Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 35720 del 13/08/2014


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Penale Sent. Sez. F Num. 35720 Anno 2014
Presidente: ZECCA GAETANINO
Relatore: MAZZEI ANTONELLA PATRIZIA

SENTENZA
sul ricorso proposto da

CONVERSANO Moreno, nato a Torino il 29/05/1970,

avverso la sentenza in data 20 giugno 2014 della Corte di appello di Torino nel
proc. n. 54/2014.

Letti gli atti, la sentenza impugnata e il ricorso;
sentita la relazione svolta nella camera di consiglio del giorno 13 agosto 2014 dal
consigliere Antonella Patrizia Mazzei;
sentito il pubblico ministero presso questa Corte di cassazione, in persona del
sostituto procuratore generale, Enrico Delehaye, il quale ha chiesto il rigetto del
ricorso;
rilevato che il difensore del ricorrente non è comparso.

RILEVATO IN FATTO
1. Con sentenza del 20 giugno 2014 la Corte di appello di Torino ha disposto
la consegna di Conversano Moreno all’Autorità giudiziaria della Repubblica Ceca,
in esecuzione del mandato di arresto europeo (abbreviato in MAE), emesso il 29

ei

Data Udienza: 13/08/2014

aprile 2014 dal Tribunale distrettuale di Praga 2, con la condizione che, al
termine del procedimento nello Stato di emissione, il Conversano fosse
riconsegnato allo Stato italiano per scontare nel territorio nazionale l’eventuale
pena a lui irrogata.
A sostegno della decisione, la Corte ha addotto la legittimità del titolo in
base al quale era stata richiesta la consegna, poiché il Conversano, con altri
quattro cittadini italiani identificati in Magni Davide, Calore Gualtiero, Papino

davanti all’Autorità dello Stato di emissione, per il reato di concorso in truffa
aggravata e continuata ai danni di diversi istituti di credito, tutti operanti nella
Repubblica Ceca.
In particolare, dal MAE e dalla relazione illustrativa, trasmessi dallo Stato di
emissione, risultava che, nel periodo tra il 27 dicembre 2009 e il

10 gennaio

2010, il Conversano, insieme ai predetti coindagati, avevano aperto nella
Repubblica Ceca alcuni conti correnti presso istituti bancari, ivi sedenti,
ottenendo il rilascio di carte di credito e di pagamento, che avevano utilizzato,
nonostante la mancanza di adeguata provvista, per disporre ingenti pagamenti a
favore della società “Charter & Air Service s.r.l.”, della quale era legale
rappresentante Magni Davide, per un complessivo ammontare di 17 milioni di
corone ceche (pari a circa 680.000 euro), con successiva distrazione del denaro
a loro favore prima che il sistema bancario potesse accorgersi dell’incapienza dei
relativi conti.
Ha osservato, in particolare, la Corte distrettuale che non ricorreva la causa
di rifiuto della consegna prevista dall’art. 18, comma 1, lett. p), legge n. 69 del
2005, poiché l’azione delittuosa si era consumata interamente nella Repubblica
Ceca pur essendo stata commessa da cinque cittadini italiani e, sulla base degli
atti trasmessi, non poteva ritenersi neppure iniziata o ideata in Italia: la società
“Charter & Air Service”, di cui il Magni era legale rappresentante, sul conto della
quale erano stati fatti confluire i pagamenti disposti con le carte di credito e di
pagamento ottenute da istituti di credito cechi, era stata costituita nella
Repubblica ceca e aveva sede operativa e legale in quello Stato; i conti correnti
utilizzati dagli imputati per ottenere le carte di credito e di pagamento, sui quali
erano state trasferite le somme di denaro, risultavano accesi presso istituti
bancari cechi; non erano provenienti dall’Italia le somme versate dal Conversano
e dagli altri imputati per aprire i detti conti correnti e ottenere il rilascio delle
carte di pagamento e di credito fraudolentemente utilizzate.
La natura processuale del MAE esimeva, inoltre, la Corte dello Stato
richiesto da un’analisi approfondita della gravità indiziaria, essendo necessaria e
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Denis e Balla Andrea, era sottoposto ad indagini in procedimento pendente

sufficiente la verifica che il mandato, per il suo contenuto intrinseco e per gli
elementi raccolti in sede investigativa, fosse fondato su un compendio indiziario
ritenuto dall’Autorità emittente seriamente evocativo di un fatto reato,
commesso dalla persona della quale era richiesta la consegna.
La Corte di appello, dunque, verificata la doppia punibilità del fatto in
entrambi gli Stati, la limitazione temporale della custodia cautelare anche
secondo l’ordinamento giuridico vigente nella Repubblica ceca, e l’esistenza di

dell’art. 19, comma 1, lett. c), della legge n. 69 del 2005, la consegna del
Conversano solo ai fini processuali e, quindi, a tempo limitato e in funzione della
celebrazione del processo per il descritto fatto delittuoso, disponendo che, al
termine del giudizio, l’interessato fosse riconsegnato all’Italia per scontarvi
l’eventuale pena a lui irrogata dall’Autorità ceca.

2. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione il Conversano
tramite il difensore, avvocato Gilberto Comotto, il quale deduce l’illegittimità
della decisione per le ragioni che seguono.
2.1. Violazione degli artt. 6 e 9 cod. pen. e dell’art. 18, lett. p), della legge n. 69
del 2005.
La consegna avrebbe dovuto essere rifiutata poiché il reato ipotizzato, come
risulterebbe dalla stessa descrizione contenuta nel MAE, era stato commesso
almeno in parte in Italia, sia con riguardo al momento ideativo che aveva
impegnato i cinque concorrenti, tutti cittadini italiani; sia con riguardo al
momento consumativo poiché il profitto derivante dalla presunta condotta
fraudolenta era stato definitivamente conseguito in Italia con l’approdo, sui conti
correnti personali delle persone indagate, delle somme di denaro trasferite.
2.2. Sussiste, inoltre, secondo il ricorrente, la violazione dell’art. 6, comma 1,
lett. c), della legge n. 69 del 2005: escluso, per tabulas, che la richiesta di
consegna sia fondata su una sentenza definitiva di condanna o su un
provvedimento cautelare, essa è testualmente finalizzata, nel MAE, al “recapito
della decisione sull’introduzione di un procedimento penale e citazione
all’interrogatorio presso gli organi competenti nel procedimento penale”.
Tali finalità, corrispondenti, rispettivamente, all’informazione di garanzia di
cui all’art. 369 del codice di procedura penale italiano e alla citazione per
l’interrogatorio della persona imputata, non postulano provvedimenti decisori
esecutivi, a norma del citato art. 6, comma 1, lett. c), legge n. 69 del 2005, ma
atti meramente introduttivi e istruttori, i quali non giustificano, anche alla luce
dei principi della nostra Costituzione (art. 13) e della Convenzione per la
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garanzie della libertà personale nello Stato richiedente, ha disposto, ai sensi

salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (art. 5), la
limitazione della libertà personale.
In particolare, con riguardo all’interrogatorio della persona sottoposta ad
indagini, la natura istruttoria di tale atto, non assimilabile a quelli previsti
dall’art. 6 della legge n. 69 del 2005 che legittimano il MAE, emergerebbe
dall’art. 15 della stessa legge, laddove è prevista la possibilità che
l’interrogatorio si svolga nello Stato richiesto della consegna ovvero nello Stato

nella lettura sistematica della legge, sancirebbe la diversità giuridica ed
ontologica tra la citazione per l’interrogatorio e la decisione giudiziaria esecutiva
costituente presupposto necessario del MAE.
2.3. Un terzo profilo di illegittimità è ravvisato dal ricorrente nella mancanza
di motivazione della sentenza impugnata con riguardo al provvedimento assunto
a fondamento del MAE, poiché la Corte distrettuale avrebbe omesso di verificare
la sussistenza del titolo (decisione giudiziaria definitiva o cautelare o, comunque,
esecutiva) legittimante il mandato.
Per tutte le anzidette ragioni il ricorrente richiede l’annullamento della
sentenza impugnata.

3. Il 12 agosto 2014 è stata depositata memoria difensiva,
Il ricorrente sostiene, preliminarmente, la tempestività della memoria,
poiché la notificazione dell’avviso dell’odierna udienza davanti a questa Corte,
avvenuta solo il 7 agosto u.s., nel rispetto dei cinque giorni liberi previsti dall’art.
22, comma 3, legge n. 69 del 2005, non consentirebbe al difensore il rispetto
dell’analogo termine di cinque giorni per il deposito di memorie previsto, in via
generale, per il procedimento in camera di consiglio dall’art. 127, comma 2, cod.
proc. pen.
Nella memoria il difensore rimarca l’illegittimità della sentenza che ha
disposto la consegna senza verificare la sussistenza di una decisione giudiziaria
definitiva o cautelare o, comunque, esecutiva ai sensi dell’art. 6, comma 1, lett.
c), legge n. 69 del 2005, tali non essendo “il recapito della decisione
sull’introduzione di un procedimento penale” davanti all’Autorità giudiziaria della
Repubblica Ceca, e “la citazione all’interrogatorio” nell’ambito dello stesso
procedimento, così testualmente indicati nella richiesta di consegna. E, al
riguardo, il ricorrente richiama la giurisprudenza di questa Corte che ha escluso
la consegna nei casi in cui la richiesta sia funzionale solo allo svolgimento di atti
istruttori, come i confronti e gli interrogatori, e, in particolare, ha escluso la

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di emissione previo trasferimento solo temporaneo dell’interessato. Tale norma,

rilevanza del “recapito di una decisione sull’introduzione del procedimento
penale” ai fini dell’accoglimento della richiesta di consegna.
Nella memoria il difensore sottolinea anche l’altro elemento di illegittimità
della disposta consegna, poiché il delitto di concorso in truffa si sarebbe
consumato in Italia, dove sarebbe stato conseguito il profitto, all’esito dei vari
passaggi di denaro attraverso operazioni bancarie compiute presso istituti di
credito della Repubblica Ceca.

A titolo esemplificativo richiama il prelevamento della somma di euro 34.329
(risultante da più operazioni tra loro aggregate in un unico flusso giornaliero),
confluita, attraverso il circuito Bankamericacard Visa, sul conto della agenzia
“Travel Service”, con sede in Torino, presso la Banca Popolare di Intra, come da
allegato estratto conto, rappresentando che la convenzione POS per tale Agenzia
era stata stipulata a nome del Magni, legale rappresentante della “Charter & Air
Service”, indagato insieme al Conversano ed altri nel procedimento pendente
davanti alla Repubblica Ceca.
Le singole operazioni menzionate nel MAE costituirebbero altrettanti
passaggi di tale trasferimento di denaro dalla Repubblica Ceca in Italia,
attraverso il sistema bancario, e confermerebbero la commissione del reato,
almeno in parte, nel territorio nazionale e, quindi, l’esistenza di una causa
ostativa alla consegna ai sensi dell’art. 18, comma 1, lett. p), legge n. 69 del
2005.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso non merita accoglimento per le ragioni che seguono.
Preliminarmente va affermata, in tema di mandato di arresto europeo,
l’ammissibilità della memoria difensiva depositata oltre il termine di cinque giorni
prima dell’udienza in camera di consiglio, fissata, a norma dell’art. 22, comma 3,
legge 22/04/2005, n. 69, per la decisione sul ricorso per cassazione avverso il
provvedimento che ha deciso sulla consegna.
E, invero, in caso di impugnazione della decisione della Corte di appello sul
mandato di arresto europeo, il procedimento da seguire, ai sensi dell’art. 22
legge n. 69 del 2005, cit., è quello in camera di consiglio nelle forme di cui
all’art. 127 cod. proc. pen., con la variante che l’avviso dell’udienza può essere
notificato fino a cinque giorni prima e non dieci, come in generale previsto dallo
stesso art. 127, comma 1, cod. proc. pen. Ne discende che, ove l’avviso di
udienza sia stato notificato nell’ultimo giorno utile, ossia nel quinto giorno prima
dell’udienza, l’interessato può legittimamente depositare memoria difensiva nei
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”’

giorni successivi, senza essere vincolato dal termine previsto, in via generale,
dall’art. 127, comma 2, cod. proc. pen.
Le esigenze di speditezza che connotano l’intero procedimento in materia di
mandato di arresto europeo, e la loro necessaria coniugazione con le prerogative
difensive, non ammetterebbero, infatti, una soluzione diversa che, per favorire le
prime, sacrificasse le seconde, sicché, quando l’avviso di udienza sia stato
notificato nell’ultimo giorno utile ossia nel quinto libero prima dell’udienza, deve

successivamente a tale termine, come avvenuto nel caso di specie.
1.1. Il primo profilo di illegittimità della decisione di consegna, nell’ordine
dedotto dal ricorrente, concerne il luogo di consumazione del reato che, a suo
avviso, si sarebbe consumato almeno in parte in Italia e, perciò, osterebbe alla
consegna della persona richiesta allo Stato rumeno, a norma dell’art. 18, comma
1, lett. p), legge n. 69 del 2005.
Il motivo è infondato.
Come emerge dalla lettura del MAE e della relazione illustrativa ad esso
allegata, i fatti, ivi puntualmente descritti, si sono interamente consumati nel
territorio della Repubblica Ceca, dove è stata costituita la società esca, “Charter
& Service s.r.l.”; dove sono stati accesi i conti correnti da parte del Conversano e
complici; dove sono state ottenute, dagli istituti di credito ivi operanti, carte di
pagamento e di credito utilizzate per i vari passaggi di denaro; dove sono state
depositate le somme e, quindi, fraudolentemente trasferite dal conto sociale a
quelli individuali degli indagati, tra cui il Conversano, con sofisticate operazioni
bancarie, tutte attuate in territorio ceco.
L’estratto conto allegato alla memoria difensiva depositata nella giornata di
ieri, 12 agosto, non smentisce le complicate movimentazioni bancarie compiute
nella Repubblica Ceca, analiticamente riportate nella documentazione trasmessa
dallo Stato di emissione, poiché esso attiene a passaggi di denaro che
interessano una società (la “Travel Service”) ed una banca italiana (Banca
popolare di Intra) estranee ai fatti descritti nel MAE.
1.2. Il secondo profilo di illegittimità può essere trattato insieme al terzo.
Il ricorrente lamenta che il contenuto del MAE tenderebbe esplicitamente ad
una consegna funzionale ad obiettivi inidonei a legittimarla, individuati
nell’informazione da recapitare al Conversano sull’introduzione del procedimento
penale a suo carico nella Repubblica Ceca e nella citazione per l’interrogatorio
presso gli organi competenti nello Stato di emissione; e censura l’assenza di un
valido titolo per richiedere la consegna in mancanza di una sentenza esecutiva,
di un provvedimento cautelare o di qualsiasi altra decisione giudiziaria esecutiva
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ammettersi la facoltà del difensore di depositare memorie anche

avente la stessa forza, tale non potendo ritenersi l’informazione e la citazione
suddette, costituenti meri atti introduttivi del procedimento.
La tesi non può essere condivisa.
Questa Corte si è già occupata di un caso simile, nel quale la persona
destinataria della richiesta di consegna aveva denunciato l’erronea applicazione
della legge n. 69 del 2005, art. 1, comma 2, rilevando che a base del MAE non vi
era un provvedimento cautelare ma solo un ordine di accompagnamento

che quindi mirava al soddisfacimento di mere esigenze processuali e che non
poteva costituire valido titolo per la consegna. In quella sede la Corte ha
precisato che “qualsiasi provvedimento di coercizione personale, sia pure
finalizzato ad esigenze processuali, è titolo idoneo a fondare la emissione di un
mandato di arresto europeo, dato che la legge 22 aprile 2005, n. 69, art. 6,
comma 1, lett. c), si riferisce a ogni emesso
dall’A.G. dello Stato di emissione, qualunque ne siano i motivi, purché inerenti,
come nella specie, al processo” (fra le altre, Sez. 6, n. 2711 del 20/01/2010,
Malvetta, Rv. 245793; Sez. 6, n. 45043 del 20/12/2010, Velardi, Rv. 249219). E
ha aggiunto che l’art. 1, comma 2, della medesima legge definisce il MAE come
“una decisione giudiziaria emessa (…) in vista dell’arresto e della consegna (…)
di una persona, al fine dell’esercizio di azioni giudiziarie in materia penale o
dell’esecuzione di una pena o di una misura sicurezza privative della libertà
personale”, con la conseguenza che anche le “azioni giudiziarie” possono essere
poste a fondamento di una misura “privativa della libertà personale” (Sez. 6, n.
20282 del 24/04/2013, dep. 10/05/2013 Radosavljevic Rv. 252867).
E’ stato, inoltre, affermato che, in tema di mandato di arresto europeo, può
essere data esecuzione ad una richiesta di consegna basata su un provvedimento
cautelare “interno”, che contenga un generico riferimento ad eventuali attività
istruttorie, senza collegare i termini di durata della consegna all’espletamento di
specifici atti (Sez. 6, n. 45043 del 20/12/2010, dep. 22/12/2010, Velardi, Rv.
249219); e che la consegna è legittima anche nel caso mandato emesso al fine
di ottenere la presenza di un imputato per il compimento di uno specifico atto
istruttorio (Sez. 6, n. 51511 del 18/12/2013, dep. 19/12/2013, Lampugnani, Rv.
258510).
La correttezza dell’interpretazione, secondo la quale anche l’esercizio
dell’azione penale è condizione che legittima l’emissione di un mandato di
arresto europeo, è confermata dalla disposizione di cui all’art. 19, comma 1, lett.
c), legge n. 69 del 2005, di cui la Corte di appello ha fatto corretta applicazione
nella sentenza impugnata, a termini della quale, “se la persona oggetto del
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coattivo, emesso al mero scopo di consentire la sua presenza in udienza; atto

mandato d’arresto europeo è cittadino o residente
dello Stato italiano, la consegna è subordinata alla condizione che la persona,
dopo essere stata ascoltata, sia rinviata nello Stato membro di esecuzione per
scontarvi la pena o la misura di sicurezza privativa della libertà personale
eventualmente pronunciate nei suoi confronti nello Stato membro di emissione”.
Diverso, invece, è il caso dell’interrogatorio previsto dall’art. 15 della legge

possa costituire finalità legittima di un mandato di arresto europeo, giacché la
norma suddetta fa chiaro riferimento all’interrogatorio interno al procedimento
speciale di consegna e non all’ascolto della persona richiesta nel procedimento
penale per cui è stato emesso il MAE davanti all’autorità dello Stato richiedente.
Nel caso in esame, dunque, come si evince dalla lettura degli atti trasmessi,
finalizzati ad ottenere coattivamente la presenza del Conversano per informarlo
del procedimento e procedere al suo interrogatorio davanti all’Autorità giudiziaria
della Repubblica Ceca, dopo numerosi tentativi di contatto diretto e a mezzo di
collaborazione giudiziaria internazionale, tutti risultati vani, va affermata la
legittimità e riconoscibilità del titolo legittimante il MAE, costituito da un
provvedimento cautelare interno (espressamente denominato “mandato
d’arresto” emesso il 29 aprile 2014 dal Tribunale di Praga) al fine di esercitare
l’azione penale nei confronti del Conversano per concorso in truffa (frode)
aggravata e assicurarne l’informazione del processo e la partecipazione ad esso.

2. Segue il rigetto del ricorso, come legittimamente statuito dalla Corte di
appello.
La cancelleria curerà gli adempimenti di cui all’art. 22, comma 5, legge n.
69 del 2005.
P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali.
Comunicazioni secondo legge n. 69 del 2005, art. 22.

Così deciso, in Roma, in data 13 agosto 2014.

n. 69 del 2005, impropriamente richiamato dal ricorrente per escludere che esso

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