Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 35766 del 02/07/2013


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 35766 Anno 2013
Presidente: BARDOVAGNI PAOLO
Relatore: ROMBOLA’ MARCELLO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
COMITO GIUSEPPE N. IL 08/07/1975
avverso l’ordinanza n. 132/2013 TRIB. LIBERTA’ di CATANZARO,
del 19/02/2013
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. MARCELLO
ROMBOLA’;
lette/sentite le conclusioni del PG Dott.bwct
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Data Udienza: 02/07/2013

Ritenuto in fatto

La sera del 21/3/12, all’interno di una palazzina in via Arenile, venivano attinti da colpi di arma
da fuoco Scrugli Francesco, che rimaneva ucciso, e Battaglia Rosario e Moscato Raffaele, che,
benché feriti, riuscivano a darsi alla fuga. I due feriti, entrambi appartenenti (come lo Scrugli)
al clan dei c.d. Piscopisani, raggiungevano separatamente l’ospedale di Vibo Valentia. Le prime
indagini accertavano che a sparare erano stati due ignoti killer in attesa del rientro dei tre nel
loro alloggio: il primo a salire le scale, lo Scrugli, non aveva avuto scampo; gli altri due erano
riusciti a fuggire e un impianto di videosorveglianza nelle vicinanze aveva ripreso il Moscato
ottenere soccorso da un’auto di passaggio, mentre dei testi avevano riferito che nell’immediato
il Battaglia si era invece rifugiato in un bar.
Alcuni mesi dopo (il 26/11/12) le dichiarazioni di un collaboratore di giustizia, l’albanese Beluli
Vasvi, che si accusava del delitto: assoldato dai Patania di Stefanaconi (vicini ai Mancuso) per
circa 5.000 euro, l’aveva commesso insieme al connazionale Uras Mauro. Ad appoggiarli tali
Giuseppe (Peppe) e Franco, andati a prenderli a Pizzo il giorno prima con l’auto di Franco (una
Golf nera). A mostrare loro gli obiettivi Peppe, che abitava nei pressi ed aveva una moglie di
origini francesi. Giuseppe o Peppe era riconosciuto in foto come Comito Giuseppe, Franco come
Alessandria Francesco.
Le propalazioni del Beluli erano confermate il 27/11/12 da altro collaboratore di giustizia, Bono
Daniele, che del detto Peppe (diretto affiliato dei Mancuso e non dei Patania) e dell’omicidio cui
essi avevano dato supporto aveva saputo dall’amico Franco Mustazzo (Francesco Alessandria).
Riscontrato che il Comito abitasse a poche decine di metri dal luogo dell’attentato e convivesse
con tale Maques Monteiro Sabrina Cyrielle, nata in Francia; riconosciuto inoltre dal Beluli un
capanno del Cornito sulla spiaggia dove egli (con l’Uras) aveva alloggiato il giorno antecedente
l’omicidio. Quindi la ritenuta gravità del quadro indiziario e le esigenze cautelari.
Ricorreva per cassazione la difesa, deducendo con unico motivo violazione di legge e vizio di
motivazione: l’accusa fondava solo sulla parola di due collaboratori di giustizia (uno de relato),
priva di riscontri individualizzanti; la stessa propalazione del Bono non era stata né immediata
né autonoma, in un primo tempo avendo fatto solo riferimento ad un soggetto di Vibo Marina
non meglio conosciuto; secondo la stessa tesi dell’accusa la causale di faida del delitto non
apparteneva ai Mancuso (cui il Comito sarebbe stato affiliato) bensì ai Patania; non risolutivo il
particolare del capanno sulla spiaggia (che si assumeva nella disponibilità del Comito sulla sola
base di una relazione di servizio) né quello della moglie di origini francesi né, allo stesso modo,
l’individuazione fotografica. Chiedeva l’annullamento dell’ordinanza impugnata.
All’udienza camerate fissata per la discussione il PG chiedeva la declaratoria di inammissibilità
del ricorso, la difesa il suo accoglimento.
Considerato in diritto
Il ricorso è infondato e va respinto.
1

Con ordinanza 19/2/13 il Tribunale del riesame di Catanzaro confermava l’ordinanza di
custodia cautelare in carcere emessa dal Gìp dello stesso Tribunale il 10112/12 nei confronti di
Comito Giuseppe, indagato per i reati di omicidio in danno di Scrugli Francesco e di tentato
omicidio in danno di Battaglia Rosario e di Moscato Raffaele, aggravati dalla premeditazione, i
motivi abbietti della supremazia mafiosa, dall’agevolazione e il metodo mafioso di cui all’art. 7
L n. 203/91 (capo P), e di violazione della legge sulle armi (capo Q), commessi in Vibo Marina,
contrada Pennello, il 21/3/12.

E ancora (Cass., sez. V, sent. n. 46124 de11 18/10/08, rv. 241997, Pagliaro; Cass., sez. VI, sent.
n. 11194 dell’8/3/12, rv. 252178, Lupo): “In tema di impugnazione delle misure cautelari
personali il ricorso per cassazione è ammissibile soltanto se denuncia la violazione di specifiche
norme di legge ovvero la manifesta illogicità della motivazione del provvedimento secondo i
canoni della logica e i principi di diritto, ma non anche quando propone censure che riguardino
la ricostruzione dei fatti ovvero si risolvano in una diversa valutazione delle circostanze
esaminate dal giudice di merito”.
E’ quanto è avvenuto nella specie, il giudice di merito avendo rappresentato in modo adeguato,
logico e corretto la gravità del quadro indiziario. Sullo sfondo della faida in corso tra la cosca
dei c.d. “Piscopisani” e quella dei Patania, alleati dei Mancuso (egemoni nel Vibonese) per il
predominio mafioso sul territorio di Stefanaconi, gli indizi a carico dell’odierno indagato per il
delitto in esame, Comito Giuseppe, fondano sulle dichiarazioni auto ed etero accusatorie di uno
dei killer, l’albanese Beluli Vasvi, riscontrate dagli accertamenti di polizia giudiziaria relativi ad
alcuni particolari da quello narrati riguardanti il Comito (basista, coll’Alessandria, del delitto) e
dalle dichiarazioni (de relato proprio dall’Alessandria) di altro collaboratore, Bono Daniele.
La difesa afferma la necessità del riscontro individualizzante anche per la confessione c.d.
extragiudiziale del correo che faccia dichiarazioni auto ed etero accusatorie e nega che un tale
valore possa essere conferito ad una propalazione de relato di altro dichiarante ed ancor prima
che abbiano carattere individualizzante eventuali particolari della narrazione etero accusatoria
riguardanti aspetti noti o conoscibili della persona dell’accusato a prescindere dalla sua pretesa
correità. Sulla necessità del riscontro estrinseco e individualizzante anche nel caso della c.d.
confessione extra giudiziale etero accusatoria nulla quaestio. Correttamente citata in proposito
dalla difesa la sentenza della S.C. a Sez. Un. n. 36267/06 (PG in proc. Spennato, rv. 234598).
Non è vero invece che tale riscontro non possa essere rappresentato anche dalla dichiarazione
de relato di altro collaboratore. Sull’argomento si sono espresse di recente ancora le Sez. Un.
(sent. n. 20804 del 29/11/12, dep. 14/5/13, rv. 255143, Aquilina e altri), secondo le quali la
stessa chiamata in correità o in reità de relato può avere come unico riscontro, ai funi della
prova della responsabilità penale dell’accusato, altra o altre chiamate di analogo tenore. Tanto
più, dunque, quando la prima chiamata non sia de relato ma, come nel caso, diretta. Si tratta
all’evidenza di una valutazione di fatto (secondo quanto puntualizzato dalla stessa sentenza
delle Sez. Un. da ultimo citata), che nel caso in esame è stata correttamente operata (la fonte
del Bono è quello stesso Franco Mustazzo ovvero Francesco Alessandria autonomamente citato
dal Beluli come basista del delitto insieme al Comito). Del pari non è vero che qualità oggettive
del chiamato in reità o correità non abbiano per ciò solo carattere individualizzante. A meno di
ipotizzare in Beluli un’immotivata volontà calunniatrice, deve ammettersi che le caratteristiche
da lui indicate per individuare il basista Peppe (ovvero Giuseppe Comito: l’abitazione vicina al
luogo dell’agguato, la “moglie” di origini francesi, la disponibilità di un capanno sulla spiaggia)
sono tutte altamente significative. Altrettanto indiziante e di pieno riscontro il riconoscimento
fotografico (Cass., sez. VI, sent. n. 31454 del 5/7/06, rv. 235215).
2

E’ giurisprudenza pacifica di legittimità in tema di misure cautelari personali (Cass., S.U., sent.
n. 11 del 22/3/00, dep. 2/5/00, rv. 215828, Audino), che “allorché sia denunciato, con ricorso
per cassazione, vizio di motivazione del provvedimento emesso dal tribunale del riesame in
ordine alla consistenza dei gravi indizi di colpevolezza, alla Suprema Corte spetta il compito di
verificare, in relazione alla peculiare natura del giudizio di legittimità e ai limiti che ad esso
ineriscono, se il giudice di merito abbia dato adeguatamente conto delle ragioni che l’hanno
indotto ad affermare la gravità del quadro indiziario a carico dell’indagato, controllando la
congruenza della motivazione riguardante la valutazione degli elementi indizianti rispetto ai
canoni della logica e ai principi di diritto che governano l’apprezzamento dei risultati probatori”.

Trasmessa copia ex art. 23
n. i ter L. 8-8-95 „A.,332
g A60. LUL1
Roma. lì
Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali
(art. 616 cpp).
Trattandosi di soggetto in custodia cautelare in carcere, va disposto ai sensi dell’art. 94, co. Iter, n. att. cpp_
Pqm
rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Roma, 2/7/13

Dispone trasmettersi, a cura della Cancelleria, copia del provvedimento al Direttore dell’Istituto
penitenziario ai sensi dell’art. 94, co. 1-ter, n. att. cpp_

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