Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 35805 del 18/06/2013


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 35805 Anno 2013
Presidente: FIANDANESE FRANCO
Relatore: IASILLO ADRIANO

SENTENZA
Sul ricorso proposto dall’Avvocato Alberico Villani, quale difensore di
Romano Giancarlo (n. il 29/01/1969), avverso la sentenza della Corte di
Appello di Napoli, IV Sezione penale, in data 07/12/2012.
Sentita la relazione della causa fatta, in pubblica udienza, dal Consigliere
Adriano lasillo.
Udita la requisitoria del Sostituto Procuratore Generale, dottor Francesco
Salzano, il quale ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.
Udito l’Avvocato Guagliani — sostituto processuale dell’ Avvocato Alberico
Villani difensore dell’imputato – che ha concluso riportandosi ai motivi di
ricorso.

Data Udienza: 18/06/2013

OSSERVA:

Con sentenza del 05/03/2008, il Tribunale di Avellino dichiarò Romano
Giancarlo responsabile del reato continuato di illecita detenzione e cessione
di sostanza stupefacente in concorso (Capo A: artt. 110, 81 c.p. e 73, I e IV
comma, D.P.R. 309/90) e di tentata estorsione aggravata (Capo C: artt. 110,
56, 629 e 61 n. 2 del c.p.) con la recidiva reiterata specifica e

infraquinquennale e lo condannò alla pena di anni 4 di reclusione ed €
25.000,00 di multa per il capo A e alla pena di anni 3 di reclusione ed €
400,00 di multa per il capo B.
Avverso tale pronunzia l’imputato propose gravame. La Corte di appello
di Napoli, con sentenza del 07/12/2012, in riforma dell’impugnata sentenza,
dichiarò il non doversi procedere nei confronti del Romano in ordine al reato
di cui al capo A per essere lo stesso estinto per prescrizione; confermò nel
resto la decisione di primo grado.
Ricorre per cassazione il difensore dell’imputato deducendo il difetto
logico della motivazione con la quale è stata confermata la condanna per il
capo C della rubrica. Evidenzia, in particolare, che i giudici di merito hanno
attribuito la piena attendibilità della P.O. senza tener conto del suo stato di
tossicodipendente. Inoltre, ritiene erronea la conferma della qualificazione
giuridica del reato di tentata estorsione, perché al più doveva qualificarsi
come tentativo di violenza privata. Rileva difetto di motivazione in ordine al
diniego delle attenuanti generiche. Eccepisce, infine, che il reato si è
prescritto perché seppur contestata la recidiva i giudici di merito non ne
hanno tenuto conto; quindi tale aggravante non ha alcuna incidenza ai fini
della prescrizione.
Il ricorrente conclude, pertanto, per l’annullamento dell’impugnata
sentenza.

motivi della decisione

Il ricorso è inammissibile per violazione dell’art. 606, comma 1, cod.
proc. pen., perché propone censure attinenti al merito della decisione
impugnata, congruamente giustificata.
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Infatti, nel momento del controllo di legittimità, la Corte di cassazione
non deve stabilire se la decisione di merito proponga effettivamente la
migliore possibile ricostruzione dei fatti né deve condividerne la
giustificazione, ma deve limitarsi a verificare se questa giustificazione sia
compatibile con il senso comune e con “i limiti di una plausibile opinabilità di
apprezzamento”, secondo una formula giurisprudenziale ricorrente (Cass.
Sez. 4″ sent. n. 47891 del 28.09.2004 dep. 10.12.2004 rv 230568; Cass.

Sez. 5″ sent. n. 1004 del 30.11.1999 dep. 31.1.2000 rv 215745; Cass., Sez.
2″ sent. n. 2436 del 21.12.1993 dep. 25.2.1994, rv 196955).
Inoltre il ricorso è inammissibile anche per violazione dell’art. 591 lettera
c) in relazione all’art. 581 lettera c) cod. proc. pen., perché le doglianze (sono
le stesse affrontate dalla Corte di appello) sono prive del necessario
contenuto di critica specifica al provvedimento impugnato, le cui valutazioni,
ancorate a precisi dati fattuali trascurati nell’atto di impugnazione, si
palesano peraltro immuni da vizi logici o giuridici. Infatti il Giudice di merito
ha con esaustiva, logica e non contraddittoria motivazione, evidenziato tutte
le ragioni per le quali ritiene la responsabilità del ricorrente per il reato di cui
sopra (le dichiarazioni della P.O.). La Corte di appello ha, poi, ben motivato
sulla credibilità della Persona Offesa, conducendo un’attenta e accurata
indagine sulla sua credibilità soggettiva ed oggettiva dopo aver rilevato
l’assoluta genericità del motivo di appello sul punto (genericità che,
d’altronde, si riscontra anche nel ricorso). Si deve sottolineare che, in
proposito, questa Suprema Corte ha più volte affermato il principio —
condiviso dal Collegio — secondo il quale la testimonianza della persona
offesa, ove ritenuta intrinsecamente attendibile, costituisce una vera e
propria fonte di prova, purché la relativa valutazione sia sorretta da
un’adeguata motivazione, che dia conto dei criteri adottati e dei risultati
acquisiti (Sez. 3, Sentenza n. 22848 del 27/03/2003 Ud. – dep. 23/05/2003 Rv. 225232; Sez. 6, Sentenza n. 27322 del 14/04/2008 Ud. – dep.
04/07/2008 – Rv. 240524). Persona offesa che è teste e non chiamante in
correità; pertanto non sono certo necessari, per le sue dichiarazioni, i
riscontri esterni richiesti dall’articolo 192, III comma, c.p.p.; quindi è
necessario solo accertare — come è avvenuto nell’impugnata sentenza – la
credibilità della persona offesa (Si veda, fra le tante, Sez. 4, Sentenza n.
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30422 del 21/06/2005 Ud. – dep. 10/08/2005 – Rv. 232018). Infine, si deve
rilevare che in tema di prove, la valutazione della credibilità della persona
offesa dal reato rappresenta una questione di fatto che ha una propria chiave
di lettura nel compendio motivazionale fornito dal giudice e che non può
essere rivalutata in sede di legittimità, a meno che il giudice non sia incorso
in manifeste contraddizioni (Sez. 3, Sentenza n. 8382 del 22/01/2008 Ud. –

perché è corretta la qualificazione giuridica del fatto e non si possa
accogliere la generica richiesta di qualificarlo come tentata violenza privata.
In proposito questa Suprema Corte ha più volte evidenziato che integrano il
delitto di estorsione le violenze o minacce esercitate per ottenere il
pagamento di una fornitura di sostanze stupefacenti già eseguita (Sez. 2,
Sentenza n. 40051 del 14/10/2011 Ud. – dep. 07/11/2011 – Rv. 251547).
Inoltre, che per la sussistenza del delitto di estorsione, il profitto deve
considerarsi ingiusto quando la pretesa perseguita non sia tutelata in modo
diretto o indiretto dall’ordinamento, concentrandosi in un vantaggio che non
possa ritenersi giuridicamente dovuto all’agente (nel nostro caso addirittura
illecito); mentre il danno deve consistere in una diminuzione patrimoniale
subita dall’offeso (Sez. 5, Sentenza n. 1733 del 21/10/1987 Ud. – dep.
11/02/1988 – Rv. 177559; Sez. 5, Sentenza n. 32011 del 19/04/2006 Ud. dep. 28/09/2006 – Rv. 235195; Sez. 2, Sentenza n. 16658 del 31/03/2008
Ud. – dep. 22/04/2008 – Rv. 239780).
Manifestamente infondata è anche la generica doglianza relativa al
diniego delle attenuanti generiche. Invero entrambi i Giudici di merito hanno
ritenuto congrua la pena irrogata, tenendo conto della gravità del fatto. Si
deve, allora, ricordare quale è la funzione delle attenuanti generiche. In
proposito questa Corte di Cassazione ha stabilito il principio — condiviso dal
Collegio — che in tema di attenuanti generiche, posto che la ragion d’essere
della relativa previsione normativa è quella di consentire al giudice un
adeguamento, in senso più favorevole all’imputato, della sanzione prevista
dalla legge, in considerazione di peculiari e non codificabili connotazioni
tanto del fatto quanto del soggetto che di esso si è reso responsabile, ne
deriva che la meritevolezza di detto adeguamento non può mai essere data
per scontata o per presunta, sì da dar luogo all’obbligo, per il giudice, ove

dep. 25/02/2008 – Rv. 239342). La Corte di appello ben evidenzia anche

questi ritenga invece di escluderla, di giustificarne sotto ogni possibile profilo,
l’affermata insussistenza. Al contrario, è la suindicata meritevolezza che
necessita essa stessa, quando se ne affermi l’esistenza, di apposita
motivazione dalla quale emergano, in positivo, gli elementi che sono stati
ritenuti atti a giustificare la mitigazione del trattamento sanzionatorio;
trattamento la cui esclusione risulta, per converso, adeguatamente motivata

volta all’ottenimento delle attenuanti in questione, indichi delle plausibili
ragioni a sostegno del rigetto di detta richiesta, senza che ciò comporti
tuttavia la stretta necessità della contestazione o della invalidazione degli
elementi sui quali la richiesta stessa si fonda (Sez. 1, Sentenza n. 11361 del
19/10/1992 Ud. – dep. 25/11/1992 – Rv. 192381; Sez. 2, Sentenza n. 2769
del 02/12/2008 Ud. – dep. 21/01/2009 – Rv. 242709). Inoltre, l’obbligo di
motivazione in materia di circostanze attenuanti generiche qualifica la
decisione circa la sussistenza delle condizioni per concederle e non anche la
decisione opposta (Sez. 2, Sentenza n. 38383 del 10/07/2009 Ud. – dep.
01/10/2009 – Rv. 245241). Infine, le circostanze attenuanti generiche hanno
lo scopo di estendere le possibilità di adeguamento della pena in senso
favorevole all’imputato in considerazione di situazioni e circostanze che
effettivamente incidano sull’apprezzamento dell’entità del reato e della
capacità a delinquere dello stesso, sicché il riconoscimento di esse richiede
la dimostrazione di elementi di segno positivo (Sez. 3, Sentenza n. 19639 del
27/01/2012 Ud. – dep. 24/05/2012 – Rv. 252900).
Tanto premesso si deve rilevare che la Corte territoriale valuta,
comunque, correttamente i vari elementi fissati dall’articolo 133 del c.p. per la
concessione delle attenuanti generiche. Questa suprema Corte ha più volte
affermato che ai fini dell’applicabilità delle circostanze attenuanti generiche di
cui all’art. 62 bis cod. pen., il Giudice deve riferirsi ai parametri di cui all’art.
133 del codice penale, ma non è necessario, a tale fine, che li esamini tutti,
essendo sufficiente che specifichi a quale di esso ha inteso fare riferimento
(nel caso di specie — per quanto sopra osservato – l’assenza di elementi utili
ai fini del riconoscimento di tali attenuanti e la recidiva specifica, reiterata e
infraquinquennale; si veda sul punto ad esempio: Sez. 2, Sentenza n. 12394
del 10/08/2000 Ud. – dep. 30/11/2000 – Rv. 217918; Sez. 2, Sentenza n.

alla sola condizione che il giudice, a fronte di specifica richiesta dell’imputato

2285 del 11/10/2004 Ud. – dep. 25/01/2005 – Rv. 230691; Sez. 6, Sentenza
n. 34364 del 16/06/2010 Ud. – dep. 23/09/2010 – Rv. 248244). Inoltre,
sempre secondo i principi di questa Corte — condivisi dal Collegio – ai fini
dell’assolvimento dell’obbligo della motivazione in ordine al diniego della
concessione delle attenuanti generiche, il giudice non è tenuto a prendere in
considerazione tutti gli elementi prospettati dall’imputato essendo sufficiente

legge con l’indicazione delle ragioni ostative alla concessione delle
circostanze, ritenute di preponderante rilievo. Ad esempio in un caso posto
all’attenzione di questa Suprema Corte – che ha considerato corretta la
relativa motivazione – il giudice di merito aveva ritenuto che non potessero
concedersi le attenuanti generiche in relazione alla gravità del fatto e ai
precedenti penali (Si veda Sez. 1, Sentenza n. 3772 del 11/01/1994 Ud. dep. 31/03/1994 – Rv. 196880; Sez. 1, Sentenza n. 1666 del 11/12/1996 Ud.
-dep. 21/02/1997 – Rv. 206936; Sez. 2, Sentenza n. 106 del 04/11/2009 Ud.
– dep. 07/01/2010 – Rv. 246045). Infine, per la concessione o il diniego delle
circostanze attenuanti generiche il giudice può limitarsi a prendere in esame,
tra gli elementi indicati dall’art. 133 cod. pen., quello che ritiene prevalente ed
atto a determinare o meno il riconoscimento del beneficio, sicché anche un
solo elemento attinente alla personalità del colpevole o all’entità del reato ed
alle modalità di esecuzione di esso può essere sufficiente in tal senso (Sez.
2, Sentenza n. 3609 del 18/01/2011 Ud. – dep. 01/02/2011 – Rv. 249163).
Per quanto riguarda la recidiva, si deve rilevare che in realtà entrambi i
Giudici di merito l’applicano tenendone conto per escludere la concessione
delle attenuanti generiche (si veda in proposito quanto espressamente
affermato, in proposito, dalla Corte di appello nell’ultima pagina della sua
sentenza). Né si può ritenere non applicata la recidiva solo perché il
Tribunale pur avendone tenuto conto, tanto da escludere la concedibilità
delle attenuanti generiche proprio per la recidiva, abbia erroneamente non
aumentato la pena per la stessa recidiva. Si deve, poi, rilevare che questa
Suprema Corte ha sì affermato che in tema di recidiva facoltativa, è richiesto
al giudice uno specifico dovere di motivazione sia ove egli ritenga sia ove egli
escluda la rilevanza della stessa (Sez. U, Sentenza n. 5859 del 27/10/2011
Ud. – dep. 15/02/2012 – Rv. 251690), ma si deve rilevare che nessuna

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che egli spieghi e giustifichi l’uso del potere discrezionale conferitogli dalla

doglianza, sul punto, è stata sollevata con i motivi di appello; e neppure nel
ricorso si censura la mancanza o carenza di motivazione affermando solo
che di fatto i Giudici di merito non l’hanno applicata non essendo, appunto,
stata aumentata la pena. Inoltre si deve rilevare che questa Suprema Corte
ha — successivamente alla sentenza delle Sezioni Unite di cui sopra —
affermato il principio che il rigetto della richiesta di esclusione della recidiva

impone al giudice un obbligo di motivazione espressa, ben potendo
quest’ultima essere anche implicita (fattispecie nella quale la Corte ha
ritenuto implicita la motivazione sul diniego della richiesta di esclusione della
recidiva facoltativa, desumendola — come è anche nel caso di cui oggi ci si
occupa – dalla disamina della personalità dell’imputato, emergente dalla
dettagliata descrizione delle condotte criminose dallo stesso tenute, dalla
gravità dei fatti; Sez. 2, Sentenza n. 40218 del 19/06/2012 Ud. – dep.
12/10/2012 – Rv. 254341). Quindi, poiché la recidiva contestata è stata anche
applicata, la stessa rileva ai fini della prescrizione perché costituisce
un’aggravante ad effetto speciale che aumenta la pena del reato e di cui si
doveva tener conto — ai fine della determinazione del tempo necessario a
prescrivere — anche prima della riforma della prescrizione del 2005. Quindi il
reato ad oggi non è ancora prescritto (si prescrive — tenuto conto anche di
anni 1 e mesi 9 di sospensione — il 20.06.2013). E’ appena il caso di rilevare
che è, comunque, giurisprudenza consolidata di questa Suprema Corte che
l’inammissibilità del ricorso per cassazione, dovuta alla manifesta
infondatezza dei motivi, non consente il formarsi di un valido rapporto di
impugnazione e preclude, pertanto, la possibilità di rilevare e dichiarare le
cause di non punibilità a norma dell’art. 129 cod. proc. pen. – nella specie la
prescrizione del reato – eventualmente maturata successivamente alla
sentenza impugnata con il ricorso (Sez. 4, Sentenza n. 18641 del 20/01/2004
Ud. – dep. 22/04/2004 – Rv. 228349).
Ai sensi dell’articolo 616 cod. proc. pen., con il provvedimento che
dichiara inammissibile il ricorso, l’imputato che lo ha proposto deve essere
condannato al pagamento delle spese del procedimento, nonché —
ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di
inammissibilità — al pagamento a favore della Cassa delle ammende della

facoltativa, pur richiedendo l’assolvimento di un onere motivazionale, non

somma di mille euro, così equitativamente fissata in ragione dei motivi
dedotti.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle

Così deliberato in camera di consiglio, il 18/06/2013.

Il Consigliere estensore
Dottor Adriano !asili()

il Presidente
D tor Franco landanese

spese processuali e della somma di euro mille alla Cassa delle ammende.

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