Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 35773 del 05/07/2013


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 35773 Anno 2013
Presidente: ZAMPETTI UMBERTO
Relatore: CAPOZZI RAFFAELE

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
RICCARDI RICCARDO ROLANDO N. IL 19/11/1970
avverso l’ordinanza n. 11/2013 TRIB. LIBERTA’ di VARESE, del
26/02/2013
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. RAFFAELE CAPOZZI;
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‘lette/sentite le conclusioni del PG Dott.
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Data Udienza: 05/07/2013

N.10862/13-RUOLO N. 23 C.C.P.(2285)

RITENUTO IN FATTO

1.Con ordinanza del 26 febbraio 2012 il Tribunale del riesame di Varese, adito ai
sensi dell’art. 318 cod. proc. pen., in parziale riforma dell’ordinanza emessa dal
G.I.P in sede il 22 marzo 2012, ha ridotto l’importo fino al quale autorizzare il
sequestro conservativo dei beni mobili ed immobili intestati, anche pro quota, a
RICCARDI Riccardo Rolando, imputato, in concorso con altri, del delitto di

nel 2007, disponendo che lo stesso avesse luogo fino a concorrenza di C
350.000,00.
2.11 Tribunale ha ritenuto legittimo il sequestro conservativo penale come sopra
disposto, avendo rilevato sia la sussistenza del c.d. “fumus commissi delicti”, sia
la sussistenza del pericolo concreto di dispersione delle garanzie patrimoniali per
i creditori della fallita s.r.l. “BET ITALIA”.
Quanto alla sussistenza del c.d. “fumus commissi delicti”, ha rilevato come
l’imputato, quale legale di fiducia di un socio della fallita società, si fosse avvalso
di una procura generale, rilasciatagli il 18 marzo 2003 dalla società poi fallita,
per far luogo ad una liquidazione della società, sostituendosi agli organi sociali a
ciò preposti ex lege; inoltre i fondi recuperati attraverso la riscossione dei crediti
vantati erano stati trasferiti su di un conto intestato solo a lui, senza fornire
alcun chiarimento in ordine all’attività di recupero complessivamente prestata,
atteso che né il liquidatore della società, né, successivamente, il curatore del
fallimento della s.r.l. “BET ITALIA” avevano avuto accesso a detto conto corrente,
sul quale erano confluiti i crediti sociali incassati dall’imputato sulla base di un
concordato stragiudiziale non accettato dai creditori, che comportava uno sconto
pari al 60% del valore dei crediti.
Erano state riscontrate numerose fatture relative a transazione ritenute fittizie ed
anche le scritture contabili non erano state ritenute attendibili, non essendo stato
reperito il libro giornale per il periodo febbraio-dicembre 2004, nè il registro dei
beni ammortizzabili per gli anni 2004-2005-2006.
Quanto poi al pericolo di dispersione delle garanzie patrimoniali, il Tribunale ne
ha rilevato la sussistenza, avendo la società dichiarata fallita continuato l’attività
commerciale per il tramite di altre società all’uopo costituite, alle quali erano
stati trasferiti l’avviamento ed i beni aziendali, in tal modo ostacolando la
soddisfazione dei crediti vantati dal fallimento; inoltre il patrimonio dell’imputato
non era idoneo a garantire le ragioni creditorie del fallimento, tranne che i fondi
custoditi su di un conto corrente di cui l’imputato era titolare presso la filiale di
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bancarotta fraudolenta, relativa al fallimento della s.r.l. “BET ITALIA” dichiarato

Varese della banca Unicredit; il che aveva reso necessaria l’adozione della misura
cautelare impugnata.

3.Avverso detto provvedimento del Tribunale del riesame di Varese propone
personalmente ricorso per cassazione RICCARDI Riccardo Rolando deducendo:
I)-inosservanza ed erronea applicazione della legge penale, in quanto la Corte di
Cassazione con sentenza depositata il 1 febbraio 2013 aveva annullato la
precedente ordinanza emessa dal Tribunale del riesame di Varese, disponendo il

sull’incidente cautelare da lui promosso; ed il Tribunale di Varese in sede di
rinvio era stato composto da un giudice (dott.ssa Anna GIORGETTI), che aveva
fatto parte anche del precedente collegio, che aveva emesso l’ordinanza poi
annullata dalla Cassazione.
Si era in tal modo violato l’art. 627 comma 1 cod. proc. pen., in quanto non
poteva più formare oggetto di discussione l’individuazione del giudice di rinvio,
che la Cassazione aveva concretamente operato e che avrebbe dovuto essere in
diversa composizione;
II)-inosservanza ed erronea applicazione di legge, circa la sussistenza del c.d.
“fumus commissi delicti”, in quanto esso era stato individuato sulla base di una
lettura chiaramente superficiale degli atti di indagine e senza aver valutato le sue
specifiche deduzioni difensive.
Invero la decisione del Tribunale era collegata ad una verifica meramente
astratta dell’ipotesi accusatoria, non essendosi tenuto conto che egli aveva agito
anche a seguito di procura speciale rilasciatagli proprio dalla liquidatrice della
società poi fallita e che le somme da lui riscosse erano affluite su di un conto
corrente da lui aperto nella sua veste di procuratore della società poi fallita; non
era poi suo compito tenere le scritture contabili della società ed il numero
consistente di fatture relative a transazioni da ritenere fittizie erano relative ad
un periodo anteriore a quello in cui aveva svolto attività professionale in favore
della società anzidetta;
III)-inosservanza ed erronea applicazione di legge, con riferimento alla
sussistenza del c.d. “fumus commissi delicti”, avendo il giudice del riesame
effettuato una valutazione superficiale degli elementi a suo carico, con
motivazione assolutamente inadeguata, che non aveva tenuto conto delle
analitiche deduzioni difensive da lui sottoposte al Tribunale anche con memorie
difensive;
IV)-inosservanza ed erronea applicazione di legge circa la sussistenza del
periculum in mora, in quanto occorreva verificare l’effettiva sussistenza del
presupposto di cui all’art. 316 comma 2 cod. proc. pen., non essendo stati
2

rinvio al medesimo Tribunale in diversa composizione affinché decidesse

evidenziati i comportamenti di rischio di dispersione delle garanzie civili nascenti
da reato; d’altra parte il periculum in mora non poteva essere ricondotto alla
mera descrizione della condotta descritta dal P.M.;
V)-inosservanza ed erronea applicazione di legge circa la sussistenza del
periculum in mora, non avendo il Tribunale neppure indirettamente esplicitato gli
elementi in forza dei quali sussisteva il pericolo di dispersione del patrimonio
della società fallita ed essendosi esso limitato a richiamare il capo d’imputazione

CONSIDERATO IN DIRITTO

1.E’ infondato il primo motivo di ricorso, con il quale il ricorrente ipotizza
violazione art. 627 comma 1 cod. proc. pen., in quanto il Tribunale del riesame
di Varese in sede di rinvio avrebbe avuto fra i componenti del collegio un
magistrato, che aveva fatto parte di quello precedente, che aveva emesso
l’ordinanza poi annullata dalla Corte di Cassazione, sebbene tale ultima Corte
avesse disposto il rinvio degli atti al Tribunale di Varese in diversa composizione.

2.Non si ravvisa nella specie alcuna violazione dell’art. 627 comma 1 cod. proc.
pen., secondo il quale nel giudizio di rinvio non è ammessa discussione sulla
competenza attribuita dalla Corte di Cassazione con la sentenza di annullamento,
atteso che la composizione del Tribunale di Varese in sede di rinvio può ben
essere qualificata come diversa, rispetto a quella che aveva adottato il
provvedimento annullato, annoverando il relativo collegio due diversi componenti
su tre.

3.La questione sollevata dal ricorrente (presenza nel collegio giudicante in sede
di rinvio di un magistrato che aveva partecipato al collegio che aveva adottato il
provvedimento annullato) va peraltro più esattamente inquadrata nell’ambito
dell’incompatibilità di cui all’art. 34 comma 1 cod. proc. pen.; ed è noto che essa
non attiene alla capacità del giudice, intesa quale capacità ad esercitare le
funzioni giudiziarie, l’unica idonea a far luogo alla nullità assoluta, di cui all’art.
178 lettera a) cod. proc. pen.
Invero il difetto di capacità del giudice va inteso come mancanza dei requisiti
occorrenti per l’esercizio stesso delle funzioni giurisdizionali e non anche con
riferimento al difetto delle condizioni specifiche per esercitare dette funzioni, di
cui egli è in possesso, in un determinato procedimento.
Dal che consegue che, non incidendo sui requisiti della capacità, l’eventuale
incompatibilità del giudice ex art. 34 cod. proc. pen. non determina la nullità del
provvedimento ex artt. 178 e 179 cod. proc. pen., ma costituisce solo motivo di
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redatto dal P.M.

possibile astensione, ovvero di ricusazione dello stesso giudice, da far
tempestivamente valere con la procedura di cui agli artt. 37 e segg. cod. proc.
pen.; il che nella specie non risulta essere avvenuto, non avendo il ricorrente
chiesto, nei termini, la ricusazione del magistrato ritenuto incompatibile (cfr., in
termini, Cass. Sez. 1 n. 6271 del 3/2/2009, Battista, Rv. 243230).

4.Sono altresì infondati il secondo ed il terzo motivo di ricorso, da trattare
congiuntamente siccome strettamente correlati fra di loro.

adeguatamente motivato in ordine alla sussistenza del requisito del c.d. “fumus
commissi delicti”, necessario per una valida adozione del sequestro conservativo
penale.

5.La giurisprudenza di legittimità richiede, in tema di sequestro conservativo
penale, che l’accertamento giudiziale circa la sussistenza del fumus commissi
delicti vada operato in concreto, facendo riferimento non solo alla pendenza del
procedimento penale ed alla sussistenza dell’imputazione e quindi non solo
all’astratta configurabilità del diritto di credito del richiedente, ma anche a tutti
gli altri elementi di cui il giudice è in possesso al momento dell’adozione della
misura cautelare penale (cfr. Cass. Sez. 4 n.707 del 17/5/1994, Corti, Rv.
198681).

6.Tanto premesso, va rilevato che il provvedimento impugnato, con motivazione
incensurabile nella presente sede, siccome conforme ai canoni della logica e della
non contraddizione, ha indicato i validi elementi concreti dai quali desumere la
sussistenza del fumus commissi delicti, con conseguente legittimità della misura
patrimoniale cautelare impugnata, avendo fatto riferimento:
-alla circostanza che l’imputato, quale legale di fiducia di un socio della fallita
società, si sia avvalso di una procura generale, rilasciatagli il 18 marzo 2003
dalla società poi fallita, per far luogo ad un’atipica liquidazione della società,
sostituendosi agli organi sociali a ciò preposti ex lege;
-alla circostanza che i fondi recuperati attraverso la riscossione dei crediti vantati
dalla società erano stati trasferiti su di un conto intestato solo a lui, senza fornire
alcun chiarimento in ordine all’attività di recupero complessivamente prestata,
atteso che né il liquidatore della società, né, successivamente, il curatore del
fallimento della s.r.l. “BET ITALIA” avevano avuto accesso a detto conto corrente,
sul quale erano confluiti i crediti sociali incassati dall’imputato sulla base di un
concordato stragiudiziale non accettato dai creditori, che comportava uno sconto
pari al 60% del valore dei crediti;
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Con essi il ricorrente lamenta che il provvedimento impugnato non abbia

-alla circostanza che erano state riscontrate numerose fatture relative a
transazione ritenute fittizie;
-alla circostanza che anche le scritture contabili non erano state ritenute
attendibili, non essendo stato reperito né il libro giornale per il periodo febbraiodicembre 2004, né il registro dei beni ammortizzabili per gli anni 2004-20052006.

7.Sono altresì infondati il quarto ed il quinto motivo di ricorso, da trattare

ricorrente lamenta l’insussistenza nella specie del periculum in mora,
indispensabile per la valida adozione della misura cautelare patrimoniale in
esame.

8.In tema di sequestro conservativo penale il periculum in mora dev’essere
valutato, oltre che con riguardo all’entità del credito vantato dal richiedente,
anche con riferimento ad una situazione almeno potenziale, desunta da elementi
certi ed univoci, di depauperamento del debitore, da porsi in ulteriore relazione
con la composizione del patrimonio del medesimo, con la sua capacità reddituale
e con l’atteggiamento concreto dal medesimo assunto (cfr., in termini, Cass. Sez.
2 n. 44148 del 21/9/2012, P.M. in proc. Galofaro, Rv. 254340).

9.Pienamente conforme ai canoni di cui sopra è la motivazione addotta dal
provvedimento impugnato per ritenere nella specie sussistente il periculum in
mora, avendo esso fatto riferimento:
– al rilevante importo complessivo dei crediti vantati dagli organi fallimentari,
quantificato in C 350.000,00;
-al fatto che la società dichiarata fallita aveva continuato l’attività commerciale
per il tramite di altre società di comodo all’uopo costituite, alle quali erano stati
trasferiti l’avviamento ed i beni aziendali, in tal modo ponendo in serio pericolo la
possibilità di soddisfare i crediti vantati dal fallimento;
-al fatto che il patrimonio dell’imputato era di scarsa consistenza ed inidoneo a
garantire le ragioni creditorie del fallimento, tranne che i fondi custoditi su di un
conto corrente intestato all’imputato presso la filiale di Varese della banca
Unicredit.
10.Da quanto sopra consegue il rigetto del ricorso in esame, con condanna del
ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.
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congiuntamente, siccome strettamente correlati fra di loro, con i quali il

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso il 5 luglio 2013.

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