Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 35804 del 11/06/2018

Penale Sent. Sez. 5 Num. 35804 Anno 2018
Presidente: BRUNO PAOLO ANTONIO
Relatore: SCOTTI UMBERTO LUIGI CESARE GIUSEPPE

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
A.A.

avverso la sentenza del 05/06/2017 della CORTE APPELLO di VENEZIA
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere UMBERTO LUIGI CESARE GIUSEPPE
SCOTTI;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale PERLA
LORI, che ha concluso chiedendo l’inammissibilità;
udito il difensore presente, avv.CARLO STRADIOTTO, del Foro di Venezia, che si
riporta ai motivi di ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. La Corte di appello di Venezia con sentenza del 5/6/2017 ha confermato
la sentenza del Tribunale di Padova del 11/11/2015, appellata sia dall’imputato,
sia dal Procuratore generale, che aveva ritenuto A.A. responsabile del
reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale e documentale, in concorso, ex
art.110, cod.pen., 216, comma 1, n.1 e 2, 219, comma 2, n.2, e 223, comma 1,
legge fall. e l’aveva perciò condannato alla pena di anni 3 e mesi 6 di reclusione

Data Udienza: 11/06/2018

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con le pene accessorie di cui all’ultimo comma dell’art.216 legge fall. e
interdizione dai pubblici uffici per anni 5.
Il A.A. era accusato, quale amministratore unico sino al 7/1/2004 e poi
quale liquidatore della società Attigraph s.r.I., dichiarata fallita dal Tribunale di
Padova il 24/2/2006, in concorso con B.B., amministratore di fatto,
giudicato separatamente, di aver tenuto la contabilità in modo da non consentire
la ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari, attesa la mancanza
dei registri IVA, tranne che per il 2004, l’omesso aggiornamento del libro

inoltre di aver distratto beni strumentali per € 348.384,00= tramite cessione in
data 20/12/2002 alla società Nordest Noleggi s.r.I., amministrata dal B.B.,
che non aveva provveduto al versamento del corrispettivo rateizzato, in aggiunta
all’accollo dei debiti della fallita verso il B.B. per restituzione dei
finanziamenti da questi effettuati.

2. Ha proposto ricorso l’avv.Carlo Stradiotto, difensore di fiducia
dell’imputato, svolgendo tre motivi.
2.1. Con il primo motivo, proposto

ex art.606, comma 1, lett. b),

cod.proc.pen., il ricorrente lamenta violazione della legge penale in relazione
all’art.216, comma 1, legge fall. e contraddittorietà e illogicità manifesta della
motivazione e omessa adozione della formula assolutoria di cui all’art.530,
comma 1 o 2, cod.proc.pen.
La Corte di appello di Venezia aveva ritenuto che l’esistenza dei macchinari
oggetto di cessione fosse confermata dalle dichiarazioni spontanee rese
dall’imputato e dalle sommarie informazioni testimoniali della sig.ra Busetto; così
argomentando, la Corte territoriale aveva omesso di considerare la questione
relativa all’effettivo valore dei macchinari oggetto del contratto di vendita tra
Attigraph e Nordest Noleggi, che avrebbero potuto essere obsoleti e privi di reale
valore di mercato, presupposto necessario e fondamentale per l’accertamento di
un reale pregiudizio ai creditori e quindi del reato di bancarotta fraudolenta
distrattiva.
Non era assolutamente possibile stabilire tale valore in base al registro dei
beni ammortizzabili

ex art.16 d.p.r.600/1973 che non consentiva alcuna

determinazione; mancava qualsiasi bolla di consegna o altro documento relativo
a tali macchinari, che permettesse almeno di verificarne il costo storico; il
Collegio Sindacale non era riuscito ad esaminare i macchinari, come emergeva
dalla deposizione della dott.ssa Zaniol; nemmeno gli accertamenti esperiti dalla
polizia giudiziaria avevano permesso di stabilire stato e condizione dei beni

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giornale negli anni 2005 e 2006 e la compilazione carente del libro dei cespiti; ed

aziendali; il perito, dott.ssa Carlassare, aveva escluso che fosse possibile
ricostruire la consistenza effettiva del patrimonio societario.
Non poteva quindi essere contestata all’imputato una condotta distrattiva in
difetto di accertata variazione del valore patrimoniale dell’impresa. Tale giudizio
era stato del tutto omesso e la Corte di appello aveva ritenuto che i macchinari
avessero valore pari al corrispettivo di cessione.
Incoerentemente poi la Corte di appello aveva ravvisato la distrazione, pur
in difetto di prova della corrispondenza del prezzo di cessione al valore dei beni e

2.2. Con il secondo motivo, proposto

ex art.606, comma 1, lett. b),

cod.proc.pen., il ricorrente lamenta violazione della legge penale in relazione
all’art.216, comma 1, n.2, legge fall. e 43 cod.pen. e contraddittorietà e illogicità
manifesta della motivazione e omessa adozione della formula assolutoria di cui
all’art.530, commi 1 o 2, cod.proc.pen.
Quanto alla bancarotta documentale, la Corte di appello aveva ritenuto
irrilevante la circostanza che la contabilità societaria fosse tenuta a Padova
presso la sede di via San Crispino e facesse capo al B.B., amministratore di
fatto.
Il trasferimento della sede sociale a Padova era stato conseguente alla
trasformazione di Attigraph in società per azioni, deliberata dall’assemblea in cui
la quota di maggioranza apparteneva a CM & Partners Investements s.a.
Era irrilevante il fatto che il A.A. non avesse fornito i chiarimenti richiesti
circa le irregolarità rilevate dal Collegio sindacale, in quanto egli si occupava solo
degli aspetti pratici e materiali dell’attività di stampa presso la sede operativa dio
Fossò
Quanto alla lettera del 20/1/2006, la Corte di appello era incorsa in palese
travisamento della prova, ritenendo che con detta lettera il A.A. avesse
affermato di essere in possesso di tutte le scritture contabili e non già di aver
semplicemente ritirato le scritture esistenti presso la sede di Padova.
Gli elementi raccolti potevano semmai dimostrare la consapevolezza del
A.A. circa l’irregolare tenuta delle scritture e non già l’intento di arrecare
pregiudizio ai creditori.
2.3. Con il terzo motivo, proposto

ex art.606, comma 1, lett. b),c),e)

cod.proc.pen., il ricorrente lamenta violazione della legge penale sostanziale e
processuale in relazione all’art. 133 cod.pen. e carenza motivazionale in ordine
alla mancata irrogazione del minimo edittale della pena.
La Corte di appello aveva negato le attenuanti generiche in considerazione
del comportamento processuale dell’imputato, che aveva prodotto un partitario
differente da quello in possesso del Curatore, fatto peraltro incolpevole,

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in situazione di perdurante incertezza circa lo stato dei beni venduti.

trascurando i numerosi elementi segnalati a favore dalla difesa (collaborazione
con la curatela nelle attività ricostruttive; presenza all’inventario dei beni
societari, attivazione quale liquidatore per riscuotere consistenti crediti di
Attigraph, sottoposizione all’esame e rilascio di dichiarazioni spontanee nel corso
del processo).
La Corte di appello non aveva dato conto neppure delle ragioni dello
scostamento della pena dal minimo edittale.
La pena poi doveva essere condonata ai sensi dell’art.1 della legge n.241 del

conto della data di dichiarazione del fallimento (24/2/2006) anteriore al termine
di applicazione dell’indulto (2/5/2006).

CONSIDERATO IN DIRITTO

1.Con il primo motivo il ricorrente lamenta violazione della legge penale in
relazione all’art.216, comma 1, legge fall. e contraddittorietà e illogicità
manifesta della motivazione e omessa adozione della formula assolutoria di cui
all’art.530, comma 1 o 2, cod.proc.pen.
1.1. La doglianza si appunta sull’effettiva esistenza e il reale valore dei
macchinari oggetto della cessione ritenuta distrattiva
La Corte di appello di Venezia aveva ritenuto che l’esistenza dei macchinari
oggetto di cessione fosse confermata dalle dichiarazioni spontanee rese
dall’imputato e dalle sommarie informazioni testimoniali della sig.ra Busetto; così
argomentando, la Corte territoriale aveva omesso di considerare la questione
relativa all’effettivo valore dei macchinari oggetto del contratto di vendita tra
Attigraph e Nordest Noleggi, che avrebbero potuto essere obsoleti e privi di reale
valore di mercato, presupposto necessario e fondamentale per l’accertamento di
un reale pregiudizio ai creditori e quindi del reato di bancarotta fraudolenta
distrattiva.
1.2. L’esistenza effettiva dei macchinari oggetto del contratto è stata
ritenuta dalla Corte lagunare con motivazione che il ricorrente non cerca neppure
di censurare, basata sulle sue stesse dichiarazioni rese all’udienza del 17/6/2015
(ove aveva riconosciuto che i macchinari erano presenti in azienda nel novembre
del 2002 e aveva accusato il coimputato B.B. di averli portati via
successivamente) e sulle dichiarazioni della teste Busetto a sommarie
informazioni del 15/11/2011.
1.3. L’assunto volto a dubitare dell’effettivo valore dei beni oggetto del
contratto di vendita tra Attigraph e Nordest Noleggi, si basa su di una mera
congettura, espressa per giunta in termini perplessi ed ipotetici, laddove il

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2006 in conformità alla richiesta avanzata dalla difesa dell’imputato, tenuto

ricorrente ipotizza che tali macchinari «avrebbero potuto» essere obsoleti e privi
di reale valore di mercato.
Tale posizione è inaccettabile da parte dell’amministratore di diritto di una
società di capitali, tanto più allorché egli abbia venduto tali beni ad altri per un
corrispettivo tutt’altro che modesto, cosa che induce a ritenere, salvo prova
contraria, che tali beni esistessero e possedessero effettivamente un valore
analogo a quello della transazione intervenuta.
1.4. Il ricorrente aggiunge che non era assolutamente possibile stabilire il

d.p.r. 600/1973 che non consentiva alcuna determinazione; che mancava
qualsiasi bolla di consegna o altro documento relativo a tali macchinari, che
permettesse almeno di verificarne il costo storico; che il Collegio Sindacale non
era riuscito ad esaminare i macchinari, come emergeva dalla deposizione della
dott.ssa Zaniol; che nemmeno gli accertamenti esperiti dalla polizia giudiziaria
avevano permesso di stabilire stato e condizione dei beni aziendali; che il perito,
dott.ssa Carlassare, aveva escluso che fosse possibile ricostruire la consistenza
effettiva del patrimonio societario.
Tali puntualizzazioni, del tutto corrette, che si fondano, direttamente o
indirettamente, sulla irregolare tenuta dei registri e delle scritture contabili e
sulla violazione dei doveri in proposito incombenti sull’amministratore di diritto
della società di capitali, che valgono all’imputato ricorrente il distinto addebito di
bancarotta fraudolenta documentale, sono proposte al fine di mettere in dubbio
l’effettivo valore di una transazione commerciale rispetto al prezzo concordato
fra le parti interessate, in via di mera illazione e volgendo le incertezze
documentali a strumento di copertura della distrazione dei beni.
In più semplici parole, il ricorrente sostiene, senza alcuna prova, che i beni
venduti e il cui prezzo non ha incassato, valevano poco o nulla e non invece il
prezzo che egli aveva pattuito, e tenta di corroborare l’assunto con l’impossibilità
di provare il contrario per aver egli violato anche i propri doveri di regolare
tenuta delle registrazioni e della contabilità della società.
Non sarebbe quindi necessario osservare ulteriormente che poiché il
contratto di cessione era stato stipulato e quel corrispettivo era stato pattuito, il
suo dovere di amministratore della società era quello di incassare il credito che
dallo strumento contrattuale scaturiva in modo vincolante, di tal che la condotta
omissiva determinava comunque la distrazione del credito, acquisito al
patrimonio sociale.
1.6. Non può quindi assolutamente condividersi la tesi secondo cui non
poteva quindi essere contestata all’imputato una condotta distrattiva, in difetto
di accertata variazione del valore patrimoniale dell’impresa.

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valore dei beni in questione in base al registro dei beni ammortizzabili ex art.16

2. Con il secondo motivo il ricorrente lamenta violazione della legge penale
in relazione all’art.216, comma 1, n.2, legge fall. e 43 cod.pen. e
contraddittorietà e illogicità manifesta della motivazione e omessa adozione della
formula assolutoria di cui all’art.530, comma 1 o 2, cod.proc.pen.
2.1. Quanto alla bancarotta documentale, la Corte di appello aveva ritenuto
irrilevante la circostanza che la contabilità societaria fosse tenuta a Padova
presso la sede di via San Crispino e facesse capo al B.B., amministratore di

Il trasferimento della sede sociale a Padova era stato conseguente alla
trasformazione di Attigraph in società per azioni, deliberata dall’assemblea in cui
la quota di maggioranza apparteneva a CM & Partners Investements s.a.
2.2. A.A. è stato amministratore unico della società fino al
7/1/2004 e poi liquidatore.
La Corte di appello ha ritenuto che, nonostante il B.B. fosse il socio di
maggioranza della società e avesse operato come amministratore di fatto, il
A.A. avesse svolto un ruolo effettivo e per nulla marginale nelle vicende
societarie per tutta la durata della società, come ampiamente e
approfonditamente argomentato alle pagine 5 e 6 della sentenza impugnata, con
una serie di osservazioni con le quali il ricorrente neppure si confronta.
2.3. La collocazione della sede sociale e la trasformazione societaria,
comunque volute e condivise anche da A.A. (sentenza impugnata,
pag.6 e 8, non censurata sul punto) attengono a circostanze del tutto ininfluenti
ai fini degli obblighi di tenuta dei registri e della contabilità sociale che per legge
incombono sull’amministratore.
In ogni caso, in tema di reati fallimentari, l’amministratore di diritto risponde
del reato di bancarotta fraudolenta documentale per sottrazione o per omessa
tenuta, in frode ai creditori, delle scritture contabili, quand’anche sia investito
solo formalmente dell’amministrazione della società fallita (cosiddetta testa di
legno), in quanto sussiste il suo diretto e personale obbligo di tenere e
conservare le predette scritture, purché sia fornita la dimostrazione della
effettiva e concreta consapevolezza del loro stato, tale da impedire la
ricostruzione del movimento degli affari(Sez. 5, n. 43977 del 14/07/2017,
Pastechi e altro, Rv. 271754; Sez. 5, n. 642 del 30/10/2013 – dep. 2014,
Demajo, Rv. 257950; Sez. 5, n. 19049 del 19/02/2010, Succi e altri, Rv.
247251; Sez. 5, n. 28007 del 04/06/2004, Squillante, Rv. 228713).
2.4. E’ il caso, inoltre, di rammentare che la Corte di appello ha addebitato
al A.A. di essersi opposto alla verifica delle rimanenze e di non aver fornito le
richieste spiegazioni ai rilievi critici del Collegio Sindacale, che aveva ravvisato

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fatto.

numerose irregolarità, determinandone le dimissioni per l’impossibilità pratica di
esercitare qualunque controllo.
Al riguardo non merita consenso la generica protesta del ricorrente, che
assume irrilevante la mancata prestazione dei chiarimenti richiesti circa le
irregolarità rilevate dal Collegio sindacale in quanto egli si occupava solo degli
aspetti pratici e materiali dell’attività di stampa presso la sede operativa di
Fossò.
Come si è detto, la Corte territoriale ha ricostruito in capo al A.A. un

deposizione della teste Busetto, delle valutazioni della polizia giudiziaria (che
aveva accertato la sua perfetta informazione sulle vicende societarie) e del suo
diretto coinvolgimento in tutti gli snodi essenziali della vita della società.
Per altro verso, sono emerse le carenze di compilazione dei libri societari sia
prima del trasferimento della sede a Padova, sia nella fase in cui il A.A. ha
accettato la nomina a liquidatore.
Infine il A.A. ha prodotto nel corso del processo un partitario differente
rispetto a quello consegnato al curatore, senza fornire alcuna spiegazione al
proposito.
2.5. Inoltre dopo il fallimento, pur dichiarandosi con lettera del 20/1/2006,
in possesso di tutte scritture contabili della società Attigraph e di essere disposto
a consegnarle, il A.A. aveva omesso di consegnarle al Curatore fallimentare.
Di qui la specifica valutazione della Corte di appello nel senso che
all’imputato non erano addebitabili semplici negligenze o omissioni, ma un piano
deliberato, d’intesa con il socio di maggioranza, teso al malgoverno della
contabilità aziendale e ad ostacolare la ricostruzione del patrimonio e del
movimento degli affari.
Quanto alla lettera del 20/1/2006, la Corte di appello sarebbe incorsa in
palese travisamento della prova, ritenendo che con detta lettera il A.A.
avesse affermato di essere in possesso di tutte le scritture contabili e non già di
aver semplicemente ritirato le scritture esistenti presso la sede di Padova.
La censura è del tutto generica in quanto pretende di sovvertire la
valutazione espressa dal giudice del merito sul contenuto di una prova, senza
allegare e neppure riportare il contenuto della prova asseritamente travisata.
Ai fini della configurabilità del vizio di travisamento della prova è necessario
che la relativa deduzione abbia un oggetto definito e inopinabile, tale da
evidenziare la palese e non controvertibile difformità tra il senso intrinseco della
dichiarazione e quello tratto dal giudice, con conseguente esclusione della
rilevanza di presunti errori da questi commessi nella valutazione del significato

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ruolo tutt’altro che marginale, con ampi poteri decisionali sulla base della

probatorio della dichiarazione medesima. (Sez. 5, n. 8188 del 04/12/2017 – dep.
2018, Grancini, Rv. 272406).

3. Con il terzo motivo, il ricorrente lamenta violazione della legge penale
sostanziale e processuale in relazione all’art. 133 cod.pen. e carenza
motivazionale in ordine alla mancata irrogazione del minimo edittale della pena.
3.1. La Corte di appello aveva negato le attenuanti generiche in
considerazione del comportamento processuale dell’imputato che aveva prodotto

incolpevole, trascurando i numerosi elementi segnalati a favore dalla difesa
(collaborazione con la curatela nelle attività ricostruttive; presenza all’inventario
dei beni societari, attivazione quale liquidatore per riscuotere consistenti crediti
di Attigraph, sottoposizione all’esame e rilascio di dichiarazioni spontanee nel
corso del processo).
La Corte di appello ha specificamente valutato il comportamento processuale
dell’imputato, escludendo che egli avesse collaborato alle indagini e avesse
fornito una confessione spontanea, e ha osservato, anzi, in negativo che il
A.A. si era spinto a produrre un partitario contabile alterato rispetto a quello
consegnato in precedenza al Curatore.
L’attivazione quale liquidatore per la riscossione di crediti della società,
peraltro allegata solo genericamente, rientrava semplicemente nei doveri del
liquidatore e possiede quindi solo una valenza neutra.
Inoltre, in linea generale, in tema di attenuanti generiche, il giudice del
merito esprime un giudizio di fatto, la cui motivazione è insindacabile in sede di
legittimità, purché sia non contraddittoria e dia conto, anche richiamandoli, degli
elementi, tra quelli indicati nell’art. 133 cod. pen., considerati preponderanti ai
fini della concessione o dell’esclusione (Sez. 5, n. 43952 del 13/04/2017,
Pettinelli, Rv. 271269; Sez. 6, n. 7707 del 04/12/2003 – dep. 2004, P.G. in proc.
Anaclerio ed altri, Rv. 229768).
La concessione delle attenuanti generiche deve essere fondata
sull’accertamento di situazioni idonee a giustificare un trattamento di speciale
benevolenza in favore dell’imputato; ne consegue che, quando la relativa
richiesta non specifica gli elementi e le circostanze che, sottoposte alla
valutazione del giudice, possano convincerlo della fondatezza e legittimità
dell’istanza, l’onere di motivazione del diniego dell’attenuante è soddisfatto con il
solo richiamo alla ritenuta assenza dagli atti di elementi positivi su cui fondare il
riconoscimento del beneficio (Sez. 3, n. 9836 del 17/11/2015 – dep. 2016,
Piliero, Rv. 266460); la presunzione di non meritevolezza, impone al giudice di
primo grado di spiegare le ragioni che giustificano la decisione di mitigare il

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un partitario differente da quello in possesso del Curatore, fatto peraltro

trattamento sanzionatorio, mentre nel caso di mancato riconoscimento di tale
riduzione l’obbligo di motivazione non sussiste, in assenza di richiesta da parte
dell’interessato o nell’ipotesi di richiesta generica. (Sez. 3, n. 35570 del
30/05/2017, Di Luca, Rv. 270694)
Ai fini dell’assolvimento dell’obbligo della motivazione in proposito, il giudice
non è poi tenuto a prendere in considerazione tutti gli elementi prospettati
dall’imputato, essendo sufficiente che egli spieghi e giustifichi l’uso del potere
discrezionale conferitogli dalla legge con l’indicazione delle ragioni ostative alla

3772 del 11/01/1994, Spallina, Rv. 196880).
3.2. Il ricorrente si duole inoltre del fatto che la Corte di appello non abbia
dato conto neppure delle ragioni dello scostamento della pena dal minimo
edittale.
Il motivo è palesemente infondato poiché la Corte di appello alla pagina 12
della sentenza impugnata ha precisato che la pena base era stata commisurata
al minimo edittale (tre anni di reclusione) e che l’aumento di sei mesi era dovuto
a titolo di applicazione dell’aggravante di cui all’art.219, comma 2, n.1 legge fall.
Occorre infatti ricordare che secondo la giurisprudenza di questa Corte, in
tema di reati fallimentari, nel caso di consumazione di una pluralità di condotte
tipiche di bancarotta nell’ambito del medesimo fallimento, le stesse mantengono
la propria autonomia ontologica, dando luogo ad un concorso di reati, unificati, ai
soli fini sanzionatori, nel cumulo giuridico previsto dall’art. 219, comma 2, n. 1,
legge fall., disposizione che pertanto non prevede, sotto il profilo strutturale, una
circostanza aggravante, ma detta per i reati fallimentari una peculiare disciplina
della continuazione derogatoria di quella ordinaria di cui all’art. 81 cod. pen.
(Sez. U, n. 21039 del 27/01/2011, P.M. in proc. Loy, Rv. 249665).
3.3. La pena poi, secondo il ricorrente, avrebbe dovuto essere condonata ai
sensi dell’art.1 della legge n.241 del 2006 in conformità alla richiesta avanzata
dalla difesa dell’imputato, tenuto conto della data di dichiarazione del fallimento
(24/2/2006) anteriore al termine di applicazione dell’indulto (2/5/2006).
Secondo giurisprudenza del tutto consolidata, nel caso di omessa pronuncia
da parte del giudice d’appello in ordine all’applicabilità o meno dell’indulto,
l’imputato non ha interesse a ricorrere per cassazione, potendo ottenere
l’applicazione del beneficio in sede esecutiva ed essendo tale possibilità preclusa
solo da una decisione espressa di rigetto del giudice della cognizione (da ultimo,

ex multis, Sez. 2, n. 21977 del 28/04/2017, Brancher, Rv. 269800).

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concessione e delle circostanze ritenute di preponderante rilievo. (Sez. 1, n.

4. Il ricorso va quindi dichiarato inammissibile; ne consegue la condanna
del ricorrente ai sensi dell’art.616 cod.proc.pen. al pagamento delle spese del
procedimento e al versamento della somma di C 2.000,00= in favore della Cassa
delle ammende, così equitativamente determinata in relazione ai motivi di
ricorso che inducono a ritenere il ricorrente in colpa nella determinazione della
causa di inammissibilità (Corte cost. 13/6/2000 n.186).

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese del procedimento e della somma di C 2.000,00 a favore della Cassa delle
ammende.

Così deciso il 11 giugno 2018

Il Consi ‘ere este sor

Il Presidente

Um erto Lui S ott’

Paolo Antonio Bruno
*4911

P.Q.M.

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