circostanza aggravante, di cui al comma 3 dell’art. 591 cod.
pen., per cui aveva omesso qualsivoglia motivazione in ordine alla ricorrenza del nesso causale
tra la morte dell’ Andreini e la condotta di abbandono ascritta all’imputata.
Nel caso non era stato condotto alcun accertamento risolutivo sulle cause del decesso
dell’Andreini e sulla loro correlazione eziologica con l’allontanamento dalla casa di cura ove era
stato ricoverato, sicchè avrebbe dovuto essere esclusa la predetta aggravante.
c) Carenza di motivazione in ordine al giudizio di equivalenza delle circostanze attenuanti
generiche sulla contestata aggravante ed inosservanza della legge penale ed in particolare
degli artt. 62 bis, 69 e 133 cod.pen.. La Corte di merito non ha espresso alcuna giustificazione
sul punto e non ha tenuto conto della lievissima intensità del dolo, dell’incensuratezza
dell’imputata, della professionalità esercitata per diversi anni senza mai dare adito a censure
né a provvedimenti amministrativi, della tempestiva attivazione nella ricerca dell’ Andreini e
nell’impedire il ripetersi di episodi analoghi, sicché avrebbe dovuto anche contenere la pena
inflitta.
5.2 Massimo Borghesi a mezzo dell’avv.to Leonardo Bernardini ha dedotto:
a) contraddittorietà, e manifesta illogicità della motivazione, travisamento delle risultanze
processuali in ordine alla sussistenza dell’elemento soggettivo del delitto di cui all’ art. 591
cod.pen., violazione dell’ art. 533 cod.proc.pen.. La Corte di secondo grado ha erroneamente
ritenuto che il ricorrente avesse omesso di predisporre la vigilanza continuativa sul paziente
per le sue mansioni di coordinatore infermieristico del reparto, mentre egli all’epoca aveva
svolto funzioni di collegamento tra le esigenze di diagnosi e cura da approntarsi per i ricoverati
all’esterno della struttura, ossia in altri presidi AUSL, e le attività di reparto psichiatrico, senza
avere assunto alcuna responsabilità diretta sul piano organizzativo della funzione
infermieristica di presidio, dovendo soltanto indicare le attività assistenziali e verificarne
l’adempimento da parte del personale, sicché non aveva poteri di scelta o modifica della
struttura convenzionata.
Quanto all’elemento soggettivo del dolo, le valutazioni specialistiche espresse dai medici
dell’Ospedale di Rimini, secondo i quali anche le annotazioni anamnestiche sui tentativi di fuga
in stato oniroide non impedivano il suo ricovero in struttura aperta, escludevano la
consapevolezza e la previsione dell’allontanamento del paziente, sicchè erano irrilevanti,
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proc.pen.. Erroneamente la Corte d’Assise d’Appello, in contrasto con quanto statuito dalla

mentre la sentenza non aveva illustrato le ragioni per le quali egli avrebbe dovuto disattendere
tali indicazioni e revocare il trattamento terapeutico disposto da altri sanitari, anche perché le
annotazioni nel diario infermieristico rappresentavano disorientamento spazio-temporale e
difficoltà di locomozione, ma non lasciavano prevedere l’allontanamento sia pure in un
contesto di debole vigilanza, anche perché le persone operanti nei pressi dell’ingresso della
struttura avrebbero dovuto segnalare la sua presenza in quell’area.
Pertanto, non è esigibile che il ricorrente disponesse la vigilanza continuativa sull’Andreini,

avendo fatto affidamento sul rispetto degli obblighi contrattuali da parte dei titolari della
struttura, che prevedevano la presenza di personale nella guardiola all’ingresso con controllo
delle immagini monitorizzate dei movimenti di reparto, violazione che aveva determinato il
tragico evento.
Inoltre, l’inesigibilità della condotta era riscontrabile anche in ragione delle caratteristiche della
struttura, destinata ad accogliere pazienti non sottoposti a trattamento sanitario obbligatorio,
ma ricoveratisi volontariamente, nella quale erano precluse misure coercitive ed egli non aveva
avuto consapevolezza di abbandonare un paziente in stato di pericolo.
b) Carenza della motivazione in ordine alla sussistenza del nesso causale tra l’evento morte e
la condotta omissiva ascritta all’imputato, contraddittorietà e travisamento delle risultanze
processuali ed inosservanza ed erronea applicazione della legge penale in relazione
all’aggravante di cui all’art. 591, comma 3 0 cod.pen., nonché violazione dell’art. 533 cod.
proc.pen.. Erroneamente la Corte d’Assise d’Appello, in contrasto con quanto statuito dalla
sentenza della Corte di Cassazione, aveva ritenuto che la stessa non le avesse devoluto anche
il tema della sussistenza della circostanza aggravante, di cui al comma 3 dell’art. 591 cod.
pen., per cui aveva omesso qualsivoglia motivazione in ordine alla ricorrenza del nesso causale
tra la morte dell’ Andreini e la condotta di abbandono ascritta all’imputata.
Nel caso non era stato condotto alcun accertamento risolutivo sulle cause del decesso
dell’Andreini e sulla loro correlazione eziologica con l’allontanamento dalla casa di cura ove era
stato ricoverato, sicchè avrebbe dovuto essere esclusa la predetta aggravante.
c) Carenza di motivazione in ordine al giudizio di equivalenza delle circostanze attenuanti
generiche sulla contestata aggravante ed inosservanza della legge penale ed in particolare
degli artt. 62 bis, 69 e 133 cod.pen.. La Corte di merito non ha espresso alcuna giustificazione
sul punto e non ha tenuto conto della lievissima intensità del dolo, dell’incensuratezza
dell’imputato, della professionalità esercitata per diversi anni senza mai dare adito a censure
né a provvedimenti amministrativi, della tempestiva attivazione nella ricerca dell’ Andreini e
nell’impedire il ripetersi di episodi analoghi, sicchè avrebbe dovuto anche contenere la pena
inflitta.
5.3 Anche la parte civile Walter Stefano Andreini ha proposto ricorso per lamentare:
a) nullità della sentenza per mancanza assoluta di motivazione in ordine all’esclusione di
alcune categorie di danno, patrimoniale, biologico ed esistenziale, ed al riconoscimento della
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perché non gli competeva l’assunzione della decisione, non essendo direttore di reparto ed

somma di euro 40.000,00 a titolo di danno morale in luogo della maggiore somma richiesta o
comunque degli importi previsti dalle tabelle del Tribunale di Milano, generalmente utilizzate
per liquidare il danno morale, che avrebbero comportato il riconoscimento di una somma
compresa tra il minimo di euro 163.080 ed un massimo di euro 326.150. Sia nella sentenza
impugnata, che in quella di legittimità sono state evidenziate le gravissime responsabilità degli
imputati per l’abbandono della vittima, il cui corpo era stato rinvenuto soltanto cinque anni
dopo la scomparsa in un fossato delimitante un cantiere a poche centinaia di metri dalla casa

periodo di non avere notizie del genitore e la necessità di dover convivere con la disperazione
della propria madre per tale perdita, nonché, dopo la scoperta, con la consapevolezza della fine
lenta e straziante del padre, caduto in luogo impervio ed abbandonato per ore prima che
intervenisse il decesso. Non era stato inspiegabilmente riconosciuto il danno patrimoniale per il
tempo sottratto al lavoro per le ricerche del padre, per le trasferte e le spese funerarie, per le
quali avrebbe dovuto al più emettersi pronuncia di condanna generica secondo quanto previsto
dall’art. 539 cod. proc. pen., né il danno biologico ed esistenziale e la somma riconosciuta era
irrisoria.
b) Nullità della sentenza quanto alla liquidazione delle spese di costituzione della parte civile,
operata in modo unitaria per tutti e tre i gradi di giudizio e per assoluta mancanza di
motivazione in ordine ai criteri impiegati a fronte di tre note dettagliate, che avevano esposto
valori medi previsti dalla legge; inoltre, non aveva applicato senza motivazione l’aumento
previsto dall’art. 12, comma 4, del Decreto legislativo nr. 40/2012.
6. Con successiva memoria depositata il 15 aprile 2015 la parte civile ha dedotto che
nonostante l’entrata in vigore del D.M. nr. 55/2014, non viene meno il fondamento del
proposto ricorso in relazione all’assoluta carenza di motivazione in ordine alla liquidazione
forfettaria e non giustificata nel suo ammontare per i tre gradi del giudizio; ha quindi sostenuto
l’inammissibilità o l’infondatezza dei ricorsi degli imputati, richiedenti rivisitazione dei fatti e
delle prove assunte con una formulazione dei motivi non autosufficiente, mentre non
sussisteva più alcun dubbio che il corpo recuperato il 27/11/2012 fosse quello di Mario
Andreini, circostanza comunicata dagli stessi difensori degli imputati.

Considerato in diritto

I ricorsi di Massimo Borghesi e della parte civile sono fondati e meritano integrale
accoglimento, mentre il ricorso di Barbara Sangiorgi è solo parzialmente fondato e va accolto
nei termini che verranno specificati.
1.Alla disamina dei motivi articolati a sostegno degli atti di gravame proposti
nell’interesse degli imputati è opportuno premettere qualche precisazione sul piano generale in
ordine ai poteri di cognizione spettanti al giudice di rinvio. Secondo un orientamento
giurisprudenziale ormai consolidato, a seguito di annullamento disposto per vizio di
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di cura, il che ha comportato per il ricorrente, suo figlio, l’ansia protrattasi per lo stesso

motivazione, il giudice di rinvio, benché sia obbligato a giustificare il suo convincimento
secondo lo schema implicitamente o esplicitamente enunciato nella sentenza rescindente,
decide con i medesimi poteri che aveva il giudice il cui provvedimento è stato annullato: a
fronte di un potere di intervento cognitivo improntato alla massima latitudine, gli unici limiti
consistono nel divieto di ripetere i vizi già censurati nel giudizio di legittimità e nell’obbligo di
conformarsi all’interpretazione ivi data alle questioni di diritto senza poter riproporre a
fondamento della decisione le argomentazioni già ritenute incomplete o illogiche. Inoltre, il

annullamento, isolandoli dal contesto generale della decisione e dal residuo materiale
probatorio, ma mantiene, nell’ambito dei capi investiti dall’annullamento, piena autonomia di
giudizio nella ricostruzione del fatto, nell’individuazione e valutazione dei dati probatori ed il
potere di desumere, anche da fonti diverse, eventualmente rimaste estranee alla cognizione
del primo giudice perché ignorate o volutamente preternnesse, il potere di formare liberamente
il proprio convincimento. E’ dunque certo che la rinnovata disamina della vicenda processuale
nel giudizio di rinvio deve rimuovere i vizi segnalati, colmare le carenze giustificative ed
eliminare le incongruenze rilevate (Cass. sez. 2, n. 27116 del 22/05/2014, Grande Aracri e
altri, rv. 259811; sez. 5, n. 42814 del 19/06/2014, Pg in proc. Cataldo, rv. 261760; sez. 6, n.
42028 del 4/10/2010, Regine, rv. 248738; sez. 4, n. 43720 del 14/10/2003, Colao, rv.
226418). Pertanto, a seguito di annullamento per vizio di motivazione, il giudice di rinvio,
vincolato dal divieto di reiterare gli stessi argomenti ritenuti illogici o carenti dalla Corte di
cassazione, può pervenire, sulla scorta di argomentazioni diverse da quelle censurate in sede
di legittimità, ovvero integrando e completando quelle già svolte, allo stesso risultato decisorio
della pronuncia annullata. Tale conclusione riceve avallo dai principi generali che regolano il
sistema delle impugnazioni e dallo sviluppo dialettico del procedimento, che assegnano alla
Corte di cassazione il sindacato di sola legittimità, per cui anche quando il controllo vede solo
sulla motivazione del provvedimento impugnato non può addentrarsi al giudizio di fatto,
riservato in via esclusiva ai giudici di merito ed il disposto annullamento costituisce un “vincolo
di contenuto negativo”, consistente nel divieto di adottare, nella sua pronuncia, la stessa
motivazione che la Corte suprema ha ritenuto viziata. Si è dunque affermato il principio di
diritto, pienamente condivisibile, per cui “Non viola l’obbligo di uniformarsi al principio di diritto
il giudice di rinvio che, dopo l’annullamento per vizio di motivazione, pervenga nuovamente
all’affermazione di responsabilità sulla scorta di un percorso argomentativo in parte diverso ed
in parte arricchito rispetto a quello già censurato in sede di legittimità” (Cass., sez. 4, n. 44644
del 18/10/2011, F., rv. 251660; sez. 6, n. 19206 del 10/01/2013, P.M. in proc. Di Benedetto,
rv. 255122).
2. Tanto premesso, la sentenza resa dalla quinta sezione di questa Corte aveva disposto
l’annullamento della precedente pronuncia assolutoria, la cui motivazione aveva censurato in
quanto “radicalmente irrazionale”, rilevando che:

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giudice del rinvio non è tenuto ad esaminare solo i punti specificati con la pronuncia di

- le circostanze di fatto indicate nella sentenza annullata, riguardanti: a) il trasferimento
dell’Andreini presso la casa di cura “Il Sole” non consensuale, né autorizzato dai congiunti; b)
la sua natura di struttura “aperta”, nella quale i pazienti erano liberi di circolare; c) l’assenza di
caratteristiche adeguate al trattamento di paziente in gravi condizioni mentali, che gli avevano
impedito di badare a se stesso e di sopravvivere, se non assistito; d) l’inutilità del sistema di
videosorveglianza, in quanto alcun addetto controllava sui “monitors” le immagini riprese; e) la
possibilità di aprire la porta dell’edificio che a piano terra dava sull’esterno, azionando un

nosocomio il paziente, dall’altro l’adozione nei riguardi dell’Andreini di una forma più adeguata
e rigorosa di sorveglianza rispetto a quella assicurata su altri pazienti quanto ai suoi
movimenti, tanto più che egli aveva già dimostrato, mentre vi era ospitato, di voler
abbandonare il luogo;
– in punto di diritto, “la fattispecie di cui all’art. 591 cod. pen. è tale per cui chiunque sia la
persona che, anche semplicemente di fatto, si trova a garantire l’incolumità fisica e/o psichica
di un incapace, non può abbandonarlo, vale a dire non può cessare di esercitare la doverosa
sorveglianza, volta ad impedire che il predetto causi danni a se stesso o agli altri”;
– il rilievo sulla presenza degli imputati presso la casa di cura il giorno della scomparsa
dell’Andreini è ovvio, ma non inesatto, dal momento che tale presenza era conseguenza delle
mansioni che in detta struttura essi erano chiamati a svolgere, a prescindere dal rapporto di
lavoro alle dipendenze della s.r.l. “Il Sole”;
-a fronte di tale situazione di fatto non assume significato la pretesa distinzione, proposta dalle
difese, tra responsabilità “scientifica” e responsabilità “amministrativa” in capo a chi , anche in
via di mero fatto, eserciti la direzione di un reparto nel quale sia collocato l’incapace, ovvero
debba assicurare il coordinamento dei soggetti chiamati alla vigilanza, dovendosi verificare se
tali figure avessero posto in essere quanto necessario ad evitare l’accaduto e potendo la loro
responsabilità concorrere con quella del proprietario e del direttore sanitario;
– alcun significato logico ed incomprensibile in chiave liberatoria assume la circostanza della
presenza dell’Andreini in reparto fino alla sua scomparsa, ovvia constatazione, che non rende
lecita la condotta omissiva da parte di chi gli aveva consentito di allontanarsene.
Nel disporre dunque l’annullamento la Corte Suprema ha conferito specifico mandato al
giudice di rinvio di: a) verificare se in concreto gravava sugli imputati in relazione alla
situazione contingente il compito di vigilare sulla condotta, potenzialmente autolesionistica,
dell’Andreini; b) se l’eventuale omissione sia stata connotata dall’elemento psicologico; c) se il
decesso del paziente sia ricollegabile causalmente alla condotta omissiva loro ascritta.
2.1 Le chiare e troncanti osservazioni della sentenza rescindente sopra riassunte hanno
dunque già tracciato una precisa linea di condotta valutativa per il successivo giudizio di rinvio,
che la Corte di Assise di Appello ha rispettato, ad eccezione che per il punto riguardante la
sussistenza della circostanza aggravante di cui al terzo comma dell’art. 51 cod. pen., tema
che verrà affrontato in seguito.

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pulsante, avrebbero dovuto indurre a considerare, da un lato la necessità di trasferire in altro

2.2 Premesso che il materiale probatorio è rimasto invariato, la Corte distrettuale ne ha
dedotto le seguenti risultanze fattuali:
– la casa di cura “il Sole, s.r.l.”, -trattandosi di una struttura “aperta”, che consentiva di uscire
dall’interno all’esterno, solo azionando un bottone secondo le istruzioni impartite da un
apposito cartello, senza che la cosa potesse essere riscontrata da un “portiere”, ovvero da un
“vigilante”, posto all’ingresso e senza che al sistema di videosorveglianza dei locali fosse
addetto del personale incaricato di seguire quanto mostrato dalle apparecchiature-, non era

l’And rei n i;
-costui versava in gravi condizioni di salute fisica e mentale e costituiva un paziente a rischio a
causa delle varie patologie da cui era affetto e del suo comportamento “oniroide”,
caratterizzato da plurimi tentativi di fuga, da perdita del senso dell’orientamento e della
percezione del luogo ove si fosse trovato, da inconsapevolezza dello stato di malattia e
dall’assoluta incapacità di provvedere a se stesso ed all’assunzione di farmaci e terapie
prescrittegli;
– tale stato, secondo quanto evidenziato nelle due sentenze di primo grado ed in quella ora in
verifica, era attestato dalla cartella clinica che lo aveva accompagnato all’atto del ricovero alla
casa di cura e dal diario infermieristico, stilato durante i sei giorni di permanenza in detta
struttura, ove erano stati annotati le sue manifestazioni di notevole agitazione e
comportamenti indicativi dello smarrimento in reparto il 22 aprile 2007 e della volontà di
abbandonare il luogo il giorno 23 aprile 2007 per avere “continuamente tentato di uscire dalla
struttura, scavalcando anche i balconi delle stanze aperte” in stato di “confusione e
disorientamento”, come riportato nell’imputazione;
– entrambi gli imputati erano a conoscenza di tale situazione, in quanto la Sangiorgi aveva
ricevuto l’Andreini all’atto del ricovero presso la casa di cura quando vi era stato trasferito dal
reparto psichiatrico dell’Ospedale di Rimini, disposto dai sanitari di tale presidio nell’assenza di
consenso dei congiunti, aveva compilato la relativa scheda d’ingresso, era in servizio quale
psichiatra di reparto il giorno della scomparsa dell’anziano ed il Borghesi aveva il compito di
organizzare il lavoro del personale paramedico ed infermieristico quanto ai turni di lavoro ed
alla distribuzione delle mansioni in collegamento col personale medico.
2.3 Replicando alle obiezioni difensive, la Corte territoriale ha rilevato che i due imputati,
seppur dipendenti dell’A.S.L., non erano dei “semplici professionisti del tutto scollegati dalla
struttura de qua”, ma erano a tempo pieno “integrati nell’organigramma di detto nosocomio”,
ove prestavano la loro attività quali figure specialistiche di riferimento: si erano dunque trovati
nella posizione funzionale e nelle condizioni materiali che avevano consentito loro di conoscere
non in astratto ed in via ipotetica, ma con certezza ed in concreto, sia la situazione morbosa ed
esistenziale dell’Andreini, sia le palesi deficienze della struttura che l’aveva in carico. In tale
patrimonio conoscitivo è inclusa quella libertà di entrata ed uscita dei pazienti psichiatrici dalla
struttura, che, -come riportato nella sentenza di primo grado, la cui motivazione si salda con
9

adeguatamente attrezzata per accogliere paziente dalle problematiche complesse qual era

quella della sentenza impugnata per le conformi conclusioni ed i corrispondenti criteri
inferenziali utilizzati tanto da formare un unico complesso argomentativo, da prendere in
esame nel presente giudizio di legittimità-, era stata percepita con allarme anche da profani,
ossia dai parenti di altri degenti, cosa che li aveva indotti a farne segnalazione al personale
medico per i rischi connessi, secondo quanto riferito dal teste Massimo Procopio.
2.4 La sentenza impugnata, da tali presupposti fattuali di sicura acquisizione e già
evidenziati nella pronuncia di annullamento della precedente sentenza di appello, ha tratto

il

consapevolmente omissiva per non avere disposto la prestazione all’Andreini, in modo
continuativo ed a vista, della sorveglianza e della custodia necessarie ad impedire il suo
incontrollato allontanamento dalla casa di cura, avvenuto in pieno giorno, cosa che ne aveva
cagionato la scomparsa in assenza di qualsiasi notizia per cinque anni sino al ritrovamento dei
suoi resti in un fossato a distanza di circa trecento metri dal nosocomio. Il paziente era dunque
stato abbandonato a se stesso nel corso della mattinata del 24 aprile 2007 per un lasso di
tempo non esiguo, al punto da aver potuto uscire dalla casa di cura senza che nessuno se ne
fosse accorto, e da essersi avventurato da solo per le strade vicine ove era stato avvistato da
un automobilista vero le ore 11.00-11.20: secondo i giudici di merito, ciò prova altresì la sua
capacità di deambulazione autonoma, seppur con lentezza ed a fatica per effetto del morbo di
Parkinson da cui era colpito, il che aveva protratto ancor più di tempi di percorrenza di quella
distanza e dell’abbandono, nonché il ritardo col quale era stato dato l’allarme.
3. Le conclusioni rassegnate nella sentenza in esame resistono alle dettagliate censure
mosse col ricorso della Sangiorgio, che replica in verità molte obiezioni il cui fondamento logico
e la cui correttezza giuridica sono stati già disattesi nella sentenza della Corte di Cassazione.
3.1 Non ha pregio la contestazione della posizione formale assunta dalla ricorrente, né la
censurata omessa considerazione delle prove relative al conferimento della direzione del
reparto al dr. Bandieri: la assegnata qualità di responsabile del reparto di psichiatria in assenza
di tale sanitario il giorno della scomparsa della persona offesa non è frutto di alcun
travisamento, quanto della dimostrata presenza in servizio della Sangiorgi secondo la
turnazione del personale medico predisposta e dell’assenza del predetto medico investito delle
funzioni di direzione del reparto. Viene dunque in rilievo, non già la posizione formale assunta
nell’organizzazione dell’istituto o la presenza di una delega a sostituire il responsabile, quanto
la situazione di fatto creatasi il 24 aprile 2007, secondo quanto già stigmatizzato dalla quinta
sezione di questa Corte nella pronuncia di annullamento, situazione che ha attribuito
all’imputata, seppur in via non esclusiva, la posizione di garanzia a tutela della sicurezza e
dell’incolumità del paziente del reparto cui era stata addetta. Del resto già la sentenza di
annullamento, che il ricorso non tiene in alcuna considerazione, ha rimarcato l’irrilevanza nel
caso della distinzione tra funzioni amministrative e funzioni mediche specialistiche.
3.2 Al riguardo va ricordato che nella giurisprudenza di legittimità si è da tempo
affermata la “teoria del garante”, fondata sul significato assegnato agli “obblighi di garanzia”,
10

convincimento che la condotta addebitata agli imputati era stata gravemente e

ossia ai doveri giuridici di impedire l’evento, discendenti dallo speciale vincolo di tutela che lega
il soggetto deputato a proteggere un determinato bene giuridico nei casi in cui il titolare dello
stesso bene sia incapace di preservarlo da sé in via autonoma (Cass. sez. 4, n. 4793 del
06/12/1990, Bonetti, rv. 191792). Si è dunque chiarito che, nell’individuazione dei destinatari
degli obblighi protettivi, vengono in rilievo le funzioni in concreto esercitate dal soggetto
agente (cfr. Cass. Sez. U, n. 9874 del 01/07/1992, Giuliani, rv. 191185) e che compete
all’interprete procedere alla selezione delle diverse posizioni di garanzia e degli obblighi

legislatore, in cui il titolare del bene protetto versi in una situazione di passività. Questa Corte
ha in particolare segnalato che, ai fini dell’operatività della così detta clausola di equivalenza di
cui all’art. 40 cod. pen., comma 2, nell’accertamento degli obblighi impeditivi incombenti sul
soggetto che versa in posizione di garanzia, l’interprete deve tenere presente la fonte dai cui
scaturisce l’obbligo giuridico protettivo, che può essere indifferentemente la legge, il contratto,
la precedente attività svolta, la situazione di fatto e, in tale ambito ricostruttivo, per
individuare lo specifico contenuto dell’obbligo, discendente dalla fonte, occorre avere riguardo
alle finalità protettive fondanti la stessa posizione di garanzia e la natura dei beni dei quali è
titolare il soggetto garantito, scopo della tutela rafforzata (Cass. sez. 4, n. 5404 del
08/01/2015, P.C. in proc. Corso e altri, rv. 262033; sez. 4, n. 48292 del Desana ed altri, rv.
242390)
3.3 Applicando i richiamati principi di diritto al caso di specie, deve rilevarsi che la
valutazione espressa dalla Corte di Assise di Appello, circa la posizione di garanzia assunta
dalla Sangiorgi rispetto al paziente Andreini discende dallo svolgimento dell’attività medica di
psichiatra del reparto, ove era assegnato il paziente, affidato in quel giorno alle sue cure.
Pertanto, a prescindere dalle valutazioni operate da altro sanitario nei giorni antecedenti o da
coloro che avevano avuto la gestione del paziente presso l’ospedale di Rimini, questi ultimi
ovviamente non a conoscenza dei comportamenti tenuti dall’Andreini a far data dal 18 aprile in
poi quando era stato collocato presso la casa di cura “Il Sole”, alla stessa competeva la
valutazione clinica e la responsabilità delle scelte terapeutiche e di trattamento durante il
turno, per cui risulta giuridicamente corretta l’attribuzione della responsabilità per il suo
abbandono per l’omissione consapevole delle misure che avrebbero consentito di contenerne la
libertà di movimento e di allontanamento dal luogo di ricovero.
3.4 Né sotto il profilo dell’elemento psicologico può affermarsi l’imprevedibilità “ex ante”
di tale allontanamento non impedito, dal momento che in punto di fatto la storia clinica, la
diagnosi ed i comportamenti in concreto assunti in modo continuativo nella giornata
antecedente la scomparsa, annotati nel diario infermieristico, avevano offerto indicazioni
univoche a chiunque, ma soprattutto al sanitario preposto quel giorno alla tutela del paziente,
sulla concreta ripetibilità dei suoi tentativi di fuga e valevano a richiedere l’innalzamento del
livello di attenzione perché simili episodi non dovessero più verificarsi.

11

riferibili al soggetto che ne è gravato per tutti i casi concreti, non prevedibili e non tipizzati dal

3.4.1 La sentenza impugnata affronta tutti questi temi e ritiene dovuto ed esigibile un
regime di vigilanza continuo, sebbene l’Andreini non fosse sottoposto a misure coatte, che non
necessariamente avrebbe imposto il suo contenimento fisico, quanto la costante sorveglianza
da parte degli operatori e la chiusura delle uscite in modo da non renderle liberamente
impegnabili al di fuori di una qualche forma di controllo. A nulla rileva che altro medico non
avesse adottato tali misure per i giorni antecedenti, che avrebbero potuto e dovuto essere
imposte il giorno della scomparsa, né che la condotta tenuta sino a quel momento non avesse

smentito dal fatto che già due giorni prima l’Andreiní si era perso per il reparto ed il giorno
prima aveva ripetutamente cercato di uscire dalle finestre; non era dunque necessario per
allertare un medico psichiatra, specializzato nella materia, che egli si fosse trovato accanto alle
uscite quando aveva già manifestato significativi atteggiamenti di fuga.
3.4.2 Quanto al presunto affidamento sulle sue difficoltà motorie e sulle valutazioni dei
medici dell’ospedale di Rimini sull’idoneità della struttura a ricevere quel paziente, ne va
rilevata l’irrilevanza, sia perché, secondo quanto esposto nella sentenza di primo grado, egli
aveva presentato “momenti di psicomotricità alternata” in funzione dell’assunzione o meno
della terapia ed il suo girovagare per l’istituto e il tentativo di scavalcare i balconi, nonché lo
stesso percorso seguito all’esterno per trecento metri, provano che non era in assoluto
impedito nei movimenti, circostanza documentata. Per contro, le considerazioni errate di altri
sanitari, peraltro condotte su una base conoscitiva diversa perché limitata al periodo di
permanenza presso l’ospedale di Rimini, non esentavano la Sangiorgi dalla valutazione del
caso posto che trattasi di specialisti di non maggiore autorevolezza e competenza e che,
ricevuto il paziente in struttura palesemente inadeguata alle sue esigenze, ella avrebbe dovuto
respingerlo, farlo trasferire altrove, oppure farlo sorvegliare in modo continuo. Il tentativo
difensivo di minimizzare la situazione, di dipingere l’imputata quale “capro espiatorio” di un
caso sfortunato, esito di un non prevedibile “black out” totale della casa di cura, prospetta una
ricostruzione alternativa della vicenda, che non riposa su reali basi fattuali per i rilievi sopra
svolti sulle modalità costanti di gestione degli ingressi e delle uscite, privi di selezione e
controllo, e per gli aspetti d’inadeguatezza della struttura “aperta”, di cui ella non aveva
responsabilità diretta, spettante piuttosto alla proprietà ed alla direzione sanitaria, ma di cui
certamente era a conoscenza.
3.5 In senso contrario a quanto ritenuto dai giudici di rinvio non giova sostenere che
l’Andreini era stato collocato presso l’istituto in regime di ricovero volontario nel cui ambito
erano precluse misure di coercizione dei pazienti: invero, l’accusa rivolta alla ricorrente non
vede sull’omessa adozione di strumenti di contenimento della vittima, quanto sul fatto di
averla lasciata sola in balia di se stessa, delle proprie debolezze e malattie, non avendola
sottoposta a forme di sorveglianza, da ritenersi compatibili con l’attuale prestazione dei servizi
sanitari ai malati mentali. Invero, non giova sostenere che a seguito dell’entrata in vigore
della L. n. 180 del 1978, non sussisterebbe, in capo al medico psichiatra, una posizione di
12

presentato anomalie: sul punto il ricorso riporta le dichiarazioni della stessa imputata, ma è

garanzia in funzione di prevenzione del pericolo di atti lesivi compiuti dal paziente psichiatrico;
l’adozione di un sistema di cure su base volontaria e non imposta non esenta il personale
medico ed infermieristico dal dovere giuridico di protezione e sorveglianza della persona loro
affidata, specie se questa non può prestare alcuna valida collaborazione e non può badare a se
stessa e se, come nel caso di specie, il suo ricovero non sia stato richiesto dalla stessa, né dai
congiunti, ma disposto in via unilaterale dalla struttura sanitaria pubblica. In tal senso si è già
espressa questa Suprema Corte in casi similari con orientamento che si condivide appieno

rischio suicidiario non costantemente sorvegliato).
Si è in particolare segnalato (Cass. sez. 5, n. 4407 del 22/01/1998, Belpedio ed altro, rv.
211045) come l’abbandono per legge del modello di cura manicomiale con l’uso sistematico
della coercizione e dell’isolamento interno ed esterno del paziente, non comporta il venir meno
degli obblighi di cura e tutela del malato mentale, ma la custodia in strutture aperte richiede
modalità diverse ed alternative, meno economiche, ma funzionali a contemperare il rispetto
della libertà e dignità individuale e la protezione della persona da agiti auto ed etero lesivi,
della cui verificazione in conseguenza dello stato di abbandono, rilevante per la configurabilità
del delitto di cui all’art. 591 cod. pen., deve rispondere il custode ed il personale medico e
paramedico del reparto, “dove la protezione dell’ammalato doveva essere primieramente
assicurata con la materiale vigilanza e con le innovative terapie farmacologiche-progressive nel
dosaggio per arginare fasi accessuali della patologia”.
3.5 In punto di diritto è rigoroso l’orientamento interpretativo, espresso da questa Corte
e richiamato anche dai giudici di merito, secondo il quale la fattispecie penale di cui all’art. 591
cod.pen tutela, non già il rispetto dell’obbligo legale di assistenza in sè considerato, quanto il
valore etico-sociale della sicurezza della persona fisica contro determinate situazioni di pericolo
che non deve necessariamente essersi realizzato e la condotta di “abbandono” resta integrata
da qualunque azione od omissione, contrastante con il dovere giuridico di cura o di custodia,
che grava sul soggetto agente e da cui derivi uno stato di pericolo, anche meramente
potenziale, per la vita o per l’incolumità del soggetto passivo (sez. 5, n. 10126 del 21/9/1995,
Granzotto, rv. 203004; sez. 5, n. 15245 del 23/2/2005, Nalesso, rv. 232158; sez. 1, n. 5945
del 15/1/2009, Foti, rv. 243372). Il dolo richiesto dalla norma incriminatrice è generico e
consiste nella coscienza di abbandonare a sè stesso il soggetto passivo, che non abbia la
capacità di provvedere alle proprie esigenze, in una situazione di pericolo per la sua integrità di
cui si abbia l’esatta percezione (sez. 5, n. 12334 del 12/6/1990, De Rosa, rv. 185295, e n.
15147 del 14/3/2007, Simone, rv. 236157; sez. 5, n. 19476 del 25/02/2010, Verdano e altro,
rv. 247305; sez. 2, n. 10994 del 06/12/2012,

T. e altro, rv. 255172). Siffatti elementi

costitutivi della fattispecie sono stati tutti ampiamente riscontrati ed analizzati nella sentenza,
che risulta conforme ai principi appena evocati, sicchè in punto di affermazione della
responsabilità della ricorrente il ricorso va certamente respinto.

13

(Cass., sez. 4, nr. 48292 del 2008, Desana ed altri, rv. 242390 in un caso di paziente a

4. A diverse conclusioni deve pervenirsi quanto al giudizio di responsabilità a carico
dell’altro ricorrente, Massimo Borghesi. Invero, a suo carico la sentenza impugnata ha
valorizzato la posizione funzionale e le mansioni di sanitario, coordinatore del personale
infermieristico e preposto all’organizzazione dei turni di servizio del personale stesso e quindi
gli assegna la posizione di garanzia a tutela della salute e della incolumità del paziente
scomparso. In realtà, per quanto documentato nel processo e richiamato anche in ricorso, pur
essendo stato egli presente presso la casa di cura il giorno dell’allontanamento dell’Andreini,

dei pazienti e sulle modalità di prestazione delle cure e dell’assistenza nei loro confronti,
dovendo piuttosto occuparsi di impartire coordinate assistenziali e di monitorare la prestazione
dei servizi senza avere assunto una responsabilità diretta sulle condizioni dei singoli pazienti.
In altri termini, anche secondo quanto affermato dalla teste Ermeti, che ha assegnato la
responsabilità del reparto alla coimputata Sangiorgi nell’assenza del direttore Bandieri, non si è
acquisita prova della possibilità per il Borghesi, in base alle mansioni affidategli ed in concreto
svolte, di impartire disposizioni vincolanti sulle modalità di sorveglianza dell’Andreini, né sulle
cure cui lo stesso doveva essere sottoposto. Sul punto la sentenza non ha dunque fatto buon
governo dei poteri di valutazione della prova, non rispetta le norme sull’imputazione soggettiva
della condotta ed è sorretta da motivazione palesemente illogica; va dunque annullata senza
rinvio nei confronti dell’imputato Massimo Borghesi per non avere questi commesso il fatto.
5. Il secondo motivo di ricorso, proposto dalla Sangiorgi è fondato. In ordine al tema del
nesso causale tra l’abbandono della persona offesa e l’evento morte la sentenza in verifica ha
realmente travisato la portata rescindente della pronuncia della Corte di Cassazione, che aveva
demandato ai giudici di rinvio di condurre uno specifico accertamento sul punto, con ciò
ritenendo affatto pacifica la riconducibilità del decesso dell’Andreini, riscontrato cinque anni
dopo la scomparsa, a processo già in corso, al suo abbandono nell’ambito della casa di cura cui
era alloggiato.
Per quanto fondatamente illustrato nei ricorsi degli imputati, in realtà non è stata affatto
acquisita alcuna dimostrazione del nesso eziologico, dal momento che anche l’indagine medicolegale sui suoi resti non è stata in grado di individuare l’esatta causa del decesso; è
certamente rispondente al vero che l’anziano, in assenza di cure e di assistenza continua, delle
terapie prescrittegli, del cibo somministratogli non avrebbe potuto sopravvivere a lungo, né
sarebbe riuscito a procurarsi da sé quanto necessario al sostentamento, ma nessun concreto
elemento conoscitivo consente di escludere che la sua morte sia stata cagionata da causa
naturale improvvisa ed irrimediabile anche in ambiente ospedaliero, quale un infarto o un
aneurisma, ovvero dal fatto colposo di terzi consistito nel suo investimento ad opera di un
veicolo, ossia da un fattore determinante del tutto avulso dalla condotta dei sanitari della casa
di cura. Per tali considerazioni la sentenza impugnata va annullata senza rinvio sul punto della
ritenuta sussistenza della circostanza aggravante di cui al terzo comma dell’art. 591 cod. pen.,
che deve escludersi.
14

non risulta dimostrato che fosse dotato di autonomi poteri decisionali sui percorsi trattamentali

Tale statuizione comporta quale necessaria conseguenza che al momento attuale è
interamente decorso il termine massimo di prescrizione, pari ad anni sette e mezzo, del delitto
ascritto alla Sangiorgi, per cui anche sul punto della sua responsabilità penale e della relativa
condanna la sentenza va annullata senza rinvio, ferme comunque restando le conseguenze sul
piano della responsabilità civile, già affermata con la sentenza impugnata. Restano in tal modo
assorbite e non devono essere prese in esame le doglianze espresse col terzo motivo,
riguardanti il trattamento sanzionatorio.

di Assise di Appello ha ritenuto di dover accogliere le richieste risarcitorie di Walter Stefano
Andreini col riconoscimento definitivo in suo favore della somma di euro 40.000,00, liquidata a
k CUQ1 `->41r\
5.1 In primo luogo l’accoglimento parziale della domanda con l’esclusione di alcune

titolo di solo danno mora le:16).6 e,,g+ra;

’63‘.4A-;

categorie di danno, patrimoniale, biologico ed esistenziale, avrebbe richiesto una qualche
giustificazione che esplicitasse le ragione di siffatta limitazione a fronte della deduzione e
dimostrazione da parte del proponente di dettagliati e svariati pregiudizi, contenuta nel relativo
atto di appello.
5.2 Parimenti carente e censurabile emerge la motivazione in punto di liquidazione del
solo danno morale nella misura riconosciuta, rimasta priva dell’indicazione dei criteri adottati e
del riferimento ad un parametro oggettivo, quale, ad esempio quello suggerito dalla stessa
parte civile nelle tabelle per la liquidazione del danno civile, adottate dal Tribunale di Milano. La
scelta dei giudici di rinvio si pone quindi in termini del tutto inesplicati ed arbitrari, quale esito
di un procedimento non illustrato nel suo sviluppo logico-giuridico e quindi non verificabile a
posteriori, che comunque mortifica in assenza di valida spiegazione le pretese della parte
civile, ancorate a specifiche circostanze di fatto, oggetto di sicura acquisizione, quali la tardiva
scoperta del decesso, l’incertezza sulle sorti dell’anziano, il dolore per la perdita in tali
frangenti del padre.
5.3 Le medesime gravi carenze presenta, infine, anche la liquidazione delle spese di
costituzione della parte civile, effettivamente condotta con unitaria determinazione per tutti e
tre i gradi di giudizio in assenza di qualsiasi indicazione dei criteri impiegati a fronte di tre note
dettagliate, richiedenti anche l’aumento previsto dall’art. 12, comma 4, del D.Igs. nr. 40/2012.
Al riguardo la sentenza si è limitata a rinviare al dispositivo senza esporre alcuna indicazione
sul procedimento di computo, il che preclude anche la conducibilità di qualsiasi verifica per
riscontrare il rispetto dei limiti minimi tariffari.
La questione è stata già risolta da questa Corte (sez 1, nr. 21868 del 7/05/2008, Grillo, rv.
240421; sez. 4, n. 10920 del 29/11/2006, Velia, rv. 236186; sez. 5, n. 10143 del 25/01/2005,
Polacco, rv. 230918 e quindi dalle S.U. nr. 40288 del 14/07/2011, Tizzi ed altri, rv. 250680)
con l’affermazione, resa con riferimento alla sentenza di applicazione pena a richiesta delle
parti, ma contenente un principio di diritto di valenza più generale, per cui, pur nell’ambito di
una valutazione discrezionale, sul giudice grava il dovere di fornire adeguata giustificazione
15

5. Merita accoglimentoianche il ricorso proposto dalla parte civile. Effettivamente la Corte

della determinazione delle spese liquidate e della relativa congruità in funzione del numero e
dell’importanza delle questioni trattate, della tipologia ed entità delle prestazioni difensive,
tenuto conto dei limiti minimi e massimi fissati dalla tariffa forense; solo se tale obbligo sia
assolto è consentito alle parti verificare la pertinenza delle singole voci di spesa all’attività
svolta ed il rispetto dei limiti tariffari, mentre una liquidazione indistinta ed onnicomprensiva
non consente di condurre alcun controllo sulla legalità e congruità degli importi riconosciuti.
Tali conclusioni non sono superate per effetto dell’intervento del D.M. nr. 55 del 2014,

prestazione di attività forense, il quale all’art. 12 tuttora detta specifici criteri orientativi e
rinvia ai valori medi delle tariffe ad esso allegate, nonché impone che la liquidazione sia
effettuata in riferimento a ciascuna fase, specificamente descritta con indicazione delle attività
svolte, del giudizio.
Sussiste, dunque, alla stregua dei superiori rilievi il denunciato vizio di motivazione, il che
impone il parziale annullamento della sentenza sul punto, riguardante soltanto l’azione civile,
con il conseguente rinvio, in ossequio a quanto disposto dalla norma di cui all’art. 622 cod.
proc. pen., al giudice civile competente per valore in grado d’appello.

P. Q. M.

annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di Borghesi Massimo per non
avere l’imputato commesso il fatto.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di Sangiorgi Barbara perché,
esclusa l’ipotesi aggravata di cui al comma 3 dell’art. 591 c.p., il reato è estinto per
prescrizione, ferma restando la responsabilità della medesima imputata agli effetti civili in
ordine al reato di cui al comma 1 dell’art. 591 c.p..
Annulla la sentenza impugnata in ordine alla determinazione del danno e delle spese in
favore della parte civile Andreini Walter Stefano e rinvia per nuovo giudizio su detti punti al
giudice civile competente per valore in grado d’appello.
Così deciso in Roma, il 30 aprile 2015.

recante il regolamento per la determinazione dei parametri di liquidazione dei compensi per la

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