Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 35794 del 18/06/2015


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 35794 Anno 2015
Presidente: FIANDANESE FRANCO
Relatore: DIOTALLEVI GIOVANNI

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
GIACALONE GIOVANNI BATTISTA N. IL 14/01/1973
GALLINA ANNA MARIA N. IL 31/10/1981
GIACALONE ANTONINO N. IL 04/04/1964
GIACALONE VINCENZO N. IL 20/10/1966
ISABELLA ANSELMO N. IL 15/03/1969
CAGGEGI MICHELE N. IL 18/01/1965
GAGGEGI FRANCESCO N. IL 01/01/1971
avverso il decreto n. 34/2011 CORTE APPELLO di PALERMO, del
04/07/2014
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. GIOVANNI
DIOTALLEVI;
lette/gefftite le conclusioni del PG Dott. Wt io
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Data Udienza: 18/06/2015

RITENUTO IN FATTO
Giacalone Giovanni Battista, Gallina Anna Maria, Antonio Giacalone, Vincenzo Giacalone,
Isabella Anselmo, Michele Caggegi e Francesco Caggegi ricorrono per Cassazione avverso il
decreto n.104/04 emesso in data 4 luglio 2014 dalla Corte di appello di Palermo – sezione
misure di prevenzione – che, in parziale riforma del decreto emesso dal Tribunale di Palermo
in data 25 ottobre/2 novembre 2010, ha accolto i motivi di appello proposti dall’interveniente
Cambria Rocco e ha provveduto a revocare la confisca della società R.C.G. srl; confermando

Giovanni Battista la misura di prevenzione della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza con
obbligo di soggiorno nel comune di residenza per la durata di anni tre e mesi sei; inoltre, il
Tribunale ordinava, ai sensi dell’art. 2 ter L.575/65 la confisca in pregiudizio del proposto di
una serie di beni, come elencati in epigrafe della presente rubrica ( interi capitali sociali, quote
societarie, conti esteri anche formalmente intestati agli intervenienti).
1. Giacalone Giovanni Battista e Gallina Anna Maria, con un solo ricorso, chiedendo
l’annullamento del provvedimento impugnato, propongono i seguenti motivi di gravame:
A) Per il solo Giacalone, si deduce la violazione dell’art.606 lett. b) ed e) c.p.p. in relazione
all’art. 1 e ss. della L.575/65 e degli artt.1 e ss. della L.1423/56.
Il ricorrente lamenta il fatto che le argomentazioni poste a sostegno della misura personale a
lui applicata si palesano contraddittorie ed illogiche in ordine alla ritenuta attualità della sua
pericolosità sociale. Con la premessa che tale procedimento di prevenzione è scaturito dal
coinvolgimento del Giacalone in una vicenda giudiziaria nell’ambito del quale egli è stato
condannato per il reato di associazione mafiosa, la difesa sottolinea, ciononostante, che lo
stesso Tribunale ha escluso perentoriamente l’aggravante ex art. 416 bis co.2 e, pertanto il
ruolo di reggente della famiglia mafiosa di San Lorenzo inizialmente contestato all’imputato. In
relazione a ciò, il giudizio di pericolosità formulato dalla Corte distrettuale, ed incentrato
sull’intraneità del Giacalone al sodalizio, in una posizione comunque di rilievo, appare del tutto
sganciata dalla realtà storica e processuale. La medesima sentenza, inoltre, avrebbe
totalmente omesso di prendere in considerazione il fatto che la sentenza di primo grado aveva

nel resto l’impugnato decreto con il quale era stata applicata nei confronti del solo Giacalone

escluso il coinvolgimento del Giacalone in una serie di attività illecite: tali elementi sarebbero
stati, invece, perfettamente idonei ad escludere l’attualità della pericolosità sociale del
ricorrente.
B) Ai sensi dell’art. 606 lett.b) ed e) c.p.p., deducono l’inosservanza ed erronea applicazione
della legge penale in relazione agli artt. 2 bis co.3; 2 ter co.15 e 16 L.575/65, e la manifesta
illogicità della motivazione.
I ricorrenti si dolgono del fatto che la conferma della confisca sia originata da un’errata
valutazione ed applicazione della legge penale, in ordine agli indizi di pericolosità a carico del
preposto. Secondo la difesa, infatti, il Tribunale avrebbe illegittimamente retrodatato gli indizi pJ
di pericolosità rispetto al momento in cui è stata accertato l’ingresso del Giacalone all’interno
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della cosca mafiosa: il patrimonio, di lecita derivazione, sarebbe stato acquistato nel 1991,
mentre il preposto avrebbe fatto ingresso nel clan solo a partire dal 2006.
Inoltre, i Giudici di merito, attraverso un ragionamento che ha illegittimamente portato ad
un’estensione analogicai’j’à portata dell’art. 2 ter 1.575/65, hanno disposto la confisca delle
quote sociali anche degli intervenienti: tale decisione, secondo la difesa, è frutto di un errore di
valutazione posto che i proventi necessari alla costituzione della Giac srl e all’ingresso nella
stessa del Giacalone sono tutti di provenienza lecita ( nello specifico si tratterebbe di apporti
finanziari dei genitori e mutui bancari). La Corte, con una illegittima inversione dell’onere della

anomalie gestionali presunte e, nonostante rispetto alle stesse non venga provata in concreto
la riferibilità al preposto, si presume che sia comunque una sua interposizione fittizia,
giungendo così a sottoporre a confisca l’intero patrimonio. Ebbene, la difesa sostiene che la
Corte abbia compiuto un salto logico servendosi di meri indizi gestionali che in alcun modo
avrebbero la concretezza di prove da cui desumere con certezza l’interposizione fittizia: ma è
la norma stessa ad escludere che l’accertamento dell’interposizione possa basarsi su meri
indizi, diversamente operando si andrebbe ad ammettere l’esistenza di un meccanismo di
automaticità tra il proposto e l’interveniente che consentirebbe una confisca ex se senza alcun
onere probatorio a carico del Giudice.
Infine, la difesa osserva che, sebbene il legislatore abbia previsto all’art. 2 ter comma 16 legge
575/65 una presunzione relativa, essa non opera per gli atti posti in essere nei due anni
precedenti al provvedimento di prevenzione: pertanto, dato che la confisca è stata disposta il
29 settembre 2007, tale presunzione non poteva operare, dovendo la Corte dare piena prova
della suddetta interposizione.
C) Ai sensi dell’art. 606 lett.b) ed e) c.p.p., deducono l’inosservanza ed erronea applicazione
della legge penale in relazione agli artt. 2 bis co.3; 2 ter co.15 e 16 L.575/65, e la manifesta
illogicità della motivazione.
In merito alla confisca di un gruppo di società di cui il preposto risulta quotista, la difesa
contesta l’errata applicazione dell’art. 2 ter rispetto alla contestualità tra l’acquisto del bene e
la sussistenza degli indizi di pericolosità sociale. I giudici di merito, infatti, sembrano dare per
scontato che la norma citata non preveda alcuna correlazione temporale tra l’acquisto dei beni
e la data in cui il Giacalone sarebbe entrato nel clan, giungendo ad applicare la confisca solo
sulla base del criterio della sproporzione tra il valore dei beni confiscati ed i patrimonio del
prevenuto. A tale riguardo, la difesa rileva due vizi in cui la Corte sarebbe incorsa: da un lato
sostiene che sia stata ampiamente provata la liceità dei proventi del Giacalone, dall’altra che la
norma penale sarebbe stata illegittimamente applicata retroattivamente rispetto al momento
della contestazione dell’accusa; pertanto, anche alla luce dell’art.18 del d.lgs.159/11 e
dell’art.2 ter co.3 e 4 1.575/65 la Corte avrebbe dovuto compiere un’accurata opera di
selezione tra i beni lecitamente acquisti e non, sottoponendo a confisca solo i secondi.

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prova, fonda la conferma della confisca su di una doppia presunzione: l’attività presenta delle

D) Ai sensi dell’art. 606 lett.b) c.p.p. i ricorrenti si dolgono della violazione del diritto di difesa
ex art.24 Cost. considerazione del fatto che il Tribunale mentre in un primo momento aveva
basato il provvedimento di confisca sul requisito dell’origine illecita, la Corte ha confermato la
misura di prevenzione basando sul criterio diverso della sproporzione tra dichiarato e valore
del bene confiscato: così agendo la Corte avrebbe violato il diritto di difesa modificando i
termini dell’accusa senza consentire ai ricorrenti di articolare un’adeguata difesa.
E) Ai sensi dell’art. 606 lett. e) c.p.p, i ricorrenti lamentano la mancanza e contraddittorietà
della motivazione in ordine alla confutazione della perizia di parte.

argonnentative carenti dei necessari passaggi logici tanto da far rimanere oscure le ragione che
avrebbero condotto a confermare il provvedimento di confisca. La difesa, infatti, attraverso
l’operato del perito di parte ha dimostrato che l’asse economico del preposto fosse di lecita
derivazione e, ciononostante, la Corte nel confermare la confisca si è basata esclusivamente su
ulteriori elementi ipotetici non supportati da alcun rilievo o pregio pratico, senza alcuna
ricostruzione puntuale e soddisfacente dell’iter argomentativo seguito.
F) Ai sensi dell’art. 606 lett.b) ed e) c.p.p, i ricorrenti lamentano la violazione di legge penale e
la mancanza e contraddittorietà della motivazione.
Secondo gli istanti, la Corte avrebbe compiuto un’ulteriore violazione imponendo al preposto
una ingiustificata inversione dell’onere della prova: per confermare la legittimità della confisca
la Corte a pag.65 del provvedimento avrebbe fatto riferimento alla sospetta celerità di alcune
operazioni societarie da cui avrebbe dedotto la illiceità delle stesse nonché l’interposizione
fittizia. Sostiene la difesa che il ricorrente deve essere posto nelle condizioni di difendersi da
una contestazione di un determinato fatto illecito e non viceversa: la Corte avrebbe chiesto
invece di dimostrare la liceità di operazioni di per sé lecite e rispetto alle quali è illogico
dimostrare la liceità.

2. Anton’b1 (S. Giacalone, Vincenzo Giacalone e Isabella Anselmo, con un unico ricorso,
propongono i seguenti motivi di gravame:
A) Ai sensi dell’art. 606 lett.b) c.p.p. la violazione e falsa applicazione degli artt.2 bis e 2 ter

La motivazione risulterebbe priva dei requisiti minimi di completezza e logicità, le linee

1.575/65.
I ricorrenti rilevano l’errore della Corte nel confermare la confisca, sostenendo che tale
decisione si sia fondata su di una doppia presunzione, come già rilevato dalla difesa di
Giacalone Giovanni Battista. Difatti, l’interposizione fittizia non sarebbe stata provata con
certezza ed in modo rigoroso, bensì i Giudici si sarebbero solo basati su elementi meramente
indiziari. Considerando che i ricorrenti sono terzi intervenuti, la mancata prova

…1,…

dell’interposizione avrebbe dovuto escludere la possibilità di applicare anche a loro il
paradigma normativo proprio della confisca e, dall’altro, equivarrebbe a prova della lecita
provenienza dei beni.

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$

B) Ai sensi dell’art. 606 lett.b) c.p.p. la violazione e falsa applicazione degli artt.2 bis e 2 ter
1.575/65.
Secondo i ricorrenti, la Corte di appello avrebbe confermato la confisca non facendo riferimento
al criterio della correlazione temporale tra l’acquisto dei beni e l’inserimento di Giacalone
Giovanni Battista nel clan mafioso, bensì su quello della sproporzione fra i beni confiscati e il
patrimonio dello stesso: in questo modo i giudici di merito avrebbero accolto un orientamento
del tutto minoritario in giurisprudenza. La difesa, invece, ritiene che sarebbe stato preferibile
dare applicazione alla tesi giurisprudenziale maggioritaria secondo la quale sarebbe possibile,

all’organizzazione mafiosa è stata accertata nella sentenza e, tuttavia, il provvedimento di
confisca non potrebbe mai prescindere dalla verifica della contestuale o pregressa sussistenza
degli indizi di pericolosità sociale rispetto al momento dell’acquisto del bene. In considerazione
di questo orientamento, la difesa ribadisce il fatto che il giudizio di sproporzione è insufficiente
ai fini della prova della provenienza illecita dei beni confiscati, esso deve, pertanto, essere
integrato da quello della sussistenza degli indizi di pericolosità sociale. Alla luce di tali
considerazioni nel ricorso vengono presentati i profili di pericolosità sociale sussistenti al
momento della costituzione della Giac srl che sarebbero solo ed esclusivamente quelli della
presunta mafiosità della famiglia Giacalone e la maggiore età di Giovanni Battista: elementi
evidentemente insufficienti.
C) Ai sensi dell’art. 606 lett.b) c.p.p. la violazione e falsa applicazione dell’art.2 ter 1.575/65.
Nel confermare la legittimità del provvedimento di confisca la Corte distrettuale, secondo i
ricorrenti, sarebbe incorsa in un duplice errore: da un lato avrebbe operato illegittimamente
un’estensione analogica dell’art.2 ter agli intervenienti e, dall’altro, avrebbe omesso totalmente
di provare che le quote intestate a Vincenzo e Antonio Giacalone erano nella diretta
disponibilità del fratello Giovanni Battista.
Quanto poi al collegamento tra la costituzione della Giac srl e il patrimonio dei genitori dei
germani Giacalone, la difesa ripercorre le vicende che hanno portato all’erogazione di ben tre
mutui nei primi anni di vita della società da cui si desumerebbe con certezza la prova di siffatto
lecito collegamento; in questo modo, l’onere probatorio a carico dei ricorrenti è certamente
soddisfatto nel momento in cui si da’ giustificazione della provenienza lecita delle somme
impiegate per acquistare le società oggetto di confisca.
D) Ai sensi dell’art. 606 lett.b) c.p.p. la violazione e falsa applicazione degli artt.2 bis e 2 ter
1.575/65.
Secondo gli istanti, la Corte avrebbe compiuto un’ulteriore violazione imponendo al preposto
una ingiustificata inversione dell’onere della prova: per confermare la legittimità della confisca
la Corte a pag.65 del provvedimento avrebbe fatto riferimento alla sospetta celerità di alcune
operazioni societarie da cui avrebbe dedotto la illiceità delle stesse nonché l’interposizione
fittizia. Sostiene la difesa che il ricorrente deve essere posto nelle condizioni di difendersi da
una contestazione di un determinato fatto illecito e non viceversa: la Corte avrebbe chiesto
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per il giudice, retrodatare gli indizi di pericolosità rispetto al momento in cui l’appartenenza

invece di dimostrare la liceità di operazioni di per sé lecite e rispetto alle quali è illogico
dimostrare la liceità.

3. Michele Caggegi e Francesco Caggegi, con un unico ricorso avente un solo motivo di
gravame, lamentano la violazione dell’art.606 lett.b) cp.p. in relazione all’art. 3 quinquies
1.575/65, oggi art. 34 comma 7 d.lgs. 159/2011.
Secondo i ricorrenti la Corte, nel confermare la confisca delle società di qui gli stessi detengono
delle quote societarie di proprietà, sarebbe incorsa in un’evidente violazione e falsa

che l’impresa eserciti attività illecite ovvero che nelle sua casse siano immesse somme di
provenienza illecita; sostiene la difesa che tali prove non sarebbero state assolutamente fornite
dai Giudici di merito che si sarebbero basati esclusivamente su indici di anomalia totalmente
privi di forza probatoria.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Osserva preliminarmente il Collegio che i ricorsi proposti nell’interesse di Gallina Anna
Maria, nella qualità di terza interessata ( nel ricorso presentato congiuntamente a quello del
proposto Giacalone Giovanbattista) dall’avv.to Claudio Gallina Montana e nell’interesse dei terzi
interessati Antonio Giacalone e Vincenzo Giacalone, in proprio e nella qualità di rappresentanti
delle società indicate, nonché di Isabella Anselmo, nel medesimo ricorso dall’avv.to Alberto
Stagno D’Alcontres per l’annullamento della misura ablatoria che colpisce beni formalmente
intestati a terzi interessati devono essere dichiarati inammissibili, in quanto in entrambi i
ricorsi manca la documentazione relativa all’esistenza di una procura speciale rilasciata dai
ricorrenti ai rispettivi difensori, indispensabile per proporre il ricorso in sede di legittimità. Non
appare sufficiente, in particolare, per il ricorso proposta dall’avv.to Alberto Stagno D’Alcontres,
per conto dei terzi interessati Antonio Giacalone e Vincenzo Giacalone, nelle qualità sopra
specificate, nonché di Isabella Anselmo, il riferimento alla elezione di domicilio effettuata dai
predetti presso lo studio del difensore, come da procura rilasciata in calce alla memoria
difensiva del 7 ottobre 2011. Tale riferimento infatti è incompleto, non essendo specificato se,
nel caso di specie, si tratti di procura speciale ai fini del ricorso per cassazione. Il riferimento

applicazione della norma citata. Affinché possa esserci confisca, infatti, è necessario provare

suindicato appare pertanto idoneo a giustificare un mandato alle liti con domiciliazione presso il
difensore , f22:y ma non una procura speciale ai fini del ricorso per cassazione. Il principio è
consolidato in giurisprudenza e ha ricevuto l’avallo delle Sezioni Unite le quali hanno affermato

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che è inammissibile il ricorso per cassazione proposto avverso il decreto che dispone la misura
di prevenzione della confisca dal difensore del terzo interessato non munito di procura speciale,
ex art. 100, cod. proc. pen.; né, in tal caso, può trovare applicazione la disposizione di cui
all’art. 182, comma secondo, cod. proc. civ., per la regolarizzazione del difetto di
rappresentanza. (Sez. U, n. 47239 del 30/10/2014 – dep. 17/11/2014, Borrelli e altro, Rv.
260894). Più in generale è stato ritenuto che ai fini della proposizione del ricorso perj
cassazione avverso le ordinanze in materia di misure cautelari reali, il terzo interessato alla
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restituzione dei beni deve conferire una procura speciale al suo difensore, nelle forme previste
dall’art. 100 cod. proc. pen. (Sez. 2, n. 6611 del 03/12/2013 – dep. 12/02/2014, Poli, Rv.
258580).
Va dunque ribadito che per i soggetti portatori di un interesse meramente civilistico, come è il
caso dei ricorrenti suindicati, vale analogicamente la regola, espressamente menzionata
dall’art. 100 c.p.p. per la parte civile, il responsabile civile e la persona civilmente obbligata per
la pena pecuniaria, secondo cui essi “stanno in giudizio col ministero di un difensore munito di
procura speciale”, al pari di quanto previsto nel processo civile dall’art. 83 c.p.c.; mentre solo

solo necessità di munirsi di difensore che, oltre ad assisterlo, lo rappresenta ex lege e che è
titolare di un diritto di impugnazione in favore dell’assistito per il solo fatto di rivestire la
qualità di difensore, senza alcuna necessità di procura speciale, imposta soltanto per i casi di
atti riservati espressamente dalla legge all’iniziativa personale dell’imputato (v. per simili
concetti Cass., sez. 2^, 21 novembre 2006, Tanda; Cass., sez. 6^, 25 settembre 2007, Puliga;
Id., 18 giugno 2008, Lombardi; Id., 17 febbraio 2009, Pirozzi; Id., 17 settembre 2009, Pace);
valendo la stessa regola per il soggetto assoggettato a misure di prevenzione, estendendosi ad
esso la posizione dell’imputato (v.

L. n. 1423 del 1956, art. 4, u.c.). Invece, il terzo

interessato, quale è il predetto ricorrente, al pari dei soggetti considerati espressamente
dall’art. 100 c.p.p., è portatore di interessi civilistici, sicché anche esso, in conformità a quanto
previsto per il processo civile (art. 83 c.p.c.), non può stare personalmente in giudizio, ma ha
un onere di patrocinio, che è soddisfatto attraverso il conferimento di procura alle liti al
difensore (Cass., Sez. 6, Sentenza n. 13798 del 20/01/2011 Cc. (dep. 07/04/2011 ) Rv.
249873).
1.1. A seguito della documentazione prodotta tempestivamente dall’avv.to Fabrizio Biondo tale
procura speciale risulta essere stata conferita dai terzi interessati Francesco Caggegi e Michele
Caggegi, che pure hanno impugnato il decreto

de quo, per cui l’impugnazione , sotto tale

profilo è ammissibile.
2.

Per quanto riguarda i motivi dedotti dal Giacalone Giovambattista in relazione

l’indagato o imputato, che è assoggettato all’azione penale, sta in giudizio di persona, avendo

all’applicazione della misura di prevenzione personale gli stessi devono ritenersi
manifestamente infondati. La circostanza che lo stesso sia stato ritenuto intraneo ad una
associazione mafiosa con sentenza passata in giudicato giustifica ampiamente la ritenuta
attualità della sua pericolosità sociale, a nulla rilevando che sia venuto meno la qualità di
promotore/organizzatore della stessa. Nel ricorso peraltro non sono dedotti elementi da cui
poter dedurre alcuna rottura con i legami associativi, una desistenza dalla permanenza
dell’affiliazione rilevabile concretamente sotto il profilo temporale, una rivalutazione critica
oggettivamente riscontrabile dei propri comportamenti. Al contrario, sia il Tribunale, per ì
….

quanto emerge dalla ricostruzione processuale effettuata dalla Corte d’appello, che la ste
Corte d’appello hanno evidenziato con argomentazioni dettagliate, assolutamente logiche, e
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linearmente consequenziali, ancorate a fatti oggettivi documentati e ormai incontestabili, la
persistenza della pericolosità del ricorrente (v. da pag. 36 a 41 del provvedimento impugnato)
con il pieno coinvolgimento del Giacalone nelle attività criminose di Cosa Nostra. Di fronte ad
una valutazione così puntuale ed articolata l’assenza di attualità della pericolosità è meramente
affermata senza che sia dedotta alcuna critica specifica al percorso argomentativo dei giudici di
merito. La doglianza deve pertanto ritenersi inammissibile.
3. Anche il secondo motivo relativo alla necessità di retrodatare l’insorgenza della pericolosità

individuati dai giudici di merito e dettagliatamente analizzati. La censura sollevata in questo
grado è stata già sollevata nei gradi di merito e alla stessa , come detti, i giudici di merito
hanno fornito ampia ed articolata risposta (v. per quanto riguarda il provvedimento impugnato
pagg. da 40 a 53). Il ricorso non si confronta, al contrario con tali valutazioni ed elementi
puntualmente riscontrati. Deve rilevarsi , inoltre, che con questo motivo si censura la
valutazione effettuata in ordine ai presupposti applicativi dell’art. 2 ter, I. 575 del 1965,
relativamente alla fittizia intestazione in capo ai familiari di benigl poi sottoposti al
provvedimento ablatorio. L’interposizione, secondo il ricorrente , non sarebbe stata accertata
ma solo presunta. Sotto questo profilo ritiene la Corte che debba trovare applicazione il
consolidato principio giurisprudenziale in base al quale in tema di misure di prevenzione
patrimoniali, è inammissibile, per difetto di interesse, l’impugnazione del proposto avverso il
decreto di confisca di un bene ritenuto fittiziamente intestato a terzi, quando lo stesso abbia
assunto una posizione processuale meramente adesiva a quella di chi è stato giudicato
formalmente interposto, dovendosi in tal caso riconoscere la legittimazione al solo apparente
intestatario, unico soggetto avente diritto all’eventuale restituzione del bene. (Sez. 2, n.
17935 del 10/04/2014 – dep. 29/04/2014, Tassone, Rv. 259258), come è avvenuto nel caso di
specie, dove il ricorrente si è limitato a sostenere che i titolari apparenti dei beni, delle quote
societarie e di tutti gli altri beni corrispondono agli effettivi proprietari d» ,egli stessi. Anche
questo motivo di ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
4. Anche il terzo motivo di ricorso deve ritenersi manifestamente infondato. In questo caso il
ricorrente censura, dopo aver ribadito la doglianza relativa al profilo della retrodatazione della
pericolosità la cui insorgenza è stata individuata dai giudici di merito a partire dal 1991,
l’interpretazione fatta propria dai giudici della prevenzione, e in particolare del Tribunale, che
avrebbero escluso la necessità di qualsivoglia connessione temporale tra l’insorgenza della
pericolosità sociale e cioè l’avvenuta accertata intraneità nell’associazione mafiosa e l’acquisto
dei beni poi oggetto di confisca. Si censura poi l’applicazione retroattiva dell’art. 18 del d.lgs.
n. 159 del 2011, nonostante la dimostrazione della provenienza lecita del patrimonio. A parere
della Corte tale ricostruzione appare assolutamente distonica rispetto alle argomentazioni
logico giuridiche svolte dai giudici di merito, che appaiono, al contrario, assolutamente esenti
da censure. In realtà i giudici di merito hanno dato piena contezza delle ragioni in base alle
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sociale al 2006 è inammissibile per aspecificità rispetto ai dettagliati e specifici riferimenti

quali, dopo aver dimostrato l’insorgenza della pericolosità sociale in capo al proposto in un
periodo collocabile all’inizio degli anni ’90 (v. in particolare pag. 54), hanno fornito elementi
probatori di sicura affidabilità rispetto all’evidente sproporzione tra beni posseduti e redditi
leciti dichiarati, con la conseguente inevitabile riconducibilità degli acquisti dei medesimi a
fonti non lecite di guadagno, tra cui particolare rilevanza assume anche la ricostruzione storica
del patrimonio della famiglia Giacalone, contenuto nel provvedimento impugnato (si veda
l’analitica ricostruzione da pag. 43 a pag. 54). D’altra parte appare consolidato l’orientamento
giurisprudenziale in base al quale in tema di confisca di beni riferibili a un soggetto sottoposto

il concetto di disponibilità indiretta di cui all’art. 2 ter della legge 31 maggio 1965 n. 575 non
può ritenersi limitato alla mera relazione naturalistica o di fatto col bene, ma va esteso, al pari
della nozione civilistica del possesso, a tutte quelle situazioni nelle quali il bene stesso ricada
nella sfera degli interessi economici del prevenuto, ancorché il medesimo eserciti il proprio
potere su di esso per il tramite di altri. (Sez. 1, n. 6613 del 17/01/2008 – dep. 12/02/2008,
Carvelli e altri, Rv. 239359) e , a tal fine, è legittimo valersi di elementi di prova e/o indiziari
tratti da procedimenti penali, benché non ancora conclusi, e, nel caso di processi definiti con
sentenza irrevocabile, anche indipendentemente dalla natura delle statuizioni terminali in
ordine all’accertamento della penale responsabilità dell’imputato, sempre che gli indizi non
abbiano i caratteri della gravità, precisione e concordanza richiesti dall’art. 192 cod. proc. pen.,
e rappresentino comunque elementi certi, dai quali legittimamente desumere l’appartenenza
del soggetto a un’associazione di tipo mafioso e, quindi, la sua pericolosità. (Sez. 1, n. 6613
del 17/01/2008 – dep. 12/02/2008, Carvelli e altri, Rv. 239358), come correttamente è
avvenuto nel caso di specie (si vedano ad esempio le considerazioni di pag. 58 dove si parla di
incontrastato potere decisionale emergente dalle intercettazioni, anche per quelle società dove
il proposto non aveva specifico ruolo socio – amministrativo e poi pagg. 60 e 61).
5. Con il quinto e il sesto motivo si censura la motivazione del provvedimento nella parte in cui
è stata disattesa la conclusione della perizia di parte e la concisione della motivazione rispetto
a passaggi esplicativi della ragione del provvedimento adottato. Rileva la Corte l’aspecificità
delle doglianze sollevate e la conseguente loro inammissibilità rispetto all’articolata
formulazione delle ragioni in base alle quali le motivazioni del ricorrente sono state disattese,
anche sotto il profilo dell’evidenza contabile. (v. pagg. 61 – 63 del provvedimento impugnato).
Alla luce delle suesposte considerazioni il ricorso di Giacalone Giovanbattista deve ritenersi
inammissibile.
6.

Anche il ricorso proposto da Michele Caggegi e Francesco Caggegi è manifestamente

infondato e dunque inammissibile. Nel decreto impugnato risultano affrontate tutte le questioni
dedotte nel ricorso e che peraltro erano già state proposte in appello, con il riferimento
all’accertata provenienza delittuosa dei beni, alla correttezza del provvedimento di confisca,
essendo stato provato che l’imprese hanno esercitato attività illecite e che, comunque, nelle
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a misure di prevenzione quale sospettato di appartenenza ad associazione di stampo mafioso,

loro casse siano state immesse somme di provenienza illecita. La ricostruzione, anche sotto il
profilo normativo, effettuata dai giudici di secondo grado è analitica (v. pagg. 67 – 70 del
provvedimento impugnato), e giustifica ampiamente il provvedimento adottato. La
ricostruzione dei fatti operata dai giudici di merito è ampiamente dettagliata e il ricorso non
provvede minimamente ad offrire una lettura critica di tali elementi, confrontandosi
specificamente con i dati evidenziati (v. pagg. 70, 71, 72). Peraltro, ritiene il collegio che nel
ricorso per cassazione contro il provvedimento di appello non può essere riproposta – ferma
restando la sua deducibilità o rilevabilità “ex officio” in ogni stato e grado del procedimento –

già pronunciata in maniera esaustiva, senza errori logico – giuridici, come è avvenuto nel caso
di specie. Ne deriva, in ipotesi di riproposizione di una delle dette questioni con ricorso per
cassazione, che la impugnazione deve essere dichiarata inammissibile a norma dell’art. 606,
terzo comma, ultima parte, cod. proc. pen.”. ( Cass. pen., sez 6, 25.1.94, Paolicelli, 197748).
6.1 Il ricorso è inoltre privo della specificità, prescritta dall’art. 581, lett. c), in relazione all’art
591 lett. c) c.p.p., a fronte delle motivazioni svolte dal giudice d’appello, che non risultano
viziate da illogicità. Questa corte ha stabilito che “La mancanza nell’atto di impugnazione
dei requisiti prescritti dall’art. 581 cod. proc. pen. – compreso quello della specificità dei
motivi- rende l’atto medesimo inidoneo ad introdurre il nuovo grado di giudizio ed a
produrre, quindi, quegli effetti cui si ricollega la possibilità di emettere una pronuncia
diversa dalla dichiarazione di inammissibilità” (Cass. pen., sez 1, 22.4.97, Pace, 207648).
7. Alla luce delle suesposte considerazioni va dichiarata, pertanto l’inammissibilità di tutti i
ricorsi cui consegue, per il disposto dell’art. 616 c.p.p., la condanna dei ricorrenti al pagamento
delle spese processuali nonché di ciascuno al versamento, in favore della Cassa delle
ammende, di una somma che, considerati i profili di colpa emergenti dai ricorsi, si determina
equitativamente in Euro 1000;
PQM
dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e,
ciascuno al versamento della somma di Euro 1000 in favore della Cassa delle
ammende.
Roma, 18 giugno 2015
nsigliere estensore
anni Diotallevi

Il Presidente
Franco Fiadanese

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Q,72 ouu-e(2-1

una questione che aveva formato oggetto di uno dei motivi di appello sui quali la Corte si è

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