Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 35793 del 18/06/2013


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 35793 Anno 2013
Presidente: FIANDANESE FRANCO
Relatore: IASILLO ADRIANO

SENTENZA
Sul ricorso proposto da Squitieri Anna (n. il 10/04/1939), avverso la sentenza
della Corte di appello di Bari, Il Sezione penale, in data 27/02/2012.
Sentita la relazione della causa fatta, in pubblica udienza, dal Consigliere
Adriano lasillo.
Udita la requisitoria del Sostituto Procuratore Generale, dottor Francesco
Salzano, il quale ha concluso chiedendo l’annullamento senza rinvio per
essere il reato estinto per prescrizione.
Udito l’Avvocato Andrea Martire — difensore di Squitieri Anna — il quale ha
concluso associandosi alla richiesta del Sostituto Procuratore Generale.

Data Udienza: 18/06/2013

OSSERVA:

Con sentenza del 09/12/2004, il Tribunale di Foggia — Sezione
distaccata di San Severo – dichiarò Squitieri Anna responsabile del reato di
ricettazione e — concesse le attenuanti generiche — la condannò alla pena di
anni 1 e mesi 4 di reclusione ed € 413,00 di multa.

appello di Bari, con sentenza del 27/02/2012, confermò la decisione di primo
grado.
Ricorre per cassazione l’imputata deducendo la mancanza, la
manifesta illogicità e contraddittorietà della motivazione in ordine sia al rigetto
della richiesta di rinnovazione dell’istruzione dibattimentale sia alla sua
ritenuta responsabilità.
La ricorrente conclude, pertanto, per l’annullamento dell’impugnata
sentenza.

motivi della decisione

Il ricorso è inammissibile per violazione dell’art. 606, comma 1, cod.
proc. pen., perché propone censure attinenti al merito della decisione
impugnata, congruamente giustificata.
Infatti, nel momento del controllo di legittimità, la Corte di cassazione
non deve stabilire se la decisione di merito proponga effettivamente la
migliore possibile ricostruzione dei fatti né deve condividerne la
giustificazione, ma deve limitarsi a verificare se questa giustificazione sia —
come nel caso di specie – compatibile con il senso comune e con “i limiti di
una plausibile opinabilità di apprezzamento”, secondo una formula
giurisprudenziale ricorrente (Cass. Sez. 4^ sent. n. 47891 del 28.09.2004
dep. 10.12.2004 rv 230568; Cass. Sez. 5^ sent. n. 1004 del 30.11.1999 dep.
31.1.2000 rv 215745; Cass., Sez. 2^ sent. n. 2436 del 21.12.1993 dep.
25.2.1994, rv 196955).
Inoltre il ricorso è inammissibile anche per violazione dell’art. 591 lettera
c) in relazione all’art. 581 lettera c) cod. proc. pen., perché le doglianze sono
prive del necessario contenuto di critica specifica al provvedimento

Avverso tale pronunzia l’imputata propose gravame ma la Corte di

impugnato, le cui valutazioni, ancorate a precisi dati fattuali trascurati nell’atto
di impugnazione, si palesano, peraltro, immuni da vizi logici o giuridici. Infatti,
il Giudice di merito ha con esaustiva, logica e non contraddittoria motivazione
— richiamando anche la condivisa sentenza di primo grado – evidenziato tutte
le ragioni per le quali ritiene provata la penale responsabilità dell’imputata
(dichiarazioni della P.O. Scapola Michele che riconobbe il c.d. “cannone” per

dichiarazione del teste Racioppo Nicola che ha confermato di aver eseguito,
per conto solo dello Scapola, l’allungamento del cannone e la saldatura con
apposizione di numerazione inversa — cosi come riscontrato dalla P.G.
essere sul “cannone” sequestrato nei campi dell’imputata – così come,
d’altronde riferito dalla P.O.; dichiarazione dell’agente della P. di S che
riferisce la dettagliata descrizione — anche delle modifiche effettuate —
dell’attrezzo da parte della P.O.; dichiarazioni degli altri testi; accertamenti
della P.G.; documentazione acquisita; si vedano le pagine da 2 a 7 della
sentenza di primo grado e pagine 1 e 2 dell’impugnata sentenza). Il Giudice
di merito ha, poi, con esaustiva, logica e non contraddittoria motivazione
evidenziato tutte le ragioni per le quali esclude la buona fede dell’imputata
con ragionamento logico che si fonda anche su quanto riferito dai testi e dalla
stessa Squitieri. Appare allora opportuno ricordare che in tema di
ricettazione, la consapevolezza da parte dell’agente della provenienza
delittuosa della cosa può desumersi da qualunque elemento di fatto
giuridicamente apprezzabile che, in base alle regole della comune
esperienza, costituisca il segno di una precedente sottrazione illecita del
bene. (Sez. 2, Sentenza n. 13502 del 13/03/2008 Cc. – dep. 31/03/2008 – Rv.
239761; Sez. 1, Sentenza n. 13599 del 13/03/2012 Ud. – dep. 12/04/2012 Rv. 252285). Inoltre, che ai fini della configurabilità del reato di ricettazione,
la prova dell’elemento soggettivo può essere raggiunta anche sulla base
dell’omessa – o non attendibile – indicazione della provenienza della cosa
ricevuta, la quale è sicuramente rivelatrice della volontà di occultamento,
logicamente spiegabile con un acquisto in mala fede (Sez. 2, Sentenza n.
2436 del 27/02/1997 Ud. – dep. 13/03/1997 – Rv. 207313; Sez. 2,
Sentenza n. 16949 del 27/02/2003 Ud. – dep. 10/04/2003 – Rv. 224634). Si
deve, ancora, evidenziare che dagli atti emerge con chiarezza che l’imputata

irrigazione dei campi anche per dei particolari segni caratteristici;

era colei che gestiva l’azienda; infatti: è la Squitieri Anna che arriva subito sul
posto dove la P.O. ha rinvenuto il “cannone” e subito ne rivendica l’acquisto
(anche se poi non produce alcun documento attestante l’acquisto e
soprattutto l’acquisto proprio di quel cannone per l’irrigazione; si veda pagina
2 sentenza primo grado); è la Squitieri Anna che effettua gli acquisti di
materiale per i lavori dei campi (si veda pagina 3 sentenza primo grado)

sentenza primo grado) che ella stessa conduce (si vedano pagine 3, 4 e 5).
Infine, si deve sottolineare che la Corte di appello ha, anche, affrontato tutte
le censure (che, comunque, erano state già esaminate correttamente dal
Tribunale) riproposte con l’impugnazione (si veda, ad esempio, pagina 2
dell’impugnata sentenza dove si espone il perché non sia rilevante la
modalità di rinvenimento del “cannone” da parte della P.O. e il fatto che
questi non abbia potuto provare documentalmente l’acquisto dello stesso
“cannone”).
Infine, la Corte di appello spiega correttamente perché rigetta la
richiesta di rinnovazione dell’istruzione dibattimentale per acquisire una
targhetta identificativa ed una fattura relativa all’acquisto di un “cannone”da
parte dell’imputata. Infatti, a pagina 2 evidenzia che la targhetta identificativa
— della quale ogni “cannone” per irrigazione è dotato — e sulla quale ha svolto
indagini il Kilo dei Carabinieri, non era posta sul cannone rinvenuto dalla
P.O. e riconosciuto dalla stessa P.O. come proprio (a pagina 2 della
sentenza di primo grado si evidenzia che lo Scapola notò subito che sul
cannone riconosciuto come suo era stata rimossa la targhetta identificativa
della quale era dotato il suo cannone); rileva, inoltre, come dagli
accertamenti svolti e dagli altri elementi probatori raccolti emerga che vi
fossero due diversi “cannoni”: uno, quello al quale si riferisce la predetta
targhetta, acquistato dall’imputata da tale Letizia (e sul quale non risultano
mai essere stati effettuati i lavori fatti eseguire, invece, sul suo cannone dalla
P.O.) e l’altro rinvenuto sul fondo dell’imputata privo di targhetta identificativa
di proprietà della Persona offesa Scapola. In base a quanto sopra la Corte di
appello ha affermato che l’acquisizione della targhetta e della relativa fattura
di acquisto del “cannone” non ha alcuna rilevanza probatoria. In ogni caso
appare opportuno ricordare che in relazione alla rinnovazione dell’istruzione

Q

stipula i contratti di affitto o di acquisto dei terreni (si vedano pagina 4 e 5

dibattimentale questa Suprema Corte ha più volte affermato il principio —
condiviso dal Collegio – che atteso il carattere eccezionale della rinnovazione
dell’istruzione dibattimentale in appello, il mancato accoglimento della
richiesta volta ad ottenere detta rinnovazione in tanto può essere censurato
in sede di legittimità in quanto risulti dimostrata, indipendentemente
dall’esistenza o meno di una specifica motivazione sul punto nella decisione

l’erroneità di quanto esplicitamente o implicitamente ritenuto dal giudice di
merito circa la possibilità di “decidere allo stato degli atti”, come previsto
dall’art. 603, comma 1, del codice di procedura penale. Ciò significa che
deve dimostrarsi l’esistenza, nell’apparato motivazionale posto a base della
decisione impugnata, di lacune o manifeste illogicità, ricavabili dal testo del
medesimo provvedimento o da altri atti specificamente indicati (come
previsto dall’art. 606, comma 1, lett. E, c.p.p.) e concernenti punti di decisiva
rilevanza, le quali sarebbero state presumibilmente evitate qualora fosse
stato provveduto, come richiesto, all’assunzione o alla riassunzione di
determinate prove in sede di appello. (Si vedano: Sez. 1, Sentenza n. 9151
del 28/06/1999 Ud. – dep. 16/07/1999 – Rv. 213923; Sez. 5, Sentenza n.
12443 del 20/01/2005 Ud. – dep. 04/04/2005 – Rv. 231682). Invece, come
già detto, l’imputata si è limitata a generiche contestazioni a quanto rilevato
dalla Corte territoriale. In particolare non ha tenuto conto degli argomenti sopra sinteticamente ricordati — sulla base dei quali il Giudice di merito ha
ritenuto irrilevante dal punto di vista probatorio l’acquisizione di quanto
chiesto dal difensore dell’imputata. Quanto sopra evidenzia, ulteriormente,
l’inammissibilità del ricorso, sul punto, trattandosi, con evidenza, di giudizio di
merito sottratto all’esame di questa Corte di legittimità se ben sorretto —
come è nel nostro caso — da un’adeguata motivazione. Appare quindi
evidente che tutte le critiche della ricorrente finiscono per porsi come
valutazioni di merito e, come tali, non esaminabili in questa sede. Questa
Corte ha, infatti, più volte affermato, anche a Sezioni Unite, che l’indagine di
legittimità sul discorso giustificativo della decisione ha un orizzonte
circoscritto, dovendo il sindacato demandato alla corte di Cassazione essere
limitato – per espressa volontà del legislatore – a riscontrare l’esistenza di un
logico apparato argomentativo sui vari punti della decisione impugnata,

impugnata, la oggettiva necessità dell’adempimento in questione e, quindi,

senza possibilità di verificare l’adeguatezza delle argomentazioni di cui il
Giudice di merito si è avvalso per sostanziare il suo convincimento, o la loro
rispondenza alle acquisizioni processuali. Esula, infatti, dai poteri della Corte
di Cassazione quello di una “rilettura” degli elementi di fatto posti a
fondamento della decisione, la cui valutazione è, in via esclusiva, riservata al
Giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera

delle risultanze processuali. (Sez. U, Sentenza n. 2110 del 23/11/1995 Ud. dep. 23/02/1996 – Rv. 203767; Sez. U, Sentenza n. 16 del 19/06/1996 Cc. dep. 22/10/1996 Rv. 205621; Sez. U, Sentenza n. 6402 del 30/04/1997 Ud. dep. 02/07/1997 – Rv. 207945; Sez. 1, Sentenza n. 2884 del 20/01/2000 Ud.
– dep. 09/03/2000 – Rv. 215504; Sez. 1, Sentenza n. 8738 del 23/01/2003
Ud. – dep. 21/02/2003 – Rv. 223572).
A ciò si aggiunga che l’imputata contrappone, come già rilevato, solo
generiche contestazioni in fatto, che non tengono conto delle argomentazioni
della Corte di appello. In particolare non evidenzia alcuna illogicità o
contraddizione nella motivazione della Corte territoriale allorchè conferma la
decisione del Tribunale. In proposito questa Corte Suprema ha più volte
affermato il principio, condiviso dal Collegio, che sono inammissibili i motivi di
ricorso per Cassazione quando manchi l’indicazione della correlazione tra le
ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento
dell’atto di impugnazione, che non può ignorare le affermazioni del
provvedimento censurato, senza cadere nel vizio di aspecificità, che
conduce, ex art. 591, comma primo, lett. c), cod. proc. pen. all’inammissibilità
del ricorso (Si veda fra le tante: Sez. 1, sent. n. 39598 del 30.9.2004 dep. 11.10.2004 – rv 230634). Infine, si deve osservare che l’illogicità della
motivazione, come vizio denunciabile, deve essere percepibile ictu oculi,
dovendo il sindacato di legittimità essere limitato a rilievi di macroscopica
evidenza, restando ininfluenti le minime incongruenze (che tra l’altro nel caso
di specie non si ravvisano).
Le richieste — del P.G. e del difensore dell’imputata all’odierna udienza di applicazione della prescrizione sono manifestamente infondate in quanto,
nel caso di specie, si applica la vecchia legge sulla prescrizione (infatti la
sentenza di primo grado è stata emessa in data 09/12/2004 e quindi il

prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione

giudizio era già pendente in appello quando è entrata in vigore la nuova
legge sulla prescrizione). Quindi il reato si prescrive in 15 anni e pertanto senza contare eventuali sospensioni – il 20.04.2012. E’ appena il caso di
rilevare che è, comunque, giurisprudenza consolidata di questa Suprema
Corte che l’inammissibilità del ricorso per cassazione, dovuta alla manifesta
infondatezza dei motivi, non consente il formarsi di un valido rapporto di

cause di non punibilità a norma dell’art. 129 cod. proc. pen. – nella specie la
prescrizione del reato — maturata successivamente alla sentenza impugnata
con il ricorso, sentenza che è del 27.02.2012 (Sez. 4, Sentenza n. 18641 del
20/01/2004 Ud. – dep. 22/04/2004 – Rv. 228349).
Ai sensi dell’articolo 616 cod. proc. pen., con il provvedimento che
dichiara inammissibile il ricorso, l’imputata che lo ha proposto deve essere
condannata al pagamento delle spese del procedimento, nonché —
ravvisandosi profili di colpa nella determinazione delle causa di
inammissibilità — al pagamento a favore della Cassa delle ammende della
somma di mille euro, così equitativamente fissata in ragione dei motivi
dedotti.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di euro mille alla Cassa delle ammende.

Così deliberato in camera di consiglio, il 18/06/2013.

Il Consigliere estensore
Dottor Adriano ‘asino

Il Presidente
D ttor Franco Fiandanese

impugnazione e preclude, perciò, la possibilità di rilevare e dichiarare le

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