Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 357 del 14/11/2013


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 357 Anno 2014
Presidente: SIRENA PIETRO ANTONIO
Relatore: BIANCHI LUISA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
PITUCCIO FRANCESCO N. IL 15/09/1957
nei confronti di:
MINISTERO ECONOMIA E FINANZE
avverso l’ordinanza n. 31/2011 CORTE APPELLO di PALERMO, del
07/11/2011
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. LUISA B NCHI;
lette/sOltite le conclusioni del PG Dott.

Uditi difensor Avv.;

Data Udienza: 14/11/2013

3312/2012

1.Con ordinanza in data 7 novembre 2011 la corte di appello di Palermo ha
rigettato la domanda di riparazione dell’ ingiusta detenzione avanzata da
Pituccio Francesco in relazione alla custodia cautelare dal medesimo subita,
nella forma della detenzione in carcere, dal 19.2.2002 al 19.2.2006 perché
indiziato dei reati di cui agli artt. 416 bis, 628, 605, 624 e 625 cod.pen.
Ritenuto colpevole del solo reato ex art. 416 bis, la corte di Cassazione aveva
annullato con rinvio la sentenza di appello e nel giudizio di rinvio egli era stato
assolto con sentenza divenuta irrevocabile.
Rilevava il giudice della riparazione che la Corte di appello nell’assolvere il
Pituccio aveva espressamente affermato, e ciò doveva ritenersi
definitivamente accertato, che l’istante in una telefonata intercettata, quella
del 18 gennaio 2000, ore 20,51, intercorsa con il coimputato Buongusto, si era
vantato dell’ottimo rapporto che aveva in passato intrattenuto con il vecchio
reggente della famiglia mafiosa di Monreale, Damiano Settimo; che nella
sentenza si faceva riferimento al disvalore sociale derivante da una condotta di
contiguità del Pituccio con l’associazione mafiosa, anche se tale condotta non
era stata, in definitiva, ritenuta sufficiente per l’affermazione della penale
responsabilità; che sempre nella sentenza si ricordava il coinvolgimento
dell’istante, come basista, in una rapina ai danni dell’istituto di credito presso il
quale espletava la sua attività lavorativa, rapina perpetrata l’ otto marzo del
2001 e si segnalava che il Pituccio era stato coinvolto in un traffico di valuta.
Sulla base di tali emergenze indiziarie nel processo penale si era tuttavia
pervenuti alla conclusione che non fosse emersa una strumentalizzazione ‘della
posizione professionale del Pituccio a favore di “cosa nostra”, ma una
contiguità volta a fornire contributi ad azioni criminali estemporanee e diverse
da quelle strettamente attinenti il controllo del territorio.
Riteneva però la Corte della riparazione che il Pituccio, ponendo in essere le
condotte sopra descritte, avesse concorso a dare causa alla misura della
custodia cautelare; tale condotta era “oggettivamente idonea a creare
situazioni atte a determinare interventi coercitivi dell’Autorità”; il ricorrente,
pur ritenuto non colpevole nel processo penale instaurato a suo carico, era
stato sottoposto alla misura cautelare per avere tenuto una condotta (che gli si
può senz’altro rimproverare) tale da legittimare pienamente il provvedimento
restrittivo; svolgendo quindi quel ruolo almeno sinergico nel determinare la
misura restrittiva che per il legislatore esclude, appunto, il diritto alla
riparazione.
2. Avverso tale ordinanza ricorre per cassazione l’interessato, per il tramite
del difensore di fiducia; deduce violazione di legge, mancanza e illogicità
della motivazione per aver escluso la riparazione per colpa grave dell’istante;
gli elementi cui ha fatto riferimento la Corte di appello sarebbero dati
congetturali non definitivamente comprovati neppure nel rapporto tra la
condotta tenuta e la sua idoneità a porsi come elemento determinativo della
privazione di libertà.

RITENUTO IN FATTO

3. E’ stata depositata una memoria per il Ministero dell’Economia con la quale
si sostiene la correttezza della decisione assunta dalla corte d’appello di
Palermo.

1.11 ricorso è infondato.
Ai fini dell’accertamento del requisito soggettivo ostativo al riconoscimento
dell’indennizzo in questione, il giudice del merito, investito dell’istanza per
l’attribuzione di una somma di danaro a titolo di equa riparazione per
l’ingiusta detenzione, ai sensi dell’art. 314 cod. proc. pen., ha il dovere di
verificare se la condotta tenuta dall’istante nel procedimento penale,
nel corso del quale si verifico’ la privazione della liberta’ personale,
quale risulta dagli atti, sia connotabile di dolo o di colpa grave. Il
giudice stesso deve, a tal fine, valutare se certi comportamenti riferibili alla
condotta cosciente e volontaria del soggetto, possano aver svolto un
ruolo almeno sinergico nel trarre in errore l’autorità giudiziaria; cio’ che il
legislatore ha voluto, invero, e’ che non sia riconosciuto il diritto alla
riparazione a chi, pur ritenuto non colpevole nel processo penale, sia stato
arrestato e mantenuto in detenzione per aver tenuto una condotta tale da
legittimare il provvedimento dell’autorita’ inquirente (sez. IV 7.4.99 n.440,
Min. Tesoro in proc. Petrone Ced 197652). Le sezioni unite di questa Corte
(sentenza 13.12.1995 n.43, Sarnataro rv.203638) hanno poi ulteriormente
precisato che “Nel procedimento per la riparazione dell’ingiusta detenzione e’
necessario distinguere nettamente l’operazione logica propria del giudice del
processo penale, volta all’accertamento della sussistenza di un reato e della
sua commissione da parte dell’imputato, da quella propria del giudice della
riparazione il quale, pur dovendo operare, eventualmente, sullo stesso
materiale, deve seguire un “iter” logico-motivazionale del tutto autonomo,
perche’ e’ suo compito stabilire non se determinate condotte costituiscano o
meno reato, ma se queste si sono poste come fattore condizionante (anche
nel concorso dell’altrui errore) alla produzione dell’evento “detenzione” ed in
relazione a tale aspetto della decisione egli ha piena ed ampia liberta’ di
valutare il materiale acquisito nel processo, non gia’ per rivalutarlo, bensi’ al
fine di controllare la ricorrenza o meno delle condizioni dell’azione (di natura
civilistica), sia in senso positivo che del tutto evidente, rispondendo ad un
principio generale, che ), sia in senso positivo che negativo, compresa
l’eventuale sussistenza
di
una
causa di esclusione del diritto alla
riparazione “.
2. Nella specie,
la motivazione resa dalla Corte di appello circa la
sussistenza nel comportamento del Polito
di colpa grave, ostativa alla
riparazione è corretta.
La ordinanza ha escluso il diritto alla riparazione in
quanto risultava essere stato processualmente accertato che il Pituccio
intratteneva stretti rapporti con esponenti mafiosi di primo piano,
vantandosene con altri soggetti; che egli gravitava in una area di contiguità
con la cosca mafiosa di Monreale e in tale area di contiguità aveva posto in

CONSIDERATO IN DIRITTO

3.In conclusione, il ricorso non merita accoglimento e il ricorrente deve essere
condannato al pagamento delle spese del procedimento nonché alla rifusione in
favore del Ministero del tesoro delle spese processuali, liquidate come al
dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali
nonché alla rifusione in favore del Ministero resistente delle spese di questo
giudizio, che liquida in euro 750,00 .
Così deciso il 14.11.2013

essere condotte criminose volte a fornire contributi ad azioni criminali, pur
sempre riconducibili all’associazione mafiosa, anche se non strettamente
attinenti al controllo del territorio. Un tale giudizio risultante da quanto
positivamente affermato con la sentenza assolutoria non può ritenersi generico
in quanto si basa su dati di fatto precisi quali la telefonata del 18 gennaio di cui
l’attuale ricorrente fornisce una interpretazione diversa da quella, non priva di
logicità, del giudice di merito, e come tale inammissibile nonché l’esistenza di
precisi comportamenti illeciti, e cioè la rapina, strettamente collegata
all’ipotesi di reato associativo per cui è intervenuta la detenzione, a
prescindere dalla circostanza che sia stata giudicata in un diverso
procedimento e il traffico di valuta che il ricorrente cerca di svalutare
definendolo un episodio isolato. E’ stata in tal modo evidenziata la contiguità
ad ambienti e comportamenti mafiosi che giustifica la valutazione in termini di
copa grave del comportamento.

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