Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 35734 del 10/06/2015


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 35734 Anno 2015
Presidente: LAPALORCIA GRAZIA
Relatore: ZAZA CARLO

SENTENZA

sul ricorso proposto da
Coppari Angelo, nato a Cupramontana il 31/01/1959

avverso la sentenza del 04/12/2014 della Corte d’Appello di Ancona

visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Carlo Zaza;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale
Gioacchino Izzo, che ha concluso per l’annullamento con rinvio della sentenza
impugnata;
udito per l’imputato l’avv. Andrea Nocchi, che ha concluso per raccoglimento del
ricorso;

RITENUTO IN FATTO

Con la sentenza impugnata, in parziale riforma della sentenza del Tribunale
di Ancona, Sezione distaccata di Jesi, del 27/04/2011, veniva confermata
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Data Udienza: 10/06/2015

l’affermazione di responsabilità di Angelo Coppari per la condotta di introduzione
clandestina nella corte dell’abitazione di Gianfranco Giovagnoli in Cupramontana,
commesso il 21/02/2008, originariamente contestata come reato di cui all’art.
614 cod. pen., riqualificata con la sentenza di primo grado quale reato di cui
all’art. 392 cod. pen. e nuovamente qualificata come violazione di domicilio
all’esito del giudizio di appello. La sentenza di primo grado era riformata con la
declaratoria di nullità della condanna per fatti di esercizio arbitrario delle proprie
ragioni commessi il 16/02/2008, in quanto pronunciata per fatti diversi da quelli

danneggiamento, con trasmissione degli atti al Tribunale di Ancona, e la
rideterminazione della pena in C 400 di multa e del danno liquidato alla parte
civile in C 500.
L’imputato ricorrente deduce:
1. violazione di legge e vizio di motivazione sulla declaratoria di parziale
nullità della sentenza di primo grado; il Tribunale non avrebbe violato i limiti
dell’imputazione, dato che quest’ultima veniva modificata dal pubblico ministero
con la richiesta di riqualificazione di tutti i fatti contestati, nell’unico reato
continuato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni, all’esito della discussione
nel giudizio di primo grado; la Corte territoriale sarebbe invece incorsa nella
violazione dell’art. 521 cod. proc. pen. intervenendo su una qualificazione
giuridica, operata in primo grado, divenuta definitiva per non essere stata la
stessa oggetto di appello dell’imputato; sarebbe infine illegittima la scissione dei
fatti, unitariamente giudicati in primo grado quale violazione dell’art. 392 cod.
pen., in quanto implicante un indebito aggravamento della posizione
dell’imputato a seguito della duplicazione delle condanne e dell’impossibilità di
far valere il vincolo della continuazione fra i fatti;
2. violazione di legge sul rigetto della dedotta eccezione di illegittimità della
revoca dei testimoni della difesa nel giudizio di primo grado; l’affermazione della
sentenza impugnata, in ordine alla riferibilità delle prove ai fatti in ordine ai quali
la sentenza del Tribunale veniva annullata, sarebbe contraddittoria rispetto al
fatto che le testimonianze erano state richieste, fra l’altro, sulla circostanza
dell’esistenza di una servitù di passaggio sulla proprietà del Giovagnoli in favore
dell’imputato, rilevante anche ai fini della sussistenza del reato di violazione di
domicilio sul quale la Corte territoriale si era pronunciata;
3.

violazione di legge e vizio motivazionale sull’affermazione di

responsabilità per il reato di violazione di domicilio; sarebbe illegittima
l’utilizzazione a questi fini del filmato delle riprese delle videocamere installate
dalla persona offesa, che la Corte territoriale dava atto di aver visionato in
camera di consiglio, in assenza di contraddittorio delle parti; non sussisterebbe
2

originariamente contestati quali tentata violazione di domicilio e

alcun legittimo dissenso della persona offesa all’ingresso dell’imputato sulla
proprietà, in considerazione della servitù di passaggio gravante sulla stessa, il
cui esercizio sarebbe stato escluso per l’irrilevante aspetto del fine in concreto
perseguito dall’imputato.

CONSIDERATO IN DIRITTO

primo grado sono inammissibili.
La ricorribilità per cassazione della decisione, con la quale il giudice d’appello
annulli la sentenza di primo grado ritenendo il fatto diverso da quello contestato,
è oggetto di un contrasto giurisprudenziale, che contrappone la tesi che esclude
tale ricorribilità, in considerazione della mancanza di alcun pregiudizio derivante
dalla disposizione per l’imputato, il quale ha ampia facoltà di difesa nel nuovo
giudizio (Sez. 1, n. 9665 del 03/10/2013, Levakovic, Rv. 259697; Sez. 5, n.
14366 del 27/01/2012, Caratozzolo, Rv. 252474; Sez. 5, n. 22262 del
26/04/2011, Bassora, Rv.250580; Sez. 5, n. 40625 del 27/10/2006, Verde,
Rv.236304; Sez. 1, n. 8831 del 28/02/2006, Capolongo, Rv. 233795), a quella
che invece la ammette (Sez. 4, n. 11228 del 04/03/2015, Forti, Rv. 262715;
Sez. 4, n. 51751 del 18/11/2014, Prestia, Rv. 261578; Sez. 2, n. 17879 del
13/03/2014, Pagano, Rv. 260006; Sez. 6, n. 26284 del 26/03/2013, Tonietti,
Rv. 256860).
Anche il secondo e, per la posizione dell’imputato, più favorevole
orientamento, subordina tuttavia l’esperibilità del ricorso per cassazione alla
sussistenza di un concreto interesse all’impugnazione; interesse la cui
ravvisabilità nel caso di specie deve essere esclusa. L’unica deduzione del
ricorrente sul punto concerne infatti il pregiudizio asseritamente subito, per
effetto della decisione impugnata, con riguardo alla possibilità di far valere
l’eventuale continuazione fra i fatti oggetto della declaratoria di nullità,
nell’ipotesi in cui per gli stessi intervenga condanna nel separato giudizio, e quelli
rimasti oggetto del presente procedimento; possibilità che non è tuttavia
sottratta all’imputato, che è comunque nella condizione di richiedere
l’applicazione dell’istituto della continuazione in sede esecutiva. Né rileva in
contrario la pronuncia citata dal ricorrente (Sez. 2, n. 8054 del 14/01/2009,
Scuto) in termini di impraticabilità della scissione fra l’imputazione originaria e
quella adeguata al fatto diverso, riguardante in realtà la ben diversa situazione
della contestazione suppletiva, ritenuta inammissibile, di un ulteriore segmento

3

1. I motivi dedotti sulla declaratoria di parziale nullità della sentenza di

di una condotta di associazione di tipo mafioso, e non di un fatto diverso da
quello contestato.

2. I motivi dedotti sul rigetto della dedotta eccezione di illegittimità della
revoca dei testimoni della difesa nel giudizio di primo grado sono infondati.
La riferibilità delle testimonianze richieste ai fatti oggetto della pronuncia di
parziale annullamento della sentenza di primo grado, sulla quale si incentrano le
censure del ricorrente, assumeva in realtà un rilievo marginale nella motivazione

era invece la ritenuta esistenza di una prova esaustiva del fatto di violazione di
domicilio per il quale l’imputato era ritenuto responsabile, in base alle
dichiarazioni della persona offesa, a quelle dello stesso imputato ed al filmato in
atti; risultanze a fronte delle quali nessuna deduzione specifica è proposta dal
ricorrente con riguardo alla significatività contraria delle prove testimoniali delle
quali veniva revocata l’ammissione, se non per un generico accenno all’esistenza
di una servitù di passaggio in favore dell’imputato, che per quanto si vedrà al
punto successivo veniva comunque ritenuta irrilevante ai fini del giudizio sulla
responsabilità.

3. I motivi dedotti sull’affermazione di responsabilità per il reato di
violazione di domicilio sono infondati.
Infondata è in primo luogo la questione di inutilizzabilità dei filmati tratti
dalle videocamere installate sul luogo dei fatti dalla persona offesa, in quanto
esaminati dalla Corte territoriale in camera di consiglio e in assenza di
contraddittorio. Detti filmati costituiscono infatti prove documentali ai sensi
dell’art. 234 cod. proc. pen. (Sez. 2, n. 6515 del 04/02/2015, Hida, Rv.
263432); e come tali sono consultabili dal giudice anche al di fuori del
contraddittorio dibattimentale, come tutti gli altri atti acquisiti al fascicolo del
dibattimento.
Ciò posto, nella sentenza impugnata si dava atto che lo stesso imputato,
confermando quanto già emerso dai filmati, ammetteva di essere entrato nella
proprietà del Giovagnoli al fine di documentare fotograficamente la presenza di
opere edilizie abusive; con ciò ammettendo altresì che il suo accesso avveniva
per finalità diverse dall’esercizio della servitù di passaggio invocata dalla difesa.
In quest’ultimo passaggio argomentativo non è ravvisabile l’illogicità denunciata
dal ricorrente, essendo viceversa coerente la conclusione della Corte territoriale
per la quale l’accesso al domicilio altrui per ragioni diverse dal mero passaggio
oggetto della servitù, anche a voler ritenere quest’ultima esistente, dia luogo ad
una condotta oggetto di legittimo dissenso del titolare del domicilio stesso;
4

della sentenza impugnata sul punto. Argomento principale di detta motivazione

conclusione a fronte della quale il ricorrente si limita a ribadire genericamente la
propria diversa posizione.
Il ricorso deve in conclusione essere rigettato, seguendone la condanna del
ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P. Q. M.

Così deciso il 10/06/2015

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

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