Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 35715 del 08/04/2014


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 35715 Anno 2014
Presidente: OLDI PAOLO
Relatore: PEZZULLO ROSA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
MAISTO ALESSANDRO N. IL 27/06/1985
avverso la sentenza n.10163/2013 CORTE DI CASSAZIONE di
ROMA, del 19/04/2013
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ROSA PEZZULLO;
letté/sentite le conclu • I
Dott.

Data Udienza: 08/04/2014

udito il Procuratore Generale, in persona del Sostituto Procuratore
Generale, dott. Giovanni D’Angelo, che ha concluso per l’inammissibilità del
ricorso;
udito il difensore dell’imputato, avv. Armando Veneto, che ha concluso per
l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 19 aprile 2013 la Prima Sezione Penale di questa
Corte rigettava il ricorso proposto da Maisto Alessandro avverso la sentenza

quale era stata confermata la pena dell’ergastolo nei confronti dell’imputato,
per i reati di omicidio premeditato in danno di Girardi Ciro e Girardi Domenico,
nonché di detenzione e porto in luogo pubblico di armi da sparo, di
ricettazione di un’autovettura provento di furto e di rapina aggravata di altra
autovettura e di un motoveicolo.
2. Avverso tale sentenza il Maisto ha proposto ricorso straordinario ex art.
625 bis c.p.p., lamentando, quale unico motivo, l’ errore di fatto su un punto
decisivo per la responsabilità dell’imputato, poiché il Supremo collegio,
incorrendo nell’equivoco di ritenere “medesimo” il risultato cui erano pervenuti
il perito d’ufficio ed il consulente della difesa (sedici punti caratteristici
individuati), è giunto ad una decisione che, viceversa, senza tale errore,
sarebbe stata diversa; inoltre, anche a voler prescindere da detto equivoco,
l’errore commesso dalla Corte di assise di Appello di Napoli di non sentire il
C.T.P. prof. Picciocchi, ma soprattutto quella di disporre una superperizia – ha
travolto il Supremo Collegio a tal punto da determinare una falsa percezione
delle risultanze processuali, perché la superperizia, ove disposta, avrebbe
portato ad una diversa pronuncia.
2.1. In particolare, il ricorrente ha dedotto: che nel caso di specie vi è
stata una falsa percezione delle risultanze processuali, ossia vi è stato un
errore di lettura degli atti “interni” al giudizio di Cassazione, indotto dal
gravissimo equivoco in cui sono pervenuti i giudici di legittimità in ordine alla
prova scientifica, prova sulla quale è stata fondata la certezza – oltre ogni
ragionevole dubbio – della responsabilità del Maisto; che gli atti interni
oggetto di un’erronea lettura attengono al frammento di impronta digitale
rinvenuta sul sacchetto di plastica trovato all’interno della vettura Ford Fiesta
utilizzata dai killer e agli elaborati di consulenza tecnica e di perizia, volti cioè
a stabilire la paternità certa dell’impronta, impressa sulla indicata busta di
plastica; che nella sentenza impugnata è stato evidenziato che “la Corte
territoriale ha preso in considerazione la memoria del consulente della difesa
allegata all’atto di appello, e l’ha valutata alla luce perizia d’ufficio,
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della Corte di Assise di Appello di Napoli emessa in data 18.4.2011, con la

disattendendola motivatamente quanto alla classificazione dell’impronta nella
categoria bi – delta, e quanto alla individuazione dei punti nitidi e
incontrovertibili, osservando che, il consulente della difesa era giunto al
medesimo risultato del perito d’ufficio (sedici punti caratteristici individuati),
motivando in ordine alla inutilità di una nuova perizia”; che i motivi di ricorso
riguardanti il valore motivazionale da attribuire (ex art. 546 c.p.p.) alla
consulenza di parte, sono stati disattesi ed anzi, non sono mai stati esaminati,
in quanto, secondo la Suprema Corte, anche il C.T.P. Dott. Picciocchi ha preso

quindi in numero sufficiente per procedere alla individuazione di chi quella
impronta aveva lasciato; che la ritenuta convergenza delle conclusioni del
consulente d’ufficio e del consulente della difesa ha, dunque, presieduto alla
decisione di rigetto del motivo di ricorso attinente la necessità di annullare
una sentenza che, sul punto aveva negato di ammettere una super perizia che
dirimesse il contrasto tra consulenti; che è certamente un equivoco aver
ritenuto che la Corte territoriale avesse valutato come identico il risultato del
consulente della difesa e del perito d’ufficio in ordine ai punti caratteristici
individuati, atteso che nella sentenza emessa dalla Corte di Assise di appello
era scritto: “le argomentazioni critiche formulate dal consulente dell’imputato
sulla correttezza dei metodi di analisi e di confronto delle impronte non sono
idonee a scalfire la validità delle conclusioni del perito di ufficio, che è
pervenuto allo stesso risultato del consulente del pubblico ministero in ordine
alla sussistenza di almeno sedici punti caratteristici, uguali per forma e per
posizione, tra l’impronta rilevata e quella dell’imputato “; ne consegue che il
“medesimo risultato del perito d’ufficio” al quale il Supremo Collegio fa
riferimento in ordine alla individuazione di sedici punti caratteristici è stato
raggiunto non dal consulente della difesa, ma viceversa dal consulente
dell’accusa; che si verte nella fattispecie certamente in tema di equivoco
“rilevante” ai fini del presente ricorso, perché concernente un punto decisivo
della responsabilità del Maisto, ossia la certa riconducibilità dell’impronta
all’imputato e per giunta assolutamente “evidente” perché facilmente
rilevabile sulla base del solo raffronto tra la sentenza impugnata e gli atti di
causa (la sentenza di merito e la consulenza del C.T.P. della difesa) ed anzi
proprio la discrepanza tra le conclusioni formulate dal perito isp. Capo Boemia
e quelle sottoscritte dal consulente della difesa, da una parte rendevano
incerto il percorso di identificazione dattiloscopica, dall’altra giustificavano,
evidenziandone l’assoluta necessità, tanto la richiesta di esame del C.T.P.
della difesa, prof. Picciocchi, quanto l’assunzione di una nuova prova, ossia
una superperizia, al fine di stabilire al di là di ogni ragionevole dubbio, se il

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atto che potevano essere rilevati 16 punti caratteristici della impronta digitale,

frammento d’impronta repertato offrisse almeno 16 – 17 punti caratteristici,
idonei a sostenere un giudizio di utilità al confronto ed in caso positivo se tali
punti fossero uguali per forma e posizione all’impronta nota, posta a
confronto.
2.2. Il ricorrente ha dedotto altresì che nella sentenza impugnata si
registra, comunque, una fuorviata rappresentazione della realtà, atteso che il
giudizio di fatto si fonda su un errore percettivo del consulente del P.M., poi
interamente recepito dal perito isp. capo Boemia e direttamente incidente sul

impronta lasciata sul sacchetto abbandonato nell’auto usata dagli autori
materiali dell’omicidio ha costituito elemento essenziale per l’affermazione
della responsabilità del ricorrente e partendo da esso la Suprema Corte ha
omesso la valutazione dell’intero capitolo del ricorso riguardante la correttezza
delle risultanze peritali relative all’impronta digitale, sul presupposto che vi
fosse accordo tra i consulenti circa l’ individuazione del numero minimo di
elementi caratterizzanti l’impronta e, quindi, utili per la comparazione; che su
tale erroneo presupposto la Corte ha fondato la prova della piena attendibilità
delle dichiarazioni accusatorie dell’Amatrudi ed ha scelto di non esaminare la
parte di impugnazione relativa alle numerose confliggenti opinioni dei
consulenti, circa la esatta individuazione dei 16 punti caratteristici necessari
per procedere alla identificazione.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso non merita accoglimento.
1. Giova innanzitutto richiamare i principi più volte espressi da questa
Corte con riferimento ai presupposti che legittimano il rimedio straordinario di
cui all’art. 625 bis c.p.p. e segnatamente: 1) l’errore di fatto suscettibile di
essere emendato con il ricorso in questione, stante la fisionomia dell’istituto,
che non ha inteso introdurre un ulteriore grado di giudizio, implica che esso
consiste in un errore percettivo, causato da una svista o da un equivoco che
ha influenzato il processo formativo della volontà della Cassazione
condizionandone la decisione che risulta viziata, in modo diretto ed evidente,
dall’inesatta percezione delle risultanze processuali, conducendo ad una
sentenza diversa da quella che sarebbe adottata senza l’errore di fatto (Sez.
III n. 21967 del 16/04/2013, Sez. 6, Sentenza n. 25121 del 02/04/2012 Cc.
dep. 22/06/2012 Rv.253105; Sez. un. 27 marzo 2002, deo. 30 maggio 2002,
n. 16103); 2) l’errore di fatto deve inoltre rivestire “inderogabile carattere
decisivo”, deve cioè necessariamente tradursi, per legittimare il ricorso
straordinario, “nell’erronea supposizione di un fatto realmente influente
sull’esito del processo, con conseguente incidenza effettiva sul c tenuto del

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giudizio di legittimità; che la questione relativa alli attribuzione al Maisto della

provvedimento col quale si è concluso il giudizio di legittimità (Sez. III n.
21967 del 16/04/2013); 3) sono estranei all’ambito di applicazione
dell’istituto gli errori di interpretazione di norme giuridiche, sostanziali o
processuali, ovvero la supposta esistenza delle norme stesse o l’attribuzione
ad esse di una inesatta portata, anche se dovuti ad ignoranza di indirizzi
giurisprudenziali consolidati, gli errori derivanti da una qualsiasi valutazione
giuridica o di circostanze di fatto correttamente percepite (Sez. VI,
28/05/2013, n. 28269), gli errori valutativi, essendo in tal caso configurabile

incorso il giudice di merito, dovendosi questi ultimi far valere – anche se
risoltisi in travisamento del fatto – soltanto nelle forme e nei limiti delle
impugnazioni ordinarie.
2. Il ricorrente si duole del fatto che la Corte di legittimità con la sentenza
impugnata ha equivocato il risultato della consulenza della difesa, ritenuto ” il
medesimo” di quello della perizia di ufficio, circa i sedici punti caratteristici
individuati, quanto alla classificazione dell’impronta digitale rinvenuta sulla
busta trovata nell’autovettura abbandonata dai killer sul luogo del delitto.
Effettivamente la Corte di legittimità nel riportare alla pagina nove della
sentenza impugnata il pensiero della Corte territoriale non indica
correttamente la valutazione dalla stessa compiuta circa la convergenza dei
risultati del consulente del P.M. (e non della difesa) e del perito di ufficio (pg.
37 della sentenza della Corte d’Assise di Appello di Napoli), evidenziando,
invece, che “il consulente della difesa era giunto al medesimo risultato del
perito d’ufficio (sedici punti caratteristici individuati)”. Orbene, anche a voler
ritenere che si è in presenza di un “errore di fatto” dovuto a “una vera e
propria svista materiale” da parte della Corte di legittimità, ossia ad una
disattenzione di ordine meramente percettivo, difetta, tuttavia, l’inderogabile
carattere decisivo di tale errore, non avendo effettivamente inciso sul
contenuto del provvedimento col quale si è concluso il giudizio di legittimità.
Ed invero, l’erronea percezione” della Corte di legittimità si inserisce nella
valutazione del vizio di cui all’art. 606, primo comma, lett. d) c.p.p.,
lamentato dal Maisto con riguardo alla motivazione della sentenza della Corte
territoriale circa la mancata riapertura dell’istruzione dibattimentale per
sentire il consulente tecnico della difesa e per espletare una nuova perizia
dattiloscopica sulla busta di plastica, vizio questo ritenuto insussistente nella
sentenza impugnata, non rientrando la perizia nella categoria della “prova
decisiva” e non essendo, pertanto, il relativo provvedimento di diniego
sanzionabile ai sensi dell’art. 606 c.p.p., in quanto costituente il risultato di un
giudizio di fatto che, se sorretto da adeguata motivazione, è insi dacabile in
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un errore non di fatto, bensì di giudizio, nonché gli errori percettivi in cui sia

cassazione. Sul punto la Corte di legittimità, quindi, ha ritenuto correttamente
motivato il diniego da parte della Corte di merito sul presupposto che tutte le
deduzioni contenute nella memoria del consulente della difesa erano state
motivatamente disattese, sicchè l’ulteriore rilievo della sovrapponibilità dei
risultati della consulenza della difesa e della perizia, si presenta irrilevante e
senz’altro non decisivo nel contesto argomentativo della sentenza impugnata.
3. La seconda parte del motivo di ricorso resta in parte assorbita dalle
valutazioni sopra effettuate circa la non decisività dell’errore, atteso che il

incorsa la Corte di legittimità, di fatto pone a fondamento delle sue doglianzerelative alla mancata considerazione del capitolo del ricorso riguardante la
correttezza delle risultanze peritali, al mancato espletamento della
superperizia e alla mancata audizione del consulente di parte proprio tale
errore- in assenza del quale la corte di legittimità avrebbe diversamente
deciso. Per altra parte le deduzioni proposte si presentano inammissibili,
siccome esorbitanti rispetto al rimedio straordinario proposto, individuando
asseriti errori valutativi e non certamente percettivi.
4. Il ricorso, pertanto, va rigettato ed il ricorrente va condannato al
pagamento delle spese processuali
p.q.m.
rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali.
Così deciso il 8.4.2014

ricorrente, pur evidenziando di voler prescindere dall’equivoco in cui sarebbe

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