Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 35710 del 09/06/2015


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 35710 Anno 2015
Presidente: LAPALORCIA GRAZIA
Relatore: SETTEMBRE ANTONIO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
BERTONE BERNARDO N. IL 13/09/1949
RAPPA OTTAVIO N. IL 22/05/1959
avverso la sentenza n. 1537/2012 CORTE APPELLO di GENOVA, del
20/05/2013
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 09/06/2015 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. ANTONIO SETTEMBRE
Udito il Procuratore Generale in persona-del Dott.
che ha concluso per

Udito, per la parte civile, l’Avv
Udit i difensor Avv.

Data Udienza: 09/06/2015

- Udito il Procuratore Generale della Repubblica presso la Corte di Cassazione, dr.
Giuseppe Corasaniti, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. La Corte d’appello di Genova, con la sentenza impugnata, in parziale riforma
di quella emessa dal locale Tribunale, ha condannato Bertone Bernardo e Rappa
Ottavio a pena di giustizia per bancarotta fraudolenta patrimoniale e

fallita il 20/11/2003.
Secondo la prospettazione accusatoria, condivisa dai giudici del merito, gli
imputati, operando nella qualità sopra detta, realizzarono – in un momento in cui
la società era già stata posta in liquidazione – una serie numerosa di truffe in
danno di vari venditori mediante l’acquisto di merce con assegni privi di
provvista, distrassero i beni acquistati e, al fine di recare pregiudizio ai creditori,
occultarono o distrussero le scritture contabili. I due, dichiarate prescritte le
truffe, sono stati condannati per i reati fallimentari.

2. Contro la sentenza suddetta hanno proposto ricorso per Cassazione, mediante
i rispettivi difensori, entrambi gli imputati.
2.1. L’avv. Fabrizio Mantovani, nell’interesse di Bertone Bernardo, deduce
violazione di legge e vizio di motivazione in ordine all’affermazione della
responsabilità, all’esclusione del vizio totale di mente, alla negazione delle
attenuanti generiche e al giudizio di comparazione tra circostanze. Lamenta che
la Corte di merito non abbia spiegato quale sia stato “l’inserimento penalmente
rilevante del Bertone all’interno della società”, quali fatti distrattivi abbia posto in
essere e perché debba ritenersi amministratore dei fatto della A&A srl, posto che
nessuno dei testi esaminati ha riferito di aver trattato con lui; che la Corte abbia
malamente interpretato la perizia del CTU, il quale, al di là delle formule “di
sintesi” utilizzate, aveva concluso per la totale incapacità di intendere e di volere
del Bertone; che l’esclusione delle attenuanti generiche, a seguito dell’appello
della Procura, si pone in contrasto col riconosciuto vizio di mente e col contributo
minimale dato da Bertone nella vicenda, oltre ad essere illogicamente motivata;
che il giudizio di comparazione tra circostanze non tiene conto del fatto che
l’etilismo cronico – da cui Bertone era affetto – era tale che non consentiva
all’imputato di comprendere il disvalore dell’azione delittuosa posta in essere.
2.2. L’avv. Ciro Paparo, nell’interesse di Rappa, lamenta che non sia stata
dimostrata la partecipazione dell’imputato alla gestione della società e che non
sia stato sviluppato un congruo ragionamento in ordine alla partecipazione di
Rappa ai reati che gli sono contestati.
1

documentale commessa quali amministratori di fatto della A&A srl, dichiarata

CONSIDERATO IN DIRITTO

I ricorsi sono entrambi inammissibili per mancanza di specificità.
1. Con consolidato orientamento, questa Corte ha avuto modo di precisare che
“è inammissibile il ricorso per Cassazione fondato su motivi che ripropongono le
stesse ragioni già discusse e ritenute infondate dal giudice del gravame,
dovendosi gli stessi considerare non specifici. La mancanza di specificità del

indeterminatezza, ma anche per la mancanza di correlazione tra le ragioni
argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento
dell’impugnazione, questa non potendo ignorare le esplicitazioni del giudice
censurato senza cadere nel vizio di aspecificità….” (Cass., sez. 4, n. 5191 del
29/3/2000, Rv. 216473. Da ultimo, Cass., n. 28011 del 15/2/2013).

2. Il ricorso dell’avv. Mantovani, proposto nell’interesse di Bertone, prescinde
totalmente dalle motivate argomentazioni dei giudici di merito, i quali hanno
sottolineato che tutti gli imputati (non solo quelli oggi giudicati) parteciparono
all’operazione che portò la A&A srl ad acquistare merce per circa 120 mila euro
quando era già in liquidazione – e quindi si sarebbe dovuta limitare a “liquidare”
le attività esistenti – e a distrarre la merce, che non fu infatti inventariata dal
curatore, né fu reperito l’equivalente monetario; che Bertone partecipò
personalmente ad almeno tre-quattro acquisti, trattando con i venditori, e fu
presente alla consegna della merce, insieme agli altri imputati (pagg. IX-X).
Contrastante col tenere della pronuncia impugnata è, invece, la principale difesa
spiegata dal ricorrente, a mente della quale nessuno dei testi esaminati avrebbe
riferito di aver trattato con Bertone, posto che la sentenza – non contrastata, sul
punto con l’allegazione di elementi idonei a superare il pronunciato del giudice di
merito – dice esattamente il contrario. Del tutto consequenziale è, pertanto, il
divisamento – espresso dal Tribunale prima e dalla Corte d’appello poi – che
Bertone si inserì nella gestione della società, posto che gli atti compiuti
rimandano effettivamente ad un ruolo gestorio, siccome incidenti sulla
consistenza patrimoniale della A&A srl e la sua proiezione esterna; come
consequenziale è l’affermazione che l’attività spiegata dall’imputato presuppone
la consapevolezza e la volontà di distrarre i beni della società, dopo aver
cooperato alla loro acquisizione con modalità truffaldine.
2.1. L’affermazione che la Corte abbia malamente interpretato la CTU è
sprovvista di un nucleo argonnentativo ed è, pertanto, irricevibile. Peraltro la
sentenza, rispondendo ad analoga censura formulata col gravame, ha già chiarito

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motivo, invero, dev’essere apprezzata non solo per la sua genericità, come

- senza possibilità di appiglio – che le conclusioni del perito non hanno il tenore
immaginato dal ricorrente.
2.2. Nessuna contraddizione vi è tra il riconoscimento del vizio parziale di mente
e la negazione delle attenuanti generiche, posto che il primo si pone sul piano
dell’indagine personalistica e la seconda sul piano della meritevolezza. E’
rispettata la logica, pertanto, se, riconosciuto il vizio di mente, non vengono
riconosciute attenuanti generiche, che presuppongono l’esistenza di situazioni
non codificate atte a incidere sul disvalore del fatto e alla personalità del reo, di

2.3. Non è dato comprendere, infine, né viene spiegato, perché vi sarebbe
contraddizione tra il riconoscimento del vizio (parziale) di mente e il suo
bilanciamento – in termini di equivalenza, invece che di prevalenza – con le
aggravanti contestate (recidiva e pluralità di fatti di bancarotta). Il giudizio sulla
capacità di intendere e di volere dell’imputato è del tutto svincolato, infatti, dal
giudizio di comparazione tra circostanze di segno opposto, pure consentito dalla
valenza circostanziale della norma di cui all’art. 89 cod. pen.. Ne consegue che
non è ravvisabile vizio logico né contraddittorietà tra la ritenuta sussistenza della
diminuente del vizio di mente, idoneo a legittimare l’applicazione dell’art. 89 cod.
pen., ed il giudizio di equivalenza anziché di prevalenza con le aggravanti sopra
specificate, trattandosi di valutazioni che operano su piani diversi. Il fatto,
segnalato dal ricorrente, che l’etilismo di Bertone era tale da compromettere la
sua capacità di intendere e di volere è alla base del riconoscimento della
diminuente e non ha nulla a che vedere col giudizio di comparazione tra
circostanze, rimesso alla valutazione del giudice di merito e non censurabile in
Cassazione se non quando sia frutto di mero arbitrio o ragionamento illogico. Al
contrario, è illogico sostenere – sulla scia degli argomenti difensivi – che il vizio
di mente debba prevalere sulle circostanze sfavorevoli in considerazione della
ridotta capacità di intendere e di volere del soggetto, posto che tale condizione è
già presa in considerazione dall’ordinamento per imporre una autonoma
diminuzione di pena.

3. Il ricorso dell’avv. Paparo, proposto nell’interesse di Rappa, manca dei requisiti
minimi per essere preso con considerazione, dacché si risolve nella generica
contestazione del risultato decisorio, senza lo sviluppo di un congruo
ragionamento atto a contrastare la motivazione del giudicante, totalmente
ignorata dal ricorrente.

4. Ai sensi dell’articolo 616 cod. proc. pen., con il provvedimento che dichiara
inammissibile il ricorso, la parte privata che lo ha proposto deve essere
condannata al pagamento delle spese del procedimento, nonché — r vvisandosi
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cui non è stata ravvisata – nella specie – l’esistenza.

profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità – al pagamento
a favore della cassa delle ammende della somma di mille euro, così
equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti

P.Q.M.

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna ciascun ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di € 1.000 a favore della Cassa delle ammende.

Così deciso il 9/6/2015

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