Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 35775 del 20/08/2015


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Penale Sent. Sez. F Num. 35775 Anno 2015
Presidente: FIANDANESE FRANCO
Relatore: CAPUTO ANGELO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
FULVI ERMANNO N. IL 06/06/1978
SGUAZZA ALTERO N. IL 27/09/1931
CASTRATORI MIMMO N. IL 27/08/1931
FULVI CARLO FELICE N. IL 01/06/1945
avverso la sentenza n. 1436/2013 CORTE APPELLO di ANCONA, del
20/01/2015
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 20/08/2015 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. ANGELO CAPUTO
Udito
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Data Udienza: 20/08/2015

Udito il Sostituto Procuratore generale della Repubblica presso questa Corte
di cassazione dott.ssa P. Filippi, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.
Uditi altresì, per la parte civile, l’avv. M.R. Mazzi, che ha concluso la conferma
della sentenza impugnata, depositando conclusioni e nota spese, e, per i
ricorrenti, l’avv. E. Luponio, in sostituzione dell’avv. R. Brunelli, che ha concluso
per l’accoglimento del ricorso.

1. Con sentenza deliberata in data 20/01/2015, la Corte di appello di Ancona
– rideterminata in me/ius la pena irrogata – ha confermato la sentenza del
20/01/2013 con la quale il Tribunale di Pesaro aveva dichiarato Fulvi Ermanno,
Sguazza Altero, Castratori Mimmo e Fulvi Carlo Felice colpevoli dei reati di
violazione di domicilio e di interferenze illecite nella vita privata in danno di
Kuhlenberg Hildergard Lena.

2. Avverso l’indicata sentenza della Corte di appello di Ancona hanno
proposto ricorso per cassazione Fulvi Ermanno, Sguazza Altero, Castratori
Mimmo e Fulvi Carlo Felice, con un unico atto e attraverso il difensore avv. R.
Brunelli, articolando tre motivi di seguito enunciati nei limiti di cui all’art. 173,
comma 1, disp. att. cod. proc. pen.
Il primo motivo denuncia vizi di motivazione ed erronea applicazione dell’art.
614 cod. pen. Erroneamente la sentenza impugnata ha affermato che non rileva,
ai fini della configurabilità del reato di violazione di domicilio, stabilire se la
persona offesa avesse o meno titolo per impedire il passaggio di terzi attraverso
la strada chiusa dalla stessa con una sbarra: la sentenza civile e la
documentazione comunale prodotte attestano la sussistenza di una servitù d’uso
pubblico sulla strada percorsa dagli imputati, che hanno quindi esercitato il
diritto di transito su una via ad uso pubblico rispetto alla quale la querelante non
era titolare dello ius excludendi alios,

non rilevando il diritto di proprietà

sull’immobile all’interno del quale si trova la strada.
Il secondo motivo denuncia inosservanza o erronea applicazione degli artt.
614 e 47, terzo comma, cod. pen. Gli imputati hanno agito per documentare
l’abusiva preclusione della strada di passaggio, il che li ha portati ad ignorare gli
avvertimenti della proprietaria, non riconoscendosi l'”altruità” della cosa e la
titolarità in capo alla persona offesa dello ius excludendi alios, né rilevando che
essi abbiano raggiunto l’area immediatamente antistante l’edificio abitativo, in
quanto la strada si addentra nel fondo di proprietà della persona offesa, fino a
lambirne l’abitazione. Erroneamente la Corte di appello ha escluso l’applicabilità
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RITENUTO IN FATTO

dell’art. 47, terzo comma, cod. pen., in quanto l’errore sul significato giuridico da
attribuire agli elementi normativi qualificati dalla norma extrapenale è in grado di
determinare una situazione psicologica equivalente a quella originata dalla falsa
rappresentazione di un dato materiale: gli imputati erano convinti (sulla base
,
della delibera comunale, delle rassicurazioni di alcuni legale e del costante uso
pubblico confermato da tutti i testimoni) che la strada fosse di uso pubblico e
non una pertinenza dell’abitazione, versando comunque – anche a voler
escludere l’applicabilità dell’art. 47, terzo comma, cod. pen. – in un errore

Il terzo motivo denuncia erronea applicazione dell’art. 615

bis cod. pen.

Anche per la configurabilità del reato di interferenze illecite nella vita privata è
necessario che il soggetto si rappresenti e voglia procacciarsi indebitamente
notizie concernenti la vita privata altrui, laddove nel caso di specie l’unico fine
perseguito dagli imputati era quello di documentare l’abusiva recinzione di una
“pubblica” via. L’indiscriminata esposizione alla vista altrui di un’area costituente
pertinenza domiciliare non deputata a manifestazione di vita privata esclusiva
risulta incompatibile con la tutela penale della riservatezza.

3. Con memoria in data 11/08/2015, l’avv. M. R. Mazzi, nell’interesse della
parte civile Kuhlenberg Hildergard Lena, ha chiesto il rigetto del ricorso e la
rifusione delle spese sostenute nel grado: il primo motivo è inammissibile,
deducendo il vizio di travisamento in presenza di una “doppia conforme”, e
comunque infondato, posto che i giudici di merito, sulla base delle risultanze
acquisite, hanno accertato la sussistenza del reato di violazione di domicilio,
laddove la sentenza civile non è ancora passata in giudicato (e comunque si
limita ad affermare la sussistenza di una servitù di uso pubblico su una sola
particella che non continua nella proprietà della querelante) e la documentazione
comunale non attesta alcuna servitù; il secondo motivo è inammissibile in
presenza di una “doppia conforme” e comunque infondato, avendo la sentenza
impugnata correttamente negato che l’errore sulla legge civile escluda la
punibilità e quindi il dolo e non ricorrendo alcuna violazione dell’art. 5 cod. pen.,
mentre del tutto infondata è la circostanza che gli imputati siano rimasti sempre
sul tracciato dell’ipotetica strada; il terzo motivo è inammissibile, sollecitando
una rilettura dei fatti e il sostanziale riesame del merito, e comunque infondato,
avendo correttamente ritenuto la sentenza impugnata che gli imputati si sono
procurati immagini di luoghi privati sottratti ad ingerenze esterne con la sbarra e
la recinzione.

CONSIDERATO IN DIRITTO

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scusabile a norma dell’art. 5 cod. pen.

Il ricorso deve essere accolto, nei termini di seguito indicati.
La sentenza impugnata muove dal rilievo dell’irrilevanza della questione
della sussistenza o meno, in favore della persona offesa, di un titolo per impedire
il passaggio ai terzi sulla strada, in quanto, essendo indiscussa la proprietà della
strada in capo alla stessa, gli imputati si rappresentarono con chiarezza e senza
alcun errore sul concetto di “altruità” richiamato dall’art. 614 cod. pen. che
Kuhlenberg era diventata proprietaria dell’immobile all’interno del quale si

L’assunto della Corte di merito non può essere condiviso. Se, infatti, come
più volte ribadito dalla giurisprudenza di questa Corte, il soggetto passivo del
reato di violazione di domicilio va individuato in chi ha la titolarità del diritto di
vietare a terzi l’ingresso o la permanenza in uno dei luoghi presi in
considerazione dall’art. 614, comma primo, cod. pen. (Sez. 5, n. 47500 del
21/09/2012 – dep. 06/12/2012, Catania, Rv. 254518), l’accertamento in ordine
alla sussistenza, in capo alla querelante, della titolarità dello ius excludendi alios
non può essere ritenuto irrilevante in considerazione del diritto di proprietà
pacificamente acquisito da Kuhlenberg: l’eventuale riconoscimento della
sussistenza del diritto di servitù di uso pubblico rivendicato dai ricorrenti – sulla
base di documentazione pubblica (l’atto di cessione con l’impegno della
cessionaria di lasciare inalterata la viabilità), di testimonianze e della sentenza
civile di primo grado che detta servitù avrebbe riconosciuto – escluderebbe
l’attribuzione alla querelante della titolarità del diritto di vietare a terzi l’ingresso
o la permanenza. Si tratta, dunque, di una verifica essenziale ai fini
dell’accertamento dell’elemento oggettivo di reato, verifica destinata, peraltro, a
riflettersi anche sul giudizio in ordine alla sussistenza dell’elemento psicologico,
posto che il dolo nel delitto di violazione di domicilio consiste nella volontà
dell’agente di introdursi nei luoghi in questione contro la volontà di chi ha diritto
di escluderlo (Sez. 5, n. 6419 del 05/04/1974 – dep. 03/10/1974, Barone, Rv.
128060). Solo all’esito dell’indicato accertamento circa la sussistenza del diritto
di servitù di uso pubblico sulla strada in questione (e sulla base delle conclusioni
raggiunte sul punto), potrà essere compiutamente ricostruito il fatto ascritto agli
imputati e, dunque, per un verso, potrà essere puntualmente definita la zona
interessata dall’eventuale servitù e, per altro verso, potrà essere delineata la
condotta posta in essere in rapporto alle aree risultanti o meno riconducibili ad
uno ius exdudendi alios della querelante. Di conseguenza, è fondato, nei termini
indicati, il primo motivo, sicché, assorbito il secondo, la sentenza impugnata
deve essere annullata con riguardo al reato di cui all’art. 614 cod. pen.

trovava la strada interrotta dalla querelante con una sbarra.

Il medesimo esito si impone anche con riguardo al reato di interferenze
illecite nella vita privata. Sul punto, la Corte di merito ha osservato che gli
imputati si sono procurati immagini fotografiche di luoghi privati sottratti ad
ingerenze esterne con la recinzione e con la sbarra apposta a chiusura della
strada, luoghi non liberamente visibili dall’esterno se non oltrepassando detti
presìdi: l’argomentare della sentenza impugnata, dunque, valorizza la non
accessibilità dei luoghi ripresi, connotato, questo, che, a sua volta, fa leva sul
presupposto già richiamato a proposito dell’imputazione di violazione di

in capo alla querelante, dello ius excludendi alios in relazione alla strada che
attraverso la proprietà della querelante. La già rilevata erroneità del presupposto
indicato inficia la motivazione della sentenza impugnata anche con riferimento al
reato di cui all’art. 615 bis cod. pen., che, come affermato dalla giurisprudenza
di questa Corte, punisce le intrusioni nel domicilio altrui, realizzate all’insaputa o
contro la volontà di chi ha lo ius excludendi (Sez. 5, n. 10444, del 05/12/2005 dep. 27/03/2006, Teli), laddove la tutela penalistica apprestata dalla norma
incriminatrice non si estende alle immagini riprese in luoghi destinati all’uso di
un numero indeterminato di soggetti (Sez. 5, n. 44701 del 29/10/2008 – dep.
01/12/2008, P.M. in proc. Caruso).
Pertanto, la sentenza impugnata deve essere annullata con rinvio per nuovo
esame alla competente Corte di appello di Perugia, mentre la liquidazione delle
spese sostenute dalla parte civile nel presente grado è riservata al definitivo.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata con rinvio alla Corte di appello di Perugia.
Spese dell’azione civile al definitivo.
Così deciso il 20/08/2015.

domicilio, ossia la ritenuta irrilevanza dell’accertamento concernente la titolarità,

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