Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 35811 del 29/05/2013


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 35811 Anno 2013
Presidente: FIANDANESE FRANCO
Relatore: IASILLO ADRIANO

SENTENZA

Sul ricorso proposto dall’Avvocato Enrico Gentile, quale difensore di
Ferrazzo Felice (n. il 20/08/1968), avverso l’ordinanza del Tribunale di
Campobasso, in data 08/01/2013.
Sentita la relazione della causa fatta dal Consigliere Adriano lasillo.
Udita la requisitoria del Sostituto Procuratore Generale, dottor Antonio
Gialanella, il quale ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.

Data Udienza: 29/05/2013

Udito l’Avvocato Pier Francesco Bruno — in sostituzione dell’Avvocato Enrico
Gentile, difensore di Ferrazzo Felice – il quale ha concluso chiedendo
l’accoglimento del ricorso.

Osserva:

Tribunale di Campobasso dispose la misura cautelare dell’obbligo di dimora
in Santa Maria del Molise con divieto di allontanarsi dalla propria abitazione
dalle ore 20.00 alle ore 07.00 di ogni giorno nei confronti di Ferrazzo Felice,
indagato per i reati di lesioni volontarie, (capo A), tentata violenza privata
(capo B), estorsione (capo C) e danneggiamento (capo D).
Avverso tale provvedimento il ricorrente propose richiesta di riesame
ma il Tribunale di Campobasso, con ordinanza dell’08/01/2013, respinse la
richiesta di riesame e confermò l’impugnata ordinanza.
Ricorre per cassazione il difensore dell’indagato deducendo: 1) che la
pena prevista per il tentativo di violenza privata non consente l’applicazione
della misura disposta; 2) l’insussistenza del reato di estorsione; la mancanza
dei gravi indizi di colpevolezza che si fondano solo sulle dichiarazioni della
P.O., dichiarazioni non riscontrate da quanto accertato dalla P.G. (con
esclusione dei reati di lesioni e danneggiamento che invece sono stati
riscontrati dalla P.G.); mancanza di motivazione in ordine alla sussistenza
delle esigenze cautelari e all’adeguatezza della misura cautelare.
Il difensore dell’indagato conclude, pertanto, per l’annullamento
dell’impugnata ordinanza.

Motivi della decisione

Il primo motivo di ricorso è infondato. Infatti, anche se per il reato di
tentata violenza privata la misura cautelare applicata non è consentita si
deve rilevare che questa Suprema Corte ha fissato il principio — in epoca non
recente, ma pienamente condiviso dal Collegio — secondo il quale nell’ipotesi
in cui l’ordinanza applicativa della custodia cautelare sia riferibile a delitti per i
quali è consentita l’adozione della misura coercitiva e reati per i quali tale

Con ordinanza del 17/12/2012, il Giudice per le indagini preliminari del

misura non è consentita, non è configurabile alcuna nullità, poiché il
provvedimento nella sua interezza deriva la propria legittimità dall’esistenza
di delitti che permettono l’adozione della misura (si veda Sez. 5, Sentenza n.
4060 del 23/09/1994 Cc. – dep. 22/10/1994 – Rv. 199870).
Il resto del ricorso è inammissibile per violazione dell’ad. 606, comma 1,
cod. proc. pen., perché propone censure attinenti al merito della decisione
impugnata, congruamente giustificata.

Infatti, nel momento del controllo di legittimità, la Corte di cassazione
non deve stabilire se la decisione di merito proponga effettivamente la
migliore possibile ricostruzione dei fatti né deve condividerne la
giustificazione, ma deve limitarsi a verificare se questa giustificazione sia —
come nel caso di specie – compatibile con il senso comune e con “i limiti di
una plausibile opinabilità di apprezzamento”, secondo una formula
giurisprudenziale ricorrente (Cass. Sez. 4 sent. n. 47891 del 28.09.2004
dep. 10.12.2004 rv 230568; Cass. Sez. 5 sent. n. 1004 del 30.11.1999 dep.
31.1.2000 rv 215745; Cass., Sez. 2 sent. n. 2436 del 21.12.1993 dep.
25.2.1994, rv 196955).
Inoltre il resto del ricorso è inammissibile anche per violazione dell’ad.
591 lettera c) in relazione all’ad. 581 lettera c) cod. proc. pen., perché le
doglianze sono prive del necessario contenuto di critica specifica al
provvedimento impugnato, le cui valutazioni, ancorate a precisi dati fattuali
trascurati nell’atto di impugnazione, si palesano peraltro immuni da vizi logici
o giuridici. Infatti il Tribunale ha con esaustiva, logica e non contraddittoria
motivazione, evidenziato tutte le ragioni dalle quali desume i gravi indizi di
colpevolezza a carico dell’indagato per i reati di cui sopra (le dichiarazioni
della P.O.). Il Giudice di merito ha, poi, ben motivato sulla credibilità della
Persona Offesa. Si deve sottolineare che sul punto questa Suprema Corte ha
più volte affermato il principio secondo il quale la testimonianza della persona
offesa, ove ritenuta intrinsecamente attendibile, costituisce una vera e
propria fonte di prova, purchè la relativa valutazione sia sorretta da
un’adeguata motivazione, che dia conto dei criteri adottati e dei risultati
acquisiti (Sez. 3, Sentenza n. 22848 del 27/03/2003 Ud. – dep. 23/05/2003 Rv. 225232; Sez. 6, Sentenza n. 27322 del 14/04/2008 Ud. – dep.
04/07/2008 – Rv. 240524). Persona offesa che è teste e non chiamante in
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correità; pertanto non sono certo necessari, per le sue dichiarazioni, i
riscontri esterni — che nel caso di specie comunque ci sono e vengono
correttamente indicati – richiesti dall’articolo 192, III comma, c.p.p.; quindi è
necessario solo accertare — come è avvenuto nell’impugnato provvedimento
– la credibilità della persona offesa (Si veda, fra le tante, Sez. 4, Sentenza n.
30422 del 21/06/2005 Ud. – dep. 10/08/2005 – Rv. 232018). Infine, si deve

offesa dal reato rappresenta una questione di fatto che ha una propria chiave
di lettura nel compendio motivazionale fornito dal giudice e che non può
essere rivalutata in sede di legittimità, a meno che il Giudice non sia incorso
in manifeste contraddizioni (Sez. 3, Sentenza n. 8382 del 22/01/2008 Ud. dep. 25/02/2008 – Rv. 239342). Incensurabile è, poi, la ritenuta sussistenza
del reato di estorsione consumata. In proposito questa Corte ha più volte
ribadito che è configurabile il delitto di estorsione e non quello di violenza
privata, nel caso in cui l’agente, al fine di procurare a sé o ad altri un ingiusto
profitto, faccia uso della violenza o della minaccia per costringere il soggetto
passivo a fare od omettere qualcosa che gli procuri un danno economico
(fattispecie nella quale l’imputato aveva costretto, mediante violenza e
minaccia, la P.O. a fornirgli cibo e bevande senza pagare il corrispettivo, così
procurandosi un ingiusto profitto con danno della P.O. stessa; Sez. 2,
Sentenza n. 5668 del 15/01/2013 Ud. – dep. 05/02/2013 – Rv. 255242).
Il Tribunale espone, infine, in modo chiaro ed esaustivo — dopo aver
richiamato e fatte proprie le motivazioni del G.I.P. – perché ritenga
sussistente l’esigenza cautelare del pericolo di reiterazione del reato di cui
all’articolo 274, lettera C, del c.p.p.: gravità e modalità del fatto — l’imputato la
stessa sera nella quale ha commesso i fatti per i quali si procede ha reiterato
condotte simili nei confronti di altri soggetti — plurimi e specifici precedenti
penali; elementi dai quali, correttamente, ricava la pericolosità sociale del
Ferrazzo. Sulla correttezza di tali considerazioni del Tribunale è sufficiente
richiamare il principio giuridico, più volte ribadito da questa Corte e condiviso
dal Collegio, che in tema di esigenze cautelari, il pericolo di reiterazione del
reato può essere desunto dai criteri stabiliti dall’art. 133 cod. pen., tra i quali
sono ricompresi le modalità e la gravità del fatto, sicché non deve essere
considerato il tipo di reato o una sua ipotetica gravità, bensì devono essere

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rilevare che in tema di prove, la valutazione della credibilità della persona

valutate — come congruamente è stato operato nel caso di specie – situazioni
correlate con i fatti del procedimento ed inerenti ad elementi sintomatici della
pericolosità dell’indagato. (Sez. 4, Sentenza n. 34271 del 03/07/2007 Cc. dep. 10/09/2007 – Rv. 237240). Inoltre, in tema di misure cautelari, nella
verifica sulla sussistenza delle esigenze cautelari legate al pericolo che
l’indagato o l’imputato commetta alcuni gravi delitti o comunque delitti della

dei precedenti giudiziari, che, rilevano, oltre che nel giudizio sulla capacità a
delinquere, in ogni altro caso in cui occorra procedere ad una valutazione
della personalità dell’indagato o dell’imputato. (Sez. 6, Sentenza n. 29405 del
11/07/2006 Cc. – dep. 24/08/2006 – Rv. 234974).
Incensurabile è anche la motivazione relativa all’adeguatezza della
misura disposta. E’ utile ricordare, in proposito, che in tema di scelta e
adeguatezza delle misure cautelari non è necessaria un’analitica
dimostrazione delle ragioni che rendono inadeguata ogni altra misura, ma è
sufficiente che il Giudice indichi, con argomenti logico-giuridici tratti dalla
natura e dalle modalità di commissione dei reati nonché dalla personalità
dell’indagato, gli elementi specifici (come sopra indicati) che inducono
ragionevolmente a ritenere la misura applicata come la misura più adeguata
al fine di impedire la prosecuzione dell’attività criminosa, rimanendo in tal
modo assorbita l’ulteriore dimostrazione dell’inidoneità delle altre misure
coercitive (Sez. 6, Sentenza n. 17313 del 20/04/2011 Cc. – dep. 05/05/2011 Rv. 250060; il Tribunale specifica che il divieto di uscire dalla propria
abitazione nelle ore notturne eviterà la reiterazione di condotte come quella
posta in essere e per cui si procede). Manifestamente infondata è, poi, la
doglianza relativa alla ritenuta integrazione motivazionale operata dal
Tribunale sul pericolo di reiterazione del reato. Infatti, secondo il difensore
del ricorrente il G.I.P., nel suo provvedimento, avrebbe fatto riferimento ad un
generico pericolo di commissione di reati, senza specificare dello stesso tipo.
Mancanza alla quale avrebbe posto rimedio il Tribunale specificando che il
divieto di uscire dalla propria abitazione nelle ore notturne eviterà la
reiterazione di condotte come quella posta in essere e per cui si procede; ma
osserva il difensore dell’indagato ciò non sarebbe consentito al Tribunale. A
prescindere dal rilevare che il richiamo dell’art. 274 lettera C del c.p.p. e

stessa specie di quello per cui si procede, il giudice deve tenere conto anche

quanto scritto dal G.I.P. rilevano, chiaramente, che il Giudice si riferisce al
pericolo di commissione degli stessi reati per i quali si procede (tra i quali
l’estorsione), si deve poi osservare che il Tribunale ha il potere di integrare la
motivazione del G.I.P.. In proposito questa Corte Suprema — per casi di
mancanza di motivazione ben più grave di quella che si presume essere nel
caso di specie — ha affermato che il Tribunale del riesame non può annullare
il provvedimento cautelare impugnato ravvisando difetto di motivazione,

potendo il solo Giudice di legittimità pronunciare il relativo annullamento per
tale vizio, ma deve provvedere integrativamente ad un’autonoma valutazione
del quadro indiziario già conosciuto dal giudice delle indagini preliminari
(fattispecie relativa ad ordinanza del Tribunale del riesame che aveva
annullato l’ordinanza applicativa di custodia cautelare emessa dal Gip
asserendo che questa fosse priva di autonoma valutazione rispetto alla
richiesta del P.M.; Sez. 2, Sentenza n. 7967 del 30/11/2011 Cc. – dep.
29/02/2012 – Rv. 252222; Sez. 2, Sentenza n. 30696 del 20/04/2012 Cc. dep. 26/07/2012 – Rv. 253326). Si deve, infine, rilevare — come già detto che il Tribunale ha posto in evidenza — ai fine di quanto sopra – proprio la
reiterazione di condotte similari a quelle per le quali si procede allorchè
richiama l’aggressione perpetrata ai danni di Mario Sciacca.
A fronte di tutto quanto sopra esposto, come si è già detto, il ricorrente
contrappone, quindi, solo generiche contestazioni in fatto. In proposito
questa Corte ha più volte affermato il principio, condiviso dal Collegio, che è
inammissibile il motivo di ricorso per cassazione quando manchi l’indicazione
della correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e
quelle dell’atto di impugnazione, che non può ignorare le affermazioni del
provvedimento censurato, senza cadere nel vizio di aspecificità, che
conduce, ex art. 591, comma primo, lett. c), cod. proc. pen. all’inammissibilità
(Si veda fra le tante: Sez. 1, sent. n. 39598 del 30.9.2004 – dep. 11.10.2004 rv 230634).
Il ricorso va, pertanto, rigettato.
Ai sensi dell’articolo 616 cod. proc. pen., con il provvedimento che
rigetta il ricorso, la parte privata che lo ha proposto deve essere condannata
al pagamento delle spese del procedimento.

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P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese

Così deliberato in camera di consiglio, il 29/05/2013.

Il Consigliere estensore
Dottor Adriano lasillo

Il Presidente
or Fran;Fian anese

processuali.

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