Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 35709 del 02/07/2014


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 35709 Anno 2014
Presidente: MARASCA GENNARO
Relatore: FUMO MAURIZIO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
DESOGUS PAOLO N. IL 17/05/1963
FERRUGGIO RICCARDO N. IL 24/08/1982
avverso la sentenza n. 9/2012 CORTE ASSISE APPELLO di MILANO,
del 19/12/2012
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 02/07/2014 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. MAURIZIO FUMO
che ha concluso per

Udito, per la parte civile, l’Avv
dit i difensor Avv.

Data Udienza: 02/07/2014

udito il PG in parola del dott. E. Scardaccione, sost. proc. gen., che ha chiesto rigettarsi il
ricorso.
RITENUTO IN FATTO

2. Il capo di imputazione recita: “delitto di cui agli articoli 110, 584, 585, 577 commi
primo e quarto cp, perché, in concorso tra loro, colpendo più volte al capo e al corpo -in data
24 febbraio 2010- con una mazza da baseball e con una mazza di ferro, Battaglia Giancarlo,
cagionando allo stesso lesioni personali consistenti in trauma cranico, trauma spalla,
avambraccio e mano destra, avambraccio e gomito sinistro, con frattura del gomito, numerose
ferite lacero-contuse, ne cagionavano il decesso, intervenuto in data 9 marzo 2010, per arresto
cardiocircolatorio”.
3. In sentenza i fatti vengono sinteticamente ricostruiti come segue.
Il 24 febbraio 2010 Battaglia, rientrando a casa, si accorgeva che i vetri della sua auto erano
stati rotti. Sospettando che l’autore del fatto fosse Ferrugio Riccardo, che deteneva una mazza
da baseball, collegò il fatto alla circostanza che lo stesso lo riteneva responsabile del furto di
un suo computer. La convivente di Battaglia, Randisi Silvana, resasi conto che il Ferrugio si
trovava nel confinante appartamento del Desogus, la cui porta era aperta, si introdusse nel
predetto appartamento per chiedere spiegazioni. Ne nacque un violento battibecco 9 il
Battaglia, allarmato dalle grida che provenivano dall’appartamento confinante, armatosi rdna
piccozza, intervenne a sua volta. Entrato in casa del Desogus, Battaglia fu aggredito da
quest’ultimo, armato di una spranga di ferro, e dal Ferrugio, che impugnava la mazza da
baseball; Battaglia riportava le lesioni di cui al capo di imputazione.
Ricoverato in ospedale, Battaglia tenne un comportamento assolutamente indisciplinato,
sottraendosi alle cure, fumando, assumendo cocaina. La sua morte intervenne il 9 marzo 2010.
Secondo i giudici del merito, doveva escludersi che gli imputati avessero agito per legittima
difesa e doveva escludersi che la morte di Battaglia fosse conseguenza di cause sopravvenute
(in ospedale e dopo il suo ricovero) rispetto alle lesioni riportate il 24 febbraio.
4. Avverso la predetta sentenza hanno proposto ricorso per cassazione personalmente i
due imputati.
5. Ricorso Ferrugio- Deduce due censure.
5.1. a) violazione degli articoli 493, 192, 456 comma primo lett. e) cpp e mancanza o
comunque manifesta illogicità della motivazione.
Sostiene il ricorrente che la corte d’assise d’appello ha valutato in modo superficiale le
risultanze istruttorie emerse in primo grado ed ha acriticamente condiviso le conclusioni del
primo giudicante. Si tratta peraltro di conclusioni non logicamente collegate alle premesse.
Battaglia sostenne di essere stato aggredito degli imputati, armati di una mazza da baseball. I
giudici del merito, tuttavia, non pongono in adeguato rilievo il fatto che proprio Battaglia si
introdusse nell’appartamento del Desogus, nel quale sapeva essere presente il Ferrugio,
armato di una piccozza e con chiari intenti aggressivi. Tra Battaglia e Ferrugio vi erano stati
precedenti dissapori, sfociati anche in atti violenza contro le cose. Battaglia utilizzò contro i
suoi avversari la piccozza, tanto che il ricorrente fu ferito al braccio, circostanza che risulta al
momento del suo ingresso in carcere. Altra circostanza che prova la natura violenta della
condotta di Battaglia -circostanza sostanzialmente ignorata dai giudici del merito- è il fatto che
il tavolino di vetro esistente nell’appartamento andò completamente in frantumi. Così stando le
cose, è del tutto incongruo aver negato la sussistenza della scriminante della legittima difesa,
atteso che la reazione del Ferrugio fu del tutto proporzionata all’offesa che lo stesso aveva
subito. Il ricorrente doveva difendere la sua incolumità fisica e non poteva farlo in maniera
diversa da quella effettivamente posta in essere. D’altra parte, la giurisprudenza ha chiarito
che possono essere “coperte” dalla legittima difesa anche azioni che si protraggano nel tempo.
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1. La corte di assise di appello di Milano, con la sentenza in epigrafe indicata, ha
confermato la pronuncia di primo grado, con la quale Desogus Paolo e Ferrugio Riccardo
furono condannati alla pena di giustizia in quanto ritenuti responsabili di omicidio
preterintenzionale in danno di Battaglia Giancarlo. Gli stessi furono anche condannati al
risarcimento del danno e alla corresponsione di una provvisionale.

6. Ricorso Desogus 6.1. Dopo una parte introduttiva, nella quale riassume i motivi di appello, inclusi i
motivi nuovi a suo tempo presentati (erronea ricostruzione dei fatti, erronea valutazione e
utilizzo delle rilevazioni operate dalla polizia scientifica, erronea valutazione circa
l’insussistenza della legittima difesa, erronea valutazione circa l’insussistenza del caso di
eccesso colposo in legittima difesa, insussistenza della fattispecie di cui all’articolo 584 cp sotto
il profilo soggettivo, erronea motivazione in ordine alla sussistenza del nesso di causalità,
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Così stando le cose, è evidente che la sentenza di secondo grado pecca gravemente sul
versante motivazionale, con ciò infrangendo precise norme di legge, anche di livello
costituzionale. Non appare possibile enucleare i passaggi logici attraverso i quali i giudici di
appello sono giunti alla conclusione di confermare la sentenza di primo grado. In realtà, essi
prendono le mosse da tre capisaldi: 1) la comunicazione notizia di reato (assunta però
acriticamente e senza valutare il contesto in cui il presunto reato veniva commesso), 2) La
confessione da parte di Ferrugio di aver fatto uso della mazza da baseball (e tuttavia la corte
d’assise d’appello non ha considerato che il predetto attrezzo fu usato solamente a fini
difensivi), 3) la personalità del ricorrente (dedotta, tuttavia, unicamente dai suoi precedenti
penali e dalla recidiva contesta).
È evidente allora che la corte territoriale di secondo grado ha operato una lettura
assolutamente unilaterale degli elementi di giudizio e non ha preso in nessuna considerazione
la ricostruzione alternativa, tutt’altro che illogica, proposta dalla difesa. In particolare, risulta
violato l’articolo 192, commi primo e secondo, del codice di rito per erronea assunzione del
criterio di valutazione della prova, atteso che il giudice del merito ha del tutto omesso di
effettuare la ricerca di elementi di riscontro individualizzante in relazione a tutti passaggi della
ricostruzione. Ne consegue l’assoluta apoditticità della sentenza per l’approccio preconcetto e
sostanzialmente riassuntivo tenuto dai giudicanti, che hanno fondato il loro convincimento su
mere congetture, quando non addirittura su vere e proprie suggestioni. La sentenza è viziata
da un intuizionismo di fondo, assolutamente inammissibile in campo processuale. Partendo da
tali presupposti inaccettabili, la corte d’assise d’appello arriva ad affermare addirittura che la
persona offesa non avrebbe reagito in alcun modo. Se così fosse, non si comprenderebbe
perché Battaglia aveva portato seco una piccozza e perché Ferrugio sia stato ferito. Viceversa,
non è stato preso in considerazione il fatto che le ferite riportate da Battaglia (al gomito, al
braccio, alla mano) indicano chiaramente che i suoi avversari tennero una condotta
eminentemente difensiva, in quanto non lo colpirono in alcuna parte vitale del corpo.
5.2. b) violazione degli articoli 110, 584, 585, 577 commi primo e quarto cp, nonché
mancanza o comunque manifesta illogicità della motivazione.
Sostiene il ricorrente che la corte non ha assolutamente motivato in maniera esaustiva sulla
sussistenza del nesso di causalità tra la colluttazione e l’evento morte, intervenuto circa due
settimane dopo i fatti. Invero, non è stato preso in sufficiente considerazione il fatto che
Battaglia soffriva di pregresse patologie, il fatto che lo stesso era sieropositivo e
tossicodipendente, il fatto che le sue funzioni epatiche erano gravemente compromesse, il fatto
che era affetto da ipertensione polmonare e che seguiva terapia sostitutiva con metadone. Non
è stato poi dato sufficiente rilievo al fatto che, durante il ricovero in ospedale, lo stesso aveva
continuato ad assumere cocaina ed a fumare, che aveva rifiutato le cure che gli dovevano
essere somministrate (in particolare l’ossigenoterapia). Infine Battaglia si era allontanato,
insieme con la convivente, senza essere stato autorizzato a tanto dai medici. Infine, nella tasca
della sua felpa -all’atto della morte- fu trovata ancora altra cocaina. Così stando le cose, non si
comprende perché la corte d’assise d’appello non abbia adeguatamente approfondito l’indagine
volta ad accertare se tali pregresse, concomitanti e successive cause non siano valse, da sole,
a interrompere il nesso di causalità tra l’episodio del 24 febbraio 2010 e la morte intervenuta il
9 marzo dello stesso anno. Gli stessi consulenti tecnici, oltretutto, hanno dichiarato
l’impossibilità di delimitare con certezza l’entità del peggioramento riconducibile
esclusivamente alle lesioni patite dall’assunzione di cocaina; in sintesi non è stato possibile
spiegare l’effetto finale avuto dallo stupefacente assunto poco prima della morte. Per tale
ragione, sarebbe stato indispensabile disporre perizia volta ad accertare proprio tale profilo
della catena causale. In mancanza, la corte è stata costretta a fondare il suo convincimento,
come si diceva, su semplici congetture, risultando -in tal modo- la sentenza affetta da una
incolmabile lacuna motivazionale.

necessità di rinnovazione dell’istruzione dibattimentale) e dopo aver svolto considerazioni
preliminari e osservazioni metodologiche in ordine alla impugnazione la sentenza di appello,
deduce quattro censure.
6.2. c) violazione di legge e carenze dell’apparato motivazionale in ordine alla mancata
applicazione della scriminante dell’articolo 52 cp e del combinato disposto dal predetto articolo
52 e dell’articolo 59 del medesimo codice.
Il giudice di appello ha sostanzialmente ripercorso l’iter motivazionale del primo decidente,
introducendo due ulteriori considerazioni: la prima consistente nella affermazione che l’azione
degli imputati fu particolarmente violenta e prolungata; la seconda consistente
nell’affermazione che i colpi vennero indirizzati soprattutto al capo, tanto che Battaglia perse
subito conoscenza. Da tali presupposti, la corte d’assise d’appello trae la conseguenza che i
due imputati, più che a difendersi, pensarono a “dare una lezione” al loro avversario. Si tratta,
com’è evidente, di considerazioni di natura squisitamente congetturale, che -peraltroconcorrono con una erronea concezione dei sintomi identificativi della esimente della legittima
difesa. È noto, infatti, che la verifica di proporzionalità tra aggressione e reazione non deve
essere condotta con riferimento agli effetti lesivi dell’azione reattiva, ma con riferimento alle
condizioni materiali nelle quali è avvenuta l’aggressione e, dunque, principalmente con
riferimento ai mezzi e agli strumenti che gli aggrediti avevano concretamente a disposizione
per difendersi. Il giudice di merito, viceversa, esclude la proporzionalità della reazione degli
imputati semplicemente sulla base della natura e della entità delle lesioni riportate da
Battaglia. Sta di fatto che, al momento dell’aggressione, gli imputati non avevano altri
strumenti per fronteggiare Battaglia (che era armato di piccozza) se non quelli che avevano
fortuitamente presso di sé. E’ ovvio che chi è aggredito reagisce come può, secondo la
concitazione del momento e utilizzando gli strumenti che -di fatto- sono a sua disposizione.
Inoltre la corte d’assise d’appello non svolge alcuna valutazione circa la potenzialità lesiva
dell’aggressione proveniente da Battaglia e non considera minimamente il contesto fattuale nel
quale si è esplicata la condotta del ricorrente. Per la corretta impostazione del problema
relativo alla sussistenza della legittima difesa, il giudice deve, prima, valutare la sussistenza
l’intensità e la gravità del pericolo e quindi concentrare il suo giudizio sulla proporzionalità della
reazione. Nel caso in esame, ciò non è avvenuto, in quanto i giudicanti hanno preso in
considerazione solo il secondo aspetto della questione.
6.2. Ulteriore errore di valutazione è quello di aver escluso la sussistenza dei
presupposti per il riconoscimento, quanto meno, della legittima difesa putativa. In realtà, la
giurisprudenza di legittimità ha chiarito che la legittima difesa putativa, così come quella reale,
deve essere apprezzata con giudizio ex ante e non già ex post, come, in realtà, ha fatto il
giudice di secondo grado. Per quel che riguarda, poi, l’attualità del pericolo, la corte d’assise
d’appello avrebbe dovuto considerare che il pericolo è attuale fin quando si protrae l’azione
diretta alla lesione. Ebbene nella legittima difesa putativa la situazione di pericolo è
ragionevolmente supposta. Peraltro è noto che, con la modifica introdotta dalla legge 13
febbraio 2006 numero 59, la proporzione fra offesa e difesa è normativamente stabilita quando
sia configurabile, da parte dell’aggressore, la violazione di domicilio. Tale è evidentemente il
caso di specie.
6.3. Sotto altro aspetto, è da rilevare come il giudice di secondo grado abbia
completamente svalutato la questione relativa alla natura e alla collocazione delle macchie di
sangue sul locus delicti. Viceversa, tale valutazione è indispensabile, atteso che il giudice di
primo grado ha erroneamente ritenuto che l’azione, iniziata nel domicilio del Ferrugio, si sia
conclusa sul pianerottolo o, addirittura, a casa del Battaglia.
6.4. Infine, è da ricordare che chi invoca la legittima difesa non ha l’onere di fornirne la
prova, ma semplicemente quello di indicare gli elementi necessari alla dimostrazione del suo
assunto. Così stando le cose, doveva trovare applicazione il terzo comma dell’articolo 530 del
codice di rito, che impone la pronuncia di sentenza assolutoria anche nel caso in cui vi sia una
semiplena probatio in ordine alla sussistenza dell’esimente.
6.5. d) violazione di legge penale e carenze dell’apparato motivazionale in ordine
all’erronea esclusione della configurabilità della fattispecie di eccesso colposo in legittima
difesa, ai sensi dell’articolo 55 cp.
La questione è rimasta assolutamente irrisolta, atteso che, sul punto, il giudice di secondo
grado omette qualsiasi motivazione. Al proposito, è da notare che, anche se il giudicante ha
sostenuto che gli elementi di fatto erano tali da escludere che la condotta del ricorrente

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potesse essere scriminata ai sensi dell’articolo 52 cp, ovvero del combinato disposto
dell’articolo 52 e dell’articolo 59 del medesimo codice, lo stesso avrebbe comunque dovuto
motivare circa gli elementi in grado di dirimere ogni ulteriore dubbio, ugualmente decisivo,
onde addebitare il fatto di reato all’agente nella forma di cui all’articolo 584 cp e non invece,
come sarebbe stato corretto, alla stregua dei casi di cui all’articolo 55 cp. Avere ricostruito i
fatti come espressione di una vera e propria controaggressione che Desogus e Ferrugio
avrebbero posto in essere ai danni di Battaglia costituisce ulteriore errore derivante dall’aver
preso in considerazione solo le conseguenze lesive della condotta dei due imputati. Viceversa,
per valutare correttamente la sussistenza dell’eccesso colposo, il giudicante non può trascurare
l’indagine sulla percezione soggettiva che l’agente ha avuto del contesto nel quale andava ad
esplicarsi la sua reazione. Tutto ciò è completamente rimasto al di fuori dell’indagine
dibattimentale.
6.6. e) violazione di legge e carenze dell’apparato motivazionale in ordine alla erronea
affermazione della sussistenza del nesso di causalità tra la condotta ascritta all’imputato e
l’evento morte, essendo stati violati i principi desumibili dall’articolo 41 cp, nonché quello di cui
al “ragionevole dubbio”, indicato nell’articolo 530 comma secondo cpp.
Anche sotto questo aspetto, si deve affermare che il giudice di appello ha aderito supinamente
alle motivazioni, già lacunose, della sentenza di primo grado. Secondo la corte d’assise
d’appello, la lesione al gomito imponeva l’intervento in anestesia totale ed efficacia decisiva
non ebbero i comportamenti sconsiderati che il Battaglia tenne durante il ricovero in ospedale.
In realtà questo iter argomentativo si incrina proprio nel punto in cui si dà rilievo a tutti i fatti
che in concreto hanno rappresentato l’oggetto dell’accertamento condotto dai giudici. Invero, è
stato negato rilevo autonomo a ognuno degli altri ulteriori eventi intervenuti medio tempore,
mancando, in questo senso, qualsiasi accenno motivazionale circa le ragioni che hanno indotto
a escludere che detti eventi potessero, da soli, ovvero unitariamente considerati, ma
comunque indipendentemente dalla condotta del Desogus, determinare autonomamente la
morte di Battaglia. La corte di secondo grado avrebbe potuto agevolmente valutare, sulla base
del materiale probatorio prodotto nel precedente grado di merito, sia che sussistevano eventi e
circostanze indipendenti dalla condotta del ricorrente, ma idonei a determinare -da soli- la
morte, sia che il nesso causale era stato reciso già in un momento antecedente a quello in cui
si ebbe a verificare il fatto-reato. Sussiste quantomeno il legittimo dubbio che, al momento in
cui si concretizzava l’evento morte, le conseguenze lesive derivanti dalla condotta dell’imputato
fossero già state del tutto -ormai- rimosse. In altri termini, tra gli elementi di cui si riscontra la
mancata considerazione, vi sono proprio quelli che, valutati nel loro insieme, avrebbero
legittimato la conclusione secondo la quale l’evento esiziale si era, in realtà, verificato con
decorso causale del tutto diverso rispetto a quello innescato dalla condotta reattiva del
Desogus.
6.7. Oltretutto devono essere svolte ulteriori considerazioni in ragione della particolare
natura del delitto ascritto al Desogus. È noto che, per dottrina e giurisprudenza prevalenti, la
fattispecie di cui all’articolo 584 cp comporta una sorta di “presunzione di prevedibilità”
dell’evento più grave in capo all’agente che ha posto in essere gli atti lesivi dell’altrui integrità
fisica. In sintesi, la sussistenza dell’omicidio preterintenzionale si fonda in maniera
determinante sul nesso di causalità tra l’azione voluta e la conseguenza non voluta. Così
stando le cose, certamente la motivazione sulla sussistenza del nesso causale e sulla
mancanza di interferenze causali avrebbe dovuto essere ben più stringente e serrata rispetto a
quella che hanno evidenziato le due sentenze di merito. La corte d’assise d’appello sembra
aver disapplicato il principio dell’articolo 40 cp, in base al quale, com’è noto, nessuno può
essere punito per un fatto-reato se l’evento da cui dipende l’esistenza del reato non è
conseguenza della sua azione, ma sembrano anche aver fatto cattiva applicazione del principio
di cui all’articolo 41 del medesimo codice, il quale, com’è altrettanto noto, esclude la
responsabilità dell’agente quando le cause sopravvenute siano tali da interrompere il rapporto
eziologico tra la condotta e l’evento mortale. Da questo punto di vista, si deve dunque
affermare che i giudici del merito non avrebbero potuto mancare di affermare, in base a
rigorose leggi scientifiche, che la condotta lesiva posta in essere, da un lato, da Desogus e
l’evento della morte di Battaglia, dall’altro, non erano affatto legati -univocamente- da una
relazione diretta di causa ed effetto.

CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Come è noto, la struttura del delitto di cui all’articolo 584 cp è tale da comportare un
duplice accertamento sul versante probatorio: innanzitutto, va chiarito se la vittima sia stata
oggetto di percosse o lesioni da parte degli imputati (ma anche di atti diretti a ledere o
percuotere); in secondo luogo, si deve verificare se la morte sia conseguenza causalmente
ricollegabile all’aggressione subita dalla vittima stessa.
1.1. Poiché, nel caso in scrutinio, non è messo in dubbio dai ricorrenti che il Battaglia
abbia riportato le lesioni di cui al capo di imputazione e che dette lesioni siano state provocate
proprio dagli imputati (si legge in sentenza che gli stessi hanno pacificamente ammesso la
circostanza), il problema che occorre innanzitutto affrontare è quello della giustificazione
motivazionale esibita dalla sentenza impugnata circa la sussistenza del nesso causale tra le
predette lesioni e la morte della vittima, intervenuta 13 giorni dopo.
Invero: se detto legame causale non sussistesse, verrebbe a mancare l’elemento oggettivo
stesso del reato; il che renderebbe inutile ulteriori approfondimenti, tanto sulla sussistenza
dell’elemento soggettivo, quanto sulla eventuale presenza di cause di giustificazione.
1.2. Entrambi i ricorrenti sostengono che la corte d’assise d’appello non ha
adeguatamente valutato ciò che accadde dopo il ricovero in ospedale del Battaglia, vale a dire
lamentano che non è stato dato il peso che meritava alla condotta della vittima, la quale, non
solo non seguì le indicazioni fornite dei sanitari e non si conformò alle prescrizioni terapeutiche
ricevute, ma addirittura compì atti contrari al percorso terapeutico, atti chiaramente deleteri
rispetto alla tutela della salute. Lo stesso infatti, oltre a fumare in ambito ospedaliero, assunse
cocaina (altra ne fu trovata nelle sue tasche al momento della morte), disattivò le fleboclisi, si
allontanò dal nosocomio senza il permesso dei medici.
Desogus, in maniera più articolata, Ferrugio, con modalità più sintetiche, inoltre, si dolgono del
fatto che, in sede di appello, non sia stata disposta perizia per accertare la effettiva incidenza
dei fattori sopra ricordati (e principalmente dell’assunzione di sostanza stupefacente) nella
causazione della morte del Battaglia.
1.3. Ebbene, alla luce dell’impianto motivazionale esibito dalla sentenza impugnata, tali
censure devono ritenersi infondate.
Invero, innanzitutto, la corte d’assise d’appello non ha ignorato o trascurato il fatto che
Battaglia, una volta ricoverato, tenne un comportamento “sconsiderato” (così testualmente si
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6.8. f) mancanza e manifesta illogicità di motivazione in ordine alla decisione di non
disporre la rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale, ai sensi dell’articolo 603 cpp, allo scopo
di procedere alla formazione e acquisizione della perizia richiesta dalla parte ricorrente.
Premesso che la integrazione probatoria in appello è certamente compatibile con una il rito
abbreviato, come costantemente affermato dalla corte di cassazione, è evidente che anche in
tal tipo di giudizio vige la presunzione di completezza dell’istruttoria compiuta in primo grado.
Ma, appunto, di mera presunzione si tratta; di talché il rifiuto del giudice di secondo grado di
procedere alla rinnovazione dell’attività istruttoria deve comunque essere motivato. Il diritto
alla prova contraria è garantito all’imputato ed esso si esercita anche attraverso la richiesta di
integrare la fase istruttoria in secondo grado, quando ne ricorrano le condizioni. La decisione in
merito da parte del giudicante non è meramente discrezionale, appunto perché si relaziona con
il ricordato diritto alla prova (difendersi provando), che sussiste in capo all’imputato. Ebbene,
nel caso in esame, la corte d’assise d’appello ha semplicemente ignorato la richiesta e non ha
neanche emesso un provvedimento ad hoc per rigettarla. Nessuna motivazione è stata esibita
sul punto. Peraltro, la giurisprudenza di legittimità (sent. n. 42659 del 2007) ha chiarito che, in
appello, non è consentito, attraverso il deposito di memorie, introdurre una consulenza tecnica
di parte. Ne consegue che la richiesta, rivolta appunto al giudice d’appello, di nominare un
perito per accertare in via definitiva la sussistenza del nesso causale tra la condotta del
Desogus e la morte del Battaglia non ammetteva alternative, non potendo la difesa del
ricorrente veicolare in appello gli esiti di un’eventuale consulenza tecnica di parte. In sintesi: il
giudice di secondo grado era tenuto, se non a istaurare il contraddittorio sul punto,
quantomeno ad emettere un esplicito provvedimento negativo o, in un’ottica ancora più
restrittiva, era tenuto a redigere un dispositivo che consentisse di cogliere i motivi per cui il
quadro probatorio che le parti avevano censurato e qualificato come insufficiente era,
viceversa, da ritenersi tale da fondare un giudizio valido “oltre ogni ragionevole dubbio”.

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legge nella sentenza di secondo grado). Infatti, rilevano i giudicanti che egli seguì in maniera
del tutto approssimativa le indicazioni terapeutiche e, comunque, tenne un comportamento del
tutto incompatibile con tali indicazioni, assumendo sostanze stupefacenti, fumando e tenendo,
in sintesi, una condotta certamente non consona alle finalità per le quali era stato disposto il
suo ricovero.
Concordando sul punto con il giudice di primo grado, tuttavia, la corte d’assise d’appello giunge
alla conclusione che tali condotte non furono tali da interrompere il nesso causale tra le gravi
lesioni riportate dal Battaglia e la morte intervenuta il 9 marzo.
Sulla base del contributo di conoscenza offerto dai consulenti tecnici, infatti, la corte di
secondo grado è giunta alla conclusione che la morte del Battaglia non sia stata determinata
da una sola causa predominante ma da un insieme di cause che, determinando un effetto di
sommatoria, portarono, appunto, al decesso.
Causa mortis immediata, come si legge in sentenza a pagina 18, fu una “insufficienza
cardiorespiratoria in soggetto affetto da grave fibrosi interstiziale e ipertensione polmonare
moderata/grave, assuntore, in tempi relativamente prossimi al decesso, di cocaina”.
A pagina 20 la corte di secondo grado conclude nel senso che “l’evento morte è derivato da
diverse cause e da plurime condotte, tra cui anche quelle della vittima, che insieme hanno
concorso al suo verificarsi, costituendo ciascuna di esse una condizione necessaria al suo
accadimento; le risultanze probatorie, e in particolare la consulenza, hanno espressamente
escluso, per contro, il carattere eccezionale del comportamento post-operatorio del Battaglia,
che non può quindi essere considerato come dotato di efficacia causale del tutto autonoma
rispetto alla determinazione del suo decesso”.
1.4. In particolare, sulla base dei ricordati contributi tecnici, la corte d’assise d’appello
attribuisce forte incidenza causale all’aggravamento della condizione respiratoria del Battaglia
in conseguenza della anestesia totale, cui lo stesso dovette essere sottoposto a causa della
necessità di intervento chirurgico per risolvere la frattura al gomito, che lo stesso aveva
riportato a seguito dei colpi ricevuti dei due imputati.
La catena causale quindi è stata ricostruita come quella serie di eventi che, partendo dalle
lesioni causate da Desogus e Ferrugio, condusse al ricovero di Battaglia in ospedale, alla sua
sottoposizione ad intervento chirurgico con anestesia totale, all’aggravamento delle sue già
precarie condizioni di salute e -quindi- alla sua morte. Il fatto che all’exitus abbia
indubbiamente contribuito il comportamento “sconsiderato” del Battaglia è circostanza, come si
è detto, niente affatto ignorata dai giudici di merito, ma essa è considerata come una delle
componenti che determinò, appunto, l’insufficienza cardiorespiratoria in un soggetto la cui
salute era già fortemente compromessa.
1.5. Ebbene è noto che il secondo comma dell’articolo 41 cp prevede che il nesso
causale tra la condotta dell’agente e l’evento può ritenersi interrotto solo quando le cause
sopravvenute siano tali da essere state, per sé sole, sufficienti a determinare l’evento,
escludendo in tal modo il rapporto di causalità tra la condotta dell’imputato (fatto remoto) e
l’evento stesso, il quale, a questo punto, si collega direttamente (e solo) al fatto più recente.
La norma, di non facilissima lettura, è stata oggetto di risalente e frequente interpretazione
giurisprudenziale, la quale ha consentito di raggiungere alcune certezze interpretative, che
oramai non possono più essere messe in dubbio.
1.6. Si è così chiarito che sono cause sopravvenute o preesistenti, da sole sufficienti a
determinare l’evento, quelle del tutto indipendenti dalla condotta dell’imputato, sicché non
possono essere considerate tali quelle che abbiano causato l’evento in sinergia con la condotta
dell’imputato stesso, atteso che, venendo a mancare una delle due, l’evento non si sarebbe
verificato (ASN 201011954-RV 246549).
Non sono dunque cause da sole sufficienti a determinare l’evento quelle che operano “in
unione” con la condotta dell’imputato (ASN 201115220-RV 249967: fattispecie nella quale
erano state inferte percosse, con un bastone e con calci e pugni, ad un soggetto portatore di
gravi affezioni al sistema cardio-circolatorio ed assuntore di sostanze stupefacenti).
In sintesi, se ipotizzando, in astratto, la esclusione di una delle due cause, effettuando, vale a
dire la c.d. verifica controfattuale), si giunge alla conclusione che l’evento non si sarebbe
verificato, si deve necessariamente ritenere che i fatti sopraggiunti (siano essi rappresentati da
avvenimenti naturali o da condotte umane) non possano apprezzarsi, nell’ottica della loro
efficienza causale, come del tutto indipendenti dalla condotta del soggetto agente. E ciò

2. Quanto alla richiesta di procedere a perizia in fase di appello, non è esatto che il
giudice di secondo grado non abbia fornito risposta, atteso che alle pagine 17 e 18 della
sentenza impugnata la corte d’assise d’appello ricorda come gli accertamenti tecnici richiesti
dall’impugnante erano già stati svolti dai consulenti tecnici del pubblico ministero, i quali
avevano concluso, senza ombra di dubbio, in ordine al fatto che l’assunzione di cocaina,
avvenuta all’interno dell’ospedale, non aveva avuto un effetto assorbente nel determinare la
morte del Battaglia.
2.1. L’evento, in sintesi, si verificò per il sommarsi di varie cause, che minarono il già
fragile equilibrio sanitario della vittima e, tra tali cause, indubbiamente, posizione di rilievo
ebbero le gravi lesioni dallo stesso subite, sia perché esse innescarono la catena causale che attraverso il ricovero in ospedale, la necessità di procedere ad anestesia totale, la debilitazione
conseguente all’intervento operatorio, la condotta autolesiva tenuta da Battaglia- lo
condussero a morte; sia perché, in considerazione della natura e della gravità di tali lesioni, i
giudici di merito giungono alle -non illogiche- conclusioni circa il “peso causale” delle azioni
violente poste in essere dai ricorrenti.
2.2. E’ poi appena il caso di rilevare che, anche in tema di omicidio preterintenzionale,
l’accertamento del nesso causale deve essere effettuato con rigore e precisione; ma tale rigore
e tale precisione, per quel che si è detto, non sono certamente mancati nell’operato dei giudici.
Conclusivamente su tale primo punto, si deve osservare che le censure sub b), e), f) sono
infondate.
3. Le censure sub a), c), d) sono inammissibili, perché presuppongono una diversa (ed
arbitraria) ricostruzione del fatto; esse, per di più, ignorano taluni passaggi descrittivi ed
argomentativi della sentenza di appello. Da questo punto di vista, le predette censure sono dunque- da qualificarsi anche generiche.
Invero, i giudici di merito, in ambito di giudizio abbreviato, hanno ricostruito i fatti sulla base
delle dichiarazioni che lo stesso Battaglia riuscì a rendere prima della sua morte, delle
dichiarazioni di Randisi Silvana e delle dichiarazioni della stessa moglie del Desogus, oltre
ovviamente che sulla base della documentazione sanitaria e delle consulenze tecniche
acquisite.
3.1. Si legge in sentenza che, quando la Randisi si introdusse nell’appartamento del
Desogus per protestare circa la distruzione dei vetri dell’auto di famiglia, ella fu
immediatamente affrontata dal Ferrugio, che le si avvicinò brandendo la mazza da baseball.
L’intenzione aggressiva (o, quanto meno, minacciosa) di questo imputato si manifestò dunque
immediatamente. Alle grida della Randisi, accorse Battaglia “armato” di piccozza (che fu
repertata sul posto). Ma lo stesso, appena varcata la soglia, fu aggredito, con azione
coordinata, da entrambi gli imputati. Il Ferrugio brandiva la mazza da baseball, il Desogus si

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evidentemente, anche se trattasi del comportamento della vittima, la quale abbia contribuito
ad aggravare le conseguenze del reato.
Invero, la causa sopravvenuta da sola sufficiente a determinare l’evento è certamente anche
quella che, pur inserendosi nella serie causale dipendente dalla condotta dell’imputato,agisce
per esclusiva forza propria nella determinazione dell’evento stesso, in modo che la condotta
dell’imputato, pur costituendo un antecedente necessario per l’efficacia delle cause
sopravvenute, assume rispetto all’evento non il ruolo di fattore causale, ma di semplice
occasione (ASN 199006180-RV 184166).
1.7. Tale non è certamente il caso in esame, atteso che Battaglia fu ricoverato in
ospedale (e si trattò di un atto dovuto, in considerazione delle gravissime lesioni riportate)
perché colpito dai due ricorrenti. In ospedale la sue -già non felici- condizioni di salute si
aggravarono a seguito della (inevitabile) anestesia totale e della sua condotta indisciplinata,
trasgressiva e “sconsiderata”. L’azione sinergica di tutte tali concause ne determinò, per quel
che si legge in sentenza, la morte.
1.8. Esiste d’altra parte giurisprudenza (sia pur risalente: ASN 199005923-RV 184131)
quasi in termini, atteso che fu chiarito che non integrano cause sopravvenute escludenti il
rapporto di causalità, rispetto a un fatto di lesione volontariamente prodotte dall’agente, tanto
le eventuali omissioni e colpe dei sanitari, quanto le complicazioni operatorie e postoperatorie,
quanto -infine- lo stesso comportamento della vittima di rifiuto di cure e terapie.

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era armato di un palo di ferro, che, dopo l’uso, tentò anche di nascondere, ma che fu
recuperato dagli inquirenti.
Si legge a pagina 15 della sentenza che l’azione degli imputati fu “condotta all’unisono e fu poi
particolarmente violenta e prolungata”.
Non è quindi esatto che i giudici del merito abbiano dedotto la sproporzione tra l’aggressione
del Battaglia (rectius: l’accenno di aggressione) e la reazione di due imputati, unicamente dalla
entità delle lesioni riportate dalla vittima. Essi l’hanno dedotta dall’intera ricostruzione
dell’avvenimento e, principalmente, dalle modalità dell’azione di Desogus e Ferrugio. Lo stesso
rapporto numerico di due contro uno, unitamente al fatto che entrambi erano “armati” di
strumenti micidiali (Ferrugio, oltretutto, non essendo nella sua abitazione, aveva evidentemente- portato con sé la mazza da baseball) costituiscono circostanze, sulla base delle
il primo e il secondo giudicante hanno fondato il loro convincimento.
3.2. D’altra parte, gli stessi imputati, nell’ammettere il fatto, ebbero a riferire, come
sempre si legge in sentenza che avevano agito “accecati dalla rabbia” (Ferrugio) anche perché
“non ci avevano visto più” (Desogus). Tali parole sono state ritenute, non illogicamente, come
espressione di un rancore a lungo covato, cui, grazie all’incauto ingresso del Battaglia
nell’abitazione del Desogus, fu possibile dare sfogo. In tale ottica, certamente la natura e la
localizzazione delle lesioni costituiscono elementi significativi, in quanto essi stanno a
testimoniare, non solo, che la vittima fu attinta (contrariamente a quel che si sostiene nel
ricorso Ferrugio che “dimentica” le gravi lesioni al capo) in parti vitali del corpo, ma anche che
l’azione dei due imputati certamente non si esaurì in una reazione volta a rendere inoffensivo il
Battaglia, ma proseguì fino a ridurlo in condizioni gravi, tanto che lo stesso perse conoscenza e
in stato di incoscienza fu trovato dagli operatori del 118. Parlare dunque di proporzione tra
l’azione del Battaglia e la reazione dei ricorrenti costituisce un’argomentazione quantomeno
temeraria. Altrettanto temeraria è l’ipotesi in base alla quale ci si trovi al cospetto di
scriminante putativa, atteso che, comunque, l’azione violenta di entrambi gli imputati andò,
come premesso, molto “al di là” del necessario. Se pure dunque i due ricorrenti temettero di
essere in serio pericolo, essi “sfruttarono” la situazione per massacrare Battaglia.
Partendo da tale presupposti, logicamente, la corte d’assise d’appello ha ritenuto del tutto
insignificante ogni accertamento sulla localizzazione delle macchie di sangue, in quanto, se
anche l’azione degli imputati si fosse tutta svolta nell’abitazione del Desogus, come, d’altra
parte, sembra ritenere il giudice di secondo grado, in ogn i caso, essa non potrebbe essere
ricondotta allo schema dell’articolo 52 cp.
3.3. Quanto alla presunzione di adeguatezza della reazione nel caso in cui l’aggressore
si sia introdotto vi ovvero dam nella abitazione dell’agente (c.d. legittima difesa domiciliare), si
deve osservare che la causa di giustificazione prevista dall’art. 52, comma secondo cp, così
come modificata dall’art. 1 L. 13 febbraio 2006 n. 59, non consente un’indiscriminata reazione
nei confronti del soggetto che si introduca fraudolentemente nella altrui dimora, ma
presuppone un attacco, nell’ambiente domestico, ovvero alla altrui incolumità, o quanto, meno
un pericolo di aggressione (ASN 200712466-RV 236217: nella fattispecie è stata esclusa la
legittima difesa in relazione all’omicidio di una persona che si era introdotta con inganno nel
condominio dell’imputata per ottenere il pagamento di un debito).
3.4. Ebbene, per quanto si è sopra esposto, Battaglia intervenne, sia pure armato di
piccozza, nell’appartamento del Desogus perché aveva udito le grida della sua convivente, la
quale era stata minacciata dal Ferrugio, che (già) brandiva la mazza da baseball. Si deve
dunque ritenere che Battaglia effettivamente violò il domicilio di Desogus, ma che ciò fece per
un valido motivo, vale a dire per prestare aiuto alla sua convivente, di talché l’ingresso invito
domino nell’abitazione confinante gli fu imposto dalle contingenze, vale a dire dalla necessità di
soccorrere la Randisi.
Invero, pur alla luce della modifica legislativa del 2006, non può essere considerata irrilevante
la ragione per la quale sia violato l’altrui domicilio.
Per quel che è dato intendere dalla dinamica dei fatti come ricostruita in sentenza, Battaglia
non intendeva attentare “all’ambiente domestico” (così si esprime la sentenza sopra citata) di
uno degli imputati, ma, appunto, evitare danni alla sua convivente. Che poi egli si sia armato
della piccozza è circostanza certamente rilevante, ma conseguente all’ipotesi (rivelatasi
aderente al vero) che, al di là della porta dell’appartamento del Desogus, lo attendeva un
contesti alquanto “ostile”.

4. Non è poi esatto che la corte d’assise d’appello non abbia preso in considerazione
l’ipotesi dell’eccesso colposo in legittima difesa, atteso che alle pagine 6 e 7 l’argomento viene,
seppur sinteticamente, affrontato. Ma la considerazione resta assorbita dal fatto che i giudici
del merito hanno escluso in radice e anche il linea meramente teorica la sussistenza dei
presupposti della legittima difesa. Dunque l’eccesso colposo non era nemmeno ipotizzabile.
5. Conclusivamente, dunque, entrambi i ricorsi meritano rigetto e i ricorrenti vanno
singolarmente condannati alle spese del grado.
PQM
rigetta i ricorsi e condanna ciascun ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.

Così deciso in Roma 2 luglio 2014.

In sintesi: non può ritenersi operativa la presunzione di proporzione tra la reazione violenta del
soggetto titolare dello jus excludendi e la condotta di chi abbia violato il domicilio del predetto,
quando l’ingresso nella sfera abitativa altrui sia necessitato o comunque appaia giustificabile.
Invero, la presenza dell’estraneo non può certo costituire mero pretesto per l’aggressione alla
sua integrità fisica.
3.5. Per tutte le ragioni sopra specificate, la presunzione di proporzionalità, introdotta,
in tema di “legittima difesa domiciliare” dalla legge 59/2006, non può ritenersi operativa nel
caso in esame.

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