Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 35801 del 23/06/2015


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 35801 Anno 2015
Presidente: IPPOLITO FRANCESCO
Relatore: CARCANO DOMENICO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
MAMELI MARIA AURORA N. IL 07/05/1962
avverso la sentenza n. 179/2012 CORTE APPELLO SEZ.DIST. di
SASSARI, del 08/07/2014
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 23/06/2015 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. DOMENICO CARCANO
V9aCiA
Udito il Procuratore Generale in persorka 01 Dott.
che ha concluso per
Adetaiz2a0

Udito, per la parte/94e, l’Avv
Udit i difenso

Data Udienza: 23/06/2015

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Ritenuto in fatto
1.La Corte d’appello di Sassari ha confermato la decisione di primo grado
con la quale, all’esito di giudizio abbreviato, Maria Aurora Mameli fu dichiarata
responsabile di peculato perché, quale infermiera in servizio presso il distretto
sanitario ASL n.1 di Sassari, in possesso di specialità medicinali ( Nicetil fiale e
compresse che, ancorché campioni gratuiti, avrebbero potuto essere consegnate

A fronte dei motivi d’appello presentati dalla difesa e volti a contestare
l’affermazione di responsabilità e a giustificare per ragioni diverse la disponibilità
del medicinale e il suo modesto valore economico, la Corte d’appello ha condiviso
le argomentate conclusioni raggiunte dal giudice di primo grado e ha ritenuto
infondate le censure proposte dall’appellante.
Anzitutto, precisa il giudice d’appello, l’indagine si inseriva nell’ambito di una
più vasta verifica diretta ad accertare ammanchi di farmaci anabolizzanti per un
valore complessivo di 12.000 euro.
In particolare, sono stati acquisiti elementi dai quali è emerso che tali
farmaci erano campioncini di Nicetile, contenenti quale principio attivo l’acetilcamitina, utilizzata quale sostanza anabolizzante e, pertanto, si è accertato che
tale sostanza era utilizzata da Mini nella sua attività di istruttore di bodybuilding.
La responsabile del poliambulatorio ha riferito che tali campioncini gratuiti
erano consegnati direttamente al medico, dopo aver compilato un registro di
scarico, specificante il nome e la quantità dei campioni.
Tali campioncini, precisava ancora la responsabile del poliambulatorio, non
avrebbero potuto essere ceduti ai pazienti, salvo che il medico avesse ritenuto
di darli a persone bisognose, cosa che non avrebbero potuto fare l’infermiere e
altro personale ASL.
I farmaci erano custoditi in un armadietto che solitamente era aperto e le
cui chiavi erano, comunque, custodite dall’infermiere.
Maria Mameli riferiva di aver dato – due o tre volte, in assoluta buona fede a Marco Mini tali campioni, pensando che non fosse necessaria alcuna
prescrizione medica e che ciò era avvenuto nel periodo settembre\ottobre 2007.
In realtà, all’esito di una perquisizione effettuata in casa della Mameli furono
recuperate svariate confezioni di tale farmaco.
Si trattava di campioncini “ridotti” che, una volta consegnati dagli
informatori scientifici, entravano a far parte del patrimonio dell’AsL e con
l’acquisizione di tali farmaci Mini traeva un vantaggio economico anche per il

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solo ai medici), se ne appropriava per cederle al collega Marco Mini.

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mancato pagamento del tiket. Inoltre, a prova del vantaggio economico, il
personale verificava che l’ammanco avrebbe avuto un valore di 12.000 euro.
La Corte d’appello ha confermato la responsabilità di Maria Mameli e la
condanna di dieci mesi e venti giorni di reclusione, con pena sospesa. E non
menzione.
2. La difesa deduce:
– violazione dell’art. 314 c.p.
Ripercorre gli accertamenti effettuati e rileva che dalle modalità di custodia

delitto di peculato, posto a tutela dell’imparzialità e buon andamento della
pubblica amministrazione.
La fattispecie incriminatrice, come più volte affermato dalla giurisprudenza,
è posta a tutela del patrimonio della pubblica amministrazione. Il presupposto
della fattispecie in parola è che oggetto del peculato avrebbero potuto essere di
beni di non modesto valore economico.
Qualora l’esiguità del valore patrimoniale funzionale della cosa sia tale che il
funzionario non tragga alcun vantaggio rispetto a terzi o anche là dove per la PA
non derivi alcuna compromissione, condotta punita dall’art. 314 c.p. non può che
essere esclusa.
-Assoluta contraddittorietà della motivazione.
La sentenza d’appello è contraddittoria, poiché è stata fatta una attenta
valutazione dei protagonisti per poi giungere all’affermazione della responsabilità
della Minoli.
Manca la motivazione là dove non si chiarisce in virtù di quale prova
l’imputata dovesse essere condannata. Non rileva che i farmaci sottratti abbiano
prodotto un vantaggio per Mini, là dove il soggetto agente del reato è il pubblico
ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio che non abbiano tratto alcun utile.
Sotto tale profilo, la motivazione e manifestamente illogica e parziale.

Considerato in diritto
Il ricorso è infondato.
Il giudice d’appello ha condiviso la ricostruzione effettuata nella sentenza di
primo grado e con proprio ragionamento probatorio – coerente con le risultane
delle attività investigative – e ha escluso che le giustificazioni rese da Mameli
potessero essere riscontrate da alcun elemento, non trattandosi di farmaci di
modesto valore e tenuto conto anche del danno arrecato alla ASL di Sassari,
come emerso all’esito di verifiche delle quali si già detto in narrativa.
I fatti, come accertati dimostrano, nella logica e corretta ricostruzione di
entrambi i giudici di merito, che Maria Aurora Mameli ha sottratto i farmaci per
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e per il valore di ogni campioncino, non avrebbe potuto ritenersi integrato il

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cederli al collegaafarco Mini che svolgeva attività di istruttore di bodybuildin, il
quale tra l’altro traeva un vantaggio dal mancato pagamento del tiket.
Le censure, pertanto, non sono altro che dirette a contestare valutazioni di
merito correttamente espresse dal giudice d’appello e coerenti con le risultanze
processuali esposte nella sentenza.
Il ragionamento probatorio della Corte d’appello è articolato – come esposto
in sintesi e nei punti significativi in narrativa – con rigore argomentativo
dapprima sulle ragioni per le quali la situazione riferita non potesse essere

ricostruzione operata dal giudice di primo grado.
Il ricorso è, dunque, infondato e, a norma dell’art.616 c.p.p., la ricorrente
va condannata al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.
osì deciso in Roma, il 23 giugno 2015.

ricostruita nel senso indicato dall’imputato e poi sulle risposte ai punti critici della

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