Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 3577 del 30/09/2014


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 3577 Anno 2015
Presidente: BEVERE ANTONIO
Relatore: BRUNO PAOLO ANTONIO

SENTENZA

Sul ricorso proposto da

LO SCIUTO Antonino, nato a Castelvetrano 1’01/01/1970

avverso l’ordinanza del 24 marzo 2014 del Tribunale di Palermo, quale giudice di
appello de libertate;

visti gli atti, l’ordinanza impugnata ed il ricorso;
udita la relazione del consigliere Paolo Antonio BRUNO;
sentito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Mario
Maria Stefano Pinelli, che ha chiesto l’inammissibilità del ricorso:
sentito, altresì, l’avv. Celestino Cardinale, che si è riportato ai motivi di ricorso,
chiedendone l’accoglimento.

RITENUTO IN FATTO

1. Con l’ordinanza indicata in epigrafe, il Tribunale di Palermo, in funzione di
giudice di appello de libertate, rigettava l’appello proposto dal difensore di Antonino

Data Udienza: 30/09/2014

Lo Sciuto volta ad ottenere la revoca o la sostituzione della custodia cautelare in
carcere con misura meno afflittiva.
Il Lo Sciuto era accusato di partecipazione all’associazione mafiosa intesa Cosa
Nostra, in concorso con altri tra cui Messina Denaro Matteo e Salvatore.
In particolare, assieme a Cimarosa Lorenzo, gli si contestava di aver fatto parte
della famiglia mafiosa di Castelvetrano, articolazione territoriale della più estesa
consorteria criminale, ponendo in essere condotte dirette, anche attraverso

reinvestimento dei capitali – al controllo delle attività economiche che si svolgevano
nel territorio; assicurando il collegamento con le altre articolazioni di Cosa nostra,
partecipando a riunioni con altri associati; eseguendo ordini e direttive provenienti
da sodali detenuti; provvedendo al sostentamento degli appartenenti alla famiglia e
dei loro congiunti nonché di Messina Denaro Matteo, così consentendo a
quest’ultimo lo svolgimento delle sue funzioni apicali in Cosa nostra nonostante il
suo stato di latitanza. Più precisamente, si riteneva che l’indagato, dipendente
dell’impresa edile di Filardo Giovanni, cugino del latitante (la BF Costruzioni srl.), si
adoperasse, durante la detenzione dello stesso Filardo, indagato ed arrestato
nell’ambito di un procedimento per identica contestazione associativa, per
devolvere una parte degli utili d’impresa al sostentamento dell’organizzazione
mafiosa e dei sodali specie se detenuti, nonché dello stesso Messina Denaro,
latitante.
Avverso l’anzidetta pronuncia il difensore dell’indagato, avv. Celestino
Cardinale, ha proposto ricorso per cassazione, affidato alle ragioni di censura di
seguito indicate.
Con il primo motivo si denuncia violazione dell’art. 606 lett. c) ed e) cod. proc.
pen. per difetto di motivazione e mancata specificazione in ordine alla ritenuta
sussistenza di gravi indizi di colpevolezza in riferimento al reato di cui all’art. 416
bis

cod. pen. In particolare, si duole della mancata considerazione delle

sopravvenute dichiarazioni rese dal collaborante Lorenzo Cimarosa in data 16
dicembre 2013 e 22 gennaio 2014, che, a dire del difensore ricorrente,
scagionerebbero l’indagato, il quale, come dipendente della società anzidetta, si
sarebbe occupato soltanto della gestione tecnica e non anche di quella
amministrativa.
Con il secondo motivo si denuncia difetto di motivazione con riferimento alla
ritenuta insussistenza di esigenze cautelari anche alla luce della sottoposizione al
sequestro dell’unico strumento – la società BF Costruzioni – il cui utilizzo aveva
rappresentato causa unica dell’incriminazione dello stesso Lo Sciuto.

CONSIDERATO IN DIRITTO

2

l’approvvigionamento di fondi e l’infiltrazione in appalti pubblici e privati e di

1. Il ricorso è inammissibile e tale va, dunque, dichiarato, in quanto le censure
che lo sostanziano sono manifestamente infondate.
Lo è la prima giacché l’ordinanza ha adeguatamente motivato, facendo corretta
applicazione della regola di giudizio secondo cui, in sede di appello avverso
l’ordinanza di rigetto dell’istanza di revoca o sostituzione della misura custodiale, la
cognizione del Tribunale del riesame deve restare circoscritta, com’é stato nel caso
di specie, alla valutazione di elementi nuovi, non considerati in precedenza ovvero

dichiarazioni del collaborante, sopravvenute al titolo restrittivo, reputandole
confermative del quadro indiziario o, comunque, non idonee a scalfire lo spessore
gravemente indiziario delle risultanze investigative richiamate nell’ordinanza
generica della custodia cautelare.
Palesemente infondata è anche la seconda doglianza, posto che, con
insindacabile apprezzamento di merito, il giudice di appello ha ritenuto che la
circostanza dedotta, rappresentata dall’intervenuto sequestro della società
Costruzioni,

BF

e le altre deduzioni difensive non fossero tali da dimostrare la

sopravvenuta insussistenza delle esigenze di custodia carceraria, correttamente
presunte in ragione del titolo di reato per il quale si procede.

2. Alla declaratoria d’inammissibilità conseguono le statuizioni espresse in
dispositivo.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali ed al versamento della somma di euro 1.000,00 in favore della
Cassa delle ammende. Manda alla Cancelleria di provvedere alle comunicazioni di
cui all’art. 94 d.a. cod. proc. pen.
Così deciso il 30 settembre 2014
Il Consigliere estensore

sopravvenuti. Sulla scorta di tale principio il giudice di appello ha considerato le

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