Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 35749 del 09/06/2015


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 35749 Anno 2015
Presidente: LAPALORCIA GRAZIA
Relatore: DE MARZO GIUSEPPE

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
LOPES VINCENZO N. IL 08/05/1947
avverso l’ordinanza n. 19/2013 TRIBUNALE di RAGUSA, del
04/02/2014
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. GIUSEPPE DE MARZO;
lette/sZite le conclusioni del PG Dott. R.4kilg,

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Data Udienza: 09/06/2015

Ritenuto in fatto
1.

Con ordinanza del 04/02/2014 il Tribunale di Ragusa ha dichiarato

l’inammissibilità dell’appello proposto nell’interesse di Vincenzo Lopes avverso la
sentenza con la quale il Giudice di pace di Scicli lo aveva condannato alla pena di
270,00 euro di multa.
2. Nell’interesse dell’imputato è stato proposto ricorso per cassazione, affidato ai
seguenti motivi.
2.1. Con il primo motivo, si lamenta inosservanza ed erronea applicazione

ritenuta inappellabile la sentenza di primo grado, che recava condanna
dell’imputato al pagamento della multa e non dell’ammenda.
2.2. Con il secondo motivo, prospettato in via subordinata, si lamenta
inosservanza o erronea applicazione dell’art. 568, comma 5, cod. proc. pen.,
sottolineando che il Tribunale, ove avesse correttamente ritenuto inappellabile la
sentenza, avrebbe dovuto, ai sensi della norma citata, trasmettere gli atti alla
Corte di Cassazione per il giudizio.

Considerato in diritto
1. Il primo motivo di ricorso è inammissibile per manifesta infondatezza, dal
momento che, come peraltro illustrato dall’ordinanza impugnata, la non
praticabilità del rimedio dell’appello riposa sull’art. 37, comma 2, del d. Igs. n.
274 del 2000, in quanto il giudice di pace aveva condannato il Lopes alla sola
pena pecuniaria.
2. Quanto al secondo motivo, è certamente esatto che, a norma dell’art. 568,
comma 5, cod. proc. pen., il Tribunale di Ragusa, preso atto dell’inappellabilità
della sentenza di primo grado, avrebbe dovuto trasmettere gli atti a questa Corte
(Sez. 5, n. 7403 del 26/09/2013 – dep. 17/02/2014, Bergantini, Rv. 259532).
Ciò comporta, per un verso, l’annullamento senza rinvio dell’ordinanza del
Tribunale di Ragusa e, per altro verso, previa riqualificazione dell’originario
appello come ricorso per cassazione, il suo esame nel merito.
Al riguardo, va notato che il ricorso per cassazione proposto nell’interesse del
Lopes è stato trattato nelle forme di cui all’art. 611 cod. proc. pen., senza che
alcun rilievo sia stato mosso dal ricorrente rispetto a tali modalità
procedimentali, attraverso la produzione di memorie. E ciò sebbene lo stesso
ricorrente avesse auspicato, sia pure in via subordinata, la riqualificazione
dell’atto di appello in ricorso per cassazione e il suo esame nel merito e il RG.,
nelle sue conclusioni scritte, avesse richiesto, previa riqualificazione, la
declaratoria di inammissibilità dell’originaria impugnazione.

1

dell’art. 593, comma 3, cod. proc. pen., rilevando che erroneamente era stata

3. Ora, la sentenza di primo grado del 29/01/2013 ha condannato alla pena di
giustizia il Lopes, avendolo ritenuto responsabile del reato di ingiuria nei
confronti del fratello.
Nell’atto di appello, l’imputato nella sostanza, per un verso, contesta
l’affermazione di responsabilità, in quanto fondata esclusivamente sulle
dichiarazioni della persona offesa, smentite dagli altri testi sentiti, e, per altro
verso, invoca il beneficio della non menzione.
Ora, il primo profilo è inammissibile, in quanto le regole dettate dall’art. 192,

le quali possono essere legittimamente poste da sole a fondamento
dell’affermazione di penale responsabilità dell’imputato, previa verifica, corredata
da idonea motivazione, della credibilità soggettiva del dichiarante e
dell’attendibilità intrinseca del suo racconto, che peraltro deve in tal caso essere
più penetrante e rigorosa rispetto a quella cui vengono sottoposte le
dichiarazioni di qualsiasi testimone (Sez. U, n. 41461 del 19/07/2012, Bell’Arte,
Rv. 253214).
In ogni caso, la verifica attraverso indici esterni delle dichiarazioni della persona
offesa non si deve tradurre nell’individuazione di prove dotate di autonoma

efficacia dimostrativa, dal momento che ciò comporterebbe la vanificazione della
rilevanza probatoria delle prime.
Ciò posto, non è esatto che le dichiarazioni dei testi ascoltati smentiscano la
persona offesa, in quanto, per ciò che è dato rilevare dalla peraltro parziale
riproduzione dei brani riportati nell’atto di impugnazione, che non ne consente
alcuna valutazione contestualizzata, verrebbe piuttosto in rilievo una mancanza
di conferma sull’utilizzo di frasi ingiuriose, fermo restando che il teste Pellegrino
ha comunque ricordato che era stato l’imputato a rivolgersi al fratello, senza che
questi rispondesse (pag. 3 della sentenza impugnata).
In definitiva, non è dato cogliere alcuna violazione di legge o vizio motivazionale
nel percorso argomentativo seguito dal giudice di pace, anche con riferimento
all’auspicata assoluzione ai sensi dell’art. 530, comma 2, cod. proc. pen.
Quanto, infine, alla richiesta di non menzione, è appena il caso di rilevare che, ai
sensi dell’art. 25, comma 1, lett. i) . non sono riportate nel certificato penale le
iscrizioni esistenti nel casellario e relative ai provvedimenti giudiziari emessi dal
giudice di pace, talché priva di qualunque fondamento è la richiesta formulata
dal ricorrente.
4. Alla pronuncia di inammissibilità dell’impugnazione consegue, ex art. 616 cod.
proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali,
nonché al versamento, in favore della Cassa delle ammende, di una somma che,
in ragione delle questioni dedotte, appare equo determinare in euro 1.000,00.
2

comma 3, cod. proc. pen. non si applicano alle dichiarazioni della persona offesa,

P.Q.M.
Annulla senza rinvio l’ordinanza del 04/02/2014 del Tribunale di Ragusa e,
qualificato l’appello come ricorso per cassazione, lo dichiara inammissibile e
condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di
euro 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma il 09/06/2015
Il Presidente

Il Componente estensore

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