Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 35702 del 25/06/2014


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 35702 Anno 2014
Presidente: OLDI PAOLO
Relatore: PISTORELLI LUCA

SENTENZA

sul ricorso presentato da:
Brunetti Cosimo, nato a Manduria, il 18/7/1955;

avverso la sentenza del 13/11/2012 del Tribunale di Taranto sez. dist. di Manduria;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. Luca Pistorelli;
udito il Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. Roberto
Aniello, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso;
udito per la parte civile l’avv. Ugo Pioletti, che ha concluso chiedendo l’inammissibilità
del ricorso.;
udito per l’imputato l’avv. Luigi Greco, che ha concluso chiedendo l’accoglimento del
ricorso.
RITENUTO IN FATTO

Data Udienza: 25/06/2014

ì

1.11 Tribunale di Taranto sez. dist. di Manduria confermava la condanna di Brunetti
Cosimo per i reati di ingiuria e minacce commessi ai danni del genero Scorrano
Giuseppe nel corso di una lite.
2. Avverso la sentenza ricorre personalmente l’imputato articolando due motivi. Con il
primo deduce violazione di legge in ordine all’assunzione disposta ex art. 507 c.p.p. dal
giudice di prime cure della testimonianza di D’Elia Ottavio, nonostante il teste fosse
stato indicato già nella querela e l’esigenza della cui audizione non fosse dunque

risulta dal fatto che lo stesso non fosse stato sentito nel corso delle indagini preliminari.
Con il secondo motivo il ricorrente denuncia il travisamento delle dichiarazioni
dell’imputato in ordine alla presunta negazione da parte del medesimo di aver avuto
con sé una macchina fotografica, nonché ulteriori vizi della motivazione relativi alla
mancata considerazione della contraddittorietà del testimoniale assunto a fondamento
della decisione ed alla interpretazione della foto n. 1 acquisita agli atti e delle
circostanze nelle quali questa sarebbe stata scattata.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.11 primo motivo di ricorso è inammissibile.
1.1 Sotto un primo profilo deve infatti rilevarsi che la questione non era stata devoluta
al giudice d’appello e non può essere quindi dedotta per la prima volta in sede di
legittimità.
1.2 Non di meno deve ribadirsi come l’esercizio positivo del potere da parte del giudice
di disporre l’assunzione di nuove prove a norma dell’art. 507 c.p.p. senza alcuna
motivazione sull’assoluta necessità dell’acquisizione non determina alcuna
inutilizzabilità o invalidità, non prevedendo l’ordinamento processuale specifiche
sanzioni (Sez. 2, n. 6250 del 9 gennaio 2013, Casali, Rv. 254497).
1.3 Va poi ricordato come l’art. 507 c.p.p. – contrariamente a quanto dimostra di
credere il ricorrente – non limita l’esercizio del potere officioso di integrazione
all’acquisizione di prove la cui esistenza sia emersa esclusivamente nel corso del
dibattimento, ben potendo egli ravvisare la necessità dell’acquisizione anche di mezzi di
prova che le parti originariamente abbiano ritenuto irrilevanti non chiedendone
l’assunzione o a cui abbiano rinunziato (Sez. Un., n. 41281 del 17 ottobre 2006, P.M. in
proc. Greco, Rv. 234907). La verifica sulla decisività del mezzo di prova di cui viene
disposta l’acquisizione d’ufficio non può essere dunque parametrata alle pregresse
scelte delle parti, né all’esito della prova e al peso che questa ha poi assunto
nell’economia della decisione, ma alla situazione che si prospettava al giudice al
momento in cui ha provveduto ad ammetterla. Ed in tal senso è evidente che la
possibilità di assumere una testimonianza in grado di dirimere il contrasto tra le

emersa nel corso dell’istruttoria dibattimentale, né risultasse decisivo procedervi come

dichiarazioni della persona offesa e quelle del teste presentato a discarico dall’imputato
rendeva tale prova indispensabile ai fini della decisione in quanto astrattamente idonea
a risolvere una situazione di potenziale impasse probatorio.

2. Il secondo motivo di ricorso è parimenti inammissibile.
2.1 Quanto all’asserito travisamento in cui sarebbe incorso il Tribunale, deve osservarsi
come il ricorrente non abbia assolto le condizioni individuate da questa Corte per la

dichiarazioni dell’imputato oggetto del presunto travisamento, che la sentenza
impugnata evoca solo ad colorandum, dopo aver già chiarito come il nucleo essenziale
e del tutto autosufficiente della prova sia costituito dalle deposizioni della persona
offesa e del teste D’Elia. In secondo luogo si limita a riportarne un brano,
contravvenendo al consolidato principio per cui, qualora la prova omessa o travisata
abbia natura dichiarativa, il ricorrente ha l’onere di riportarne integralmente il
contenuto, non limitandosi ad estrapolarne alcuni brani, giacchè così facendo viene
impedito al giudice di legittimità di apprezzare compiutamente il significato probatorio
delle dichiarazioni e, quindi, di valutare l’effettiva portata del vizio dedotto (Sez. 4 n.
37982 del 26 giugno 2008, Buzi, rv 241023; Sez. F., n. 32362 del 19 agosto 2010,
Scuto ed altri, Rv. 248141).
et
2.2 Circa invece alie censure mosse alla motivazione della sentenza in merito alla
valutazione della fotografia acquisita agli atti, le stesse risultano una lettura
soggettivamente orientata del materiale probatorio alternativa a quella fatta
motivatamente propria dal giudice di merito nel tentativo di sollecitare quello di
legittimità ad una rivisitazione degli elementi di fatto posti a fondamento della
decisione o all’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e
valutazione dei medesimi, che invece gli sono precluse ai sensi della lett. e) dell’art.
606 c.p.p.. Non di meno il ricorso ancora una volta non risulta in grado di chiarire la
decisività delle proprie critiche, posto che la fotografia non è stata utilizzata dal
Tribunale come prova diretta del fatto contestato all’imputato, ma soltanto a
dimostrazione della ritenuta inattendibilità del teste a discarico (valutazione non
contestata dal ricorrente). In tale ottica, dunque, qualsiasi sia l’esatta identificazione
del soggetto ripreso di spalle e del momento in cui la stessa sia stata scattata, la stessa
comunque rivela che al momento della consumazione dei reati oltre all’imputato e alla
persona offesa era presente una terza persona, contrariamente a quanto sostenuto dal
menzionato teste.

3. Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue ai sensi dell’art. 616 c.p.p. la
condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della
somma, ritenuta congrua, di euro mille alla cassa delle ammende, nonché alla

deducibilità di tale vizio. Il ricorso infatti non precisa innanzi tutto la decisività delle

refusione delle spese sostenute nel grado dalla parte civile che si liquidano in
complessivi euro 1.800 oltre accessori come per legge.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali e della somma di euro 1.000 in favore della Cassa delle Ammende, nonché
alla refusione delle spese di parte civile, liquidate in complessivi euro 1.800 oltre

Così deciso il 25/6/2014

accessori come per legge.

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