Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 35687 del 30/05/2014


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 35687 Anno 2014
Presidente: OLDI PAOLO
Relatore: SABEONE GERARDO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
FERRANDO GRAZIA N. IL 03/12/1965
avverso la sentenza n. 58/2012 TRIBUNALE di TORINO, del
12/11/2012
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 30/05/2014 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. GERARDO SABEONE
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. L Ji
che ha concluso per tj

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Udito, per la parte civile, l’Avv
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Data Udienza: 30/05/2014

RITENUTO IN FATTO
1.

Il Tribunale di Torino, con sentenza del 12 novembre 2012, ha

confermato la sentenza del Giudice di pace di Torino del 30 gennaio 2012 che
aveva condannato Ferrando Grazia per il delitto di diffamazione continuata in
danno di Inzillo Mirko.

mezzo del proprio difensore, lamentandone:
a) la manifesta illogicità della motivazione e una violazione di legge sul
punto della mancata rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale;
b) la mancanza di motivazione in relazione alla diversa ricostruzione dei
fatti così come evidenziata dalla difesa.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è infondato e non merita accoglimento.
2. Quanto al primo motivo, in diritto, si osserva come l’articolo 507
cod.proc.pen. (e l’articolo 603 cod.proc.pen. per il grado d’appello) conferisca al
Giudice un potere e non un dovere di integrazione probatoria; l’esercizio di tale
potere presuppone, poi, la sussistenza dell’assoluta necessità del nuovo mezzo di
prova e postula l’apprezzamento e la valutazione al riguardo da parte del
Giudice, il quale, ove non eserciti tale potere, non è tenuto a darne
espressamente conto, evincendosi implicitamente dall’effettuata valutazione,
adeguata e logica, delle risultanze probatorie già acquisite la superfluità di una
eventuale integrazione istruttoria (v. Cass. Sez.VI 16 febbraio 2010 n. 24430);
l’iniziativa deve essere, pertanto, “assolutamente necessaria” (sia l’articolo 507
che il 603 del codice di rito per l’appello usano questa espressione) e la prova
deve avere carattere di decisività (altrimenti non sarebbe “assolutamente
necessaria”), diversamente da quanto avviene nell’esercizio ordinario del potere
dispositivo delle parti in cui si richiede soltanto che le prove siano ammissibili e
rilevanti; nella specie, in fatto questa volta, il Giudice di fronte alla richiesta della
difesa dell’imputato, ha chiaramente motivato la superfluità e quindi non
decisività della rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale (v. verbale udienza 12
novembre 2012).
3. Quanto al secondo motivo del ricorso teso, per l’appunto, a contrastare
l’accertamento del fatto compiuto dal Giudice del merito, si osserva, come
ribadito costantemente da questa Corte, che pur dopo la nuova formulazione
dell’articolo 606 cod.proc.pen., lettera e), novellato dalla Legge 20 febbraio
1

2. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’imputato, a

2006, n. 46, articolo 8, il sindacato del Giudice di legittimità sul discorso
giustificativo del provvedimento impugnato debba essere volto a verificare che la
motivazione della pronunzia:
a) sia “effettiva” e non meramente apparente, ossia realmente idonea a
rappresentare le ragioni che il giudicante ha posto a base della decisione
adottata;
b) non sia “manifestamente illogica”, in quanto risulti sorretta, nei suoi

nell’applicazione delle regole della logica;
c)

non sia internamente contraddittoria, ovvero sia esente da

insormontabili incongruenze tra le sue diverse parti o da inconciliabilità logiche
tra le affermazioni in essa contenute;
d) non risulti logicamente “incompatibile” con “altri atti del processo”
(indicati in termini specifici ed esaustivi dal ricorrente nei motivi posti a sostegno
del ricorso per Cassazione) in termini tali da risultarne vanificata o radicalmente
inficiata sotto il profilo logico.
Il Giudice di legittimità è, pertanto, chiamato a svolgere un controllo sulla
persistenza o meno di una motivazione effettiva, non manifestamente illogica e
internamente coerente, a seguito delle deduzioni del ricorrente concernenti “atti
del processo”.
Tale controllo, per sua natura, è destinato a tradursi – anche a fronte di
una pluralità di deduzioni connesse a diversi “atti del processo” e di una correlata
pluralità di motivi di ricorso – in una valutazione, di carattere necessariamente
unitario e globale, sulla reale “esistenza” della motivazione e sulla permanenza
della “resistenza” logica del ragionamento del Giudice.
Al Giudice di legittimità resta, infatti, preclusa, in sede di controllo sulla
motivazione, la pura e semplice rilettura degli elementi di fatto posti a
fondamento della decisione o l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di
ricostruzione e valutazione dei fatti, preferiti a quelli adottati dal Giudice di
merito, perché ritenuti maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità
esplicativa.
Queste operazioni trasformerebbero, infatti, la Corte nell’ennesimo
Giudice del fatto e le impedirebbero di svolgere la peculiare funzione assegnatale
dal legislatore di organo deputato a controllare che la motivazione dei
provvedimenti adottati dai Giudici di merito rispetti sempre uno standard di
intrinseca razionalità e di capacità di rappresentare e spiegare l’iter logico
seguito dal Giudice per giungere alla decisione.
2

punti essenziali, da argomentazioni non viziate da evidenti errori

I limiti che, pertanto, presenta nel giudizio di legittimità il sindacato sulla
motivazione, ineluttabilmente si riflettono, dunque, anche sul controllo in ordine
alla valutazione della prova, giacché altrimenti anziché verificare la correttezza
del percorso decisionale adottato dai Giudici del merito, alla Corte di Cassazione
sarebbe riservato un compito di rivalutazione delle acquisizioni probatorie,
sostituendo, in ipotesi, all’apprezzamento motivatamente svolto nella sentenza
impugnata, una nuova e alternativa valutazione delle risultanze processuali che

Da qui, il ripetuto e costante insegnamento (v. Cass. Sez. VI 15 marzo
2006 n. 10951 e Sez. V 6 ottobre 2009 n. 44914) in forza del quale, alla luce
degli espressi e non casuali limiti che circoscrivono, a norma dell’articolo 606,
comma 1, lett. e) cod.proc.pen., il controllo del vizio di motivazione in
Cassazione la Corte non deve stabilire se la decisione di merito proponga la
migliore ricostruzione dei fatti, nè deve condividerne la giustificazione, ma deve
limitarsi a verificare, sulla base del testo del provvedimento impugnato, se
questa giustificazione sia compatibile con il senso comune e con i limiti di una
plausibile opinabilità di apprezzamento: e ciò proprio perché il richiamato articolo
606, comma 1, lett. e), cod.proc.pen., non consente alla Corte, che deve
limitarsi ad apprezzare la adeguatezza del corredo argomentativo e la non
manifesta illogicità del relativo percorso, di procedere ad una diversa lettura dei
dati processuali o ad una diversa interpretazione delle prove (o della relativa
affidabilità ed inferenza), perché è estraneo al giudizio di legittimità il controllo
della correttezza della motivazione in rapporto ai dati processuali.
Nella specie, la censura della ricorrente s’incentra su asserzioni circa una
diversa ricostruzione dei fatti piuttosto che su critiche all’operato dei Giudici del
merito e di conseguenza si manifesta in tutta la sua genericità, con particolare
riferimento all’esclusione dell’attendibilità dei testi Adulante e Greborio, che il
Giudice a quo ha logicamente e motivatamente disatteso.
4. Dal rigetto del ricorso deriva, in conclusione, la condanna della
ricorrente al pagamento delle spese processuali
P.T.M.
La Corte, rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle
spese processuali.
Così deciso in Roma, il 30 maggio 2014.

ineluttabilmente sconfinerebbe in un eccentrico terzo grado di giudizio.

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