Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 35685 del 11/06/2013


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 35685 Anno 2013
Presidente: ESPOSITO ANTONIO
Relatore: FIANDANESE FRANCO

SENTENZA
sul ricorso proposto nell’interesse di
Antonino,

Galasso

nato a Cittanova (RC) il 19.5.1952,

avverso la sentenza della Corte di Appello di
Reggio Calabria, in data 4 luglio 2012, di riforma
della sentenza del Tribunale di Palmi, in data 15
maggio 2007;
Visti gli atti, la sentenza denunziata e

il

ricorso;
Udita in pubblica udienza la relazione svolta dal
consigliere dott. Franco Fiandanese;
Udito il pubblico ministero in persona del
sostituto

procuratore

generale

dott.

Enrico

Delehaye, che ha concluso per il rigetto del

Data Udienza: 11/06/2013

ricorso;
Udito il difensore, avv. Domenico Maccari, che ha
chiesto l’accoglimento dei motivi di ricorso.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

sentenza in data 4 luglio 2012, parzialmente
riformando la condanna pronunciata il 15 maggio
2007 dal Tribunale di Palmi nei confronti di
Galasso Antonino, dichiarato colpevole del delitto
di tentata estorsione aggravata ai sensi dell’art.
7 legge n. 203 del 1991, rideterminava la pena in
anni quattro di reclusione ed euro 7.000 di multa.
Secondo l’accusa, l’imputato aveva compiuto atti
idonei diretti in modo non equivoco a costringere
con violenza e minaccia i fratelli Giovinazzo,
Michele e Girolamo, a trasferirgli coattivamente la
proprietà di un loro terreno.
Propongono ricorso per cassazione i difensori
dell’imputato, deducendo i seguenti motivi:
l)

violazione di legge e vizio di motivazione,

quanto

le

processuali

emergenze

in

avrebbero

tratteggiato un quadro ricostruttivo del tutto
differente da quello ritenuto dai giudici di
merito; in particolare, i difensori ricorrenti
rilevano: che le persone offese avrebbero escluso

2

La Corte di Appello di Reggio Calabria, con

qualsiasi coartazione subita dall’imputato e sul
punto vi sarebbe un travisamento degli atti
processuali;

che

l’imputato

acquisisce

la

consapevolezza in ordine all’eventuale danno

parti offese avrebbero subito se avessero deciso di
cedere il terreno, soltanto nell’ultima delle
conversazioni registrate dai Giovinazzo e ciò
sarebbe stato decisivo per far desistere il Galasso
da ogni ulteriore richiesta; che mancherebbe
l’ingiustizia del profitto ricercato dall’agente;
che mancherebbe l’analisi della personalità
dell’agente e di una sua presunta capacità
sopraffattrice, nonché delle circostanze ambientali
nella quali si incardinano i fatti e delle
condizioni soggettive delle vittime, al fine di
verificare la idoneità a coartare della condotta
contestata; che l’imputato avrebbe valutato con le
parti offese ogni ipotesi di esercizio di diritti
previsti dalla sua personale interpretazione del
codice civile; che i giudici di merito avrebbero
omesso di approfondire le ipotesi alternative
enucleate dalla difesa.
2)

violazione di legge e vizio di motivazione con

riferimento agli artt. 393 e 629 c.p., nonché con

3

(perdita di un finanziamento pubblico), che le

riferimento agli artt. 42, 47, 51, 59 ultimo comma,
c.p.
Secondo la tesi difensiva, l’imputato manifestò
sempre il convincimento di poter adire l’autorità

prelazione del cognato, affittuario e coltivatore
diretto del fondo confinante e di altra persona,
conoscente di lunga data, proprietario del fondo da
lui stesso condotto. Si verserebbe in tema di
errore ex art. 47, coma 3, c.p. e l’elemento
soggettivo integrerebbe la fattispecie di ragion
fattasi. Sarebbe, altresì, applicabile la c.d.
scriminante putativa ex art. 59 u.c. c.p., avuto
riguardo alla specifica previsione dell’art. 51
c.p., sicché si verserebbe in una situazione di
assenza di antigiuridicità.
3) violazione di legge e vizio di motivazione con
riferimento

56

all’art.

c.p.,

per

omessa

giustificazione in ordine all’esclusione
dell’esimente della desistenza volontaria, poiché
il Galasso, anche se avesse voluto portare a
termine un’estorsione, per il fermo rifiuto delle
parti , offese, per nulla intimidite, avrebbe
desistito dal suo intento.
4) violazione di legge e vizio di motivazione con

4

giudiziaria, facendo riferimento al diritto di

riferimento all’aggravante ex art. 7 d.l. n. 152
del 1991.
I difensori ricorrenti affermano che l’imputato
mirava fini esclusivamente personali e non

di tipo mafioso; inoltre, tenendo conto della
percezione che le asserite vittime ebbero delle
parole dell’imputato, non sarebbe possibile
scambiare per metodo mafioso la comunicazione di
rapporti di parentela che rappresenta un

pour

parler del tutto consuetudinario.
5) violazione di legge e vizio di motivazione con
riferimento

alla

mancata

concessione

dell’attenuante di cui all’art. 62 bis c.p.
Il ricorrente censura che la Corte di Appello abbia
motivato la mancata concessione in considerazione
dei trascorsi giudiziari dell’imputato ed afferma
che la non incensuratezza non è elemento che renda
in assoluto non meritevole della concessione delle
attenuanti generiche.
6) violazione di legge e vizio di motivazione con
riferimento all’eccessiva misura della pena.
I difensori ricorrenti lamentano che la sentenza
.„

impugnata

non

abbia

fornito

adeguata

giustificazione della pena distante dal minimo

5

intendeva agevolare l’attività di un’associazione

edittale.
Ha depositato, in data 23 maggio 2013, memoria un
altro difensore dell’imputato nominato il 5 aprile
2013, ulteriore illustrazione dei motivi di

MOTIVI DELLA DECISIONE
I motivi di ricorso sono infondati e devono essere
rigettati.
La sentenza impugnata, con motivazione ampia e
corretta dal punto di vista logico e giuridico, ha
fondato l’affermazione di responsabilità sulle
dichiarazioni rese dai testi Giovinazzo, Michele,
Girolamo e Giovanni e soprattutto sulla
conversazione intercorsa e registrata tra
Giovinazzo Michele e l’imputato. Da tali elementi i
giudici di merito hanno tratto il convincimento che
“il Galasso ha certamente usato toni minacciosi nei
confronti dei proprietari del fondo”.
Tutti i punti censurati trovano risposta nella
sentenza impugnata. In particolare: per quanto
concerne la ipotizzata desistenza volontaria, la
Corte di merito afferma che “il Galasso nel corso
del colloquio con Giovinazzo Giovanni non
dimostrava in alcun modo di voler recedere dai
propri propositi criminosi, ma piuttosto lasciava

6

ricorso.

intendere al predetto che, se non avesse operata
pressioni sui fratelli, avrebbe potuto egli stesso
subirne le conseguenze”;

con riferimento al

convincimento di poter adire l’autorità

esisteva nel caso in esame alcun diritto di
prelazione che può essere vantato soltanto dai
proprietari che siano anche coltivatori diretti” e
di ciò il Galasso era consapevole; per di più, la
stessa sentenza evidenzia che le modalità del fatto
conducono in ogni caso ad escludere la
configurabilità del diverso delitto di cui all’art.
393 c.p., facendo, in tal modo, corretta
applicazione del principio di diritto secondo il
quale integra il delitto di estorsione, e non
quello di esercizio arbitrario delle proprie
ragioni, la minaccia di esercitare un diritto, in
sé non ingiusta, che sia realizzata con una tale
forza intimidatoria e con tale sistematica
pervicacia da risultare incompatibile con il
ragionevole intento di far valere il diritto stesso
(Sez. 2, n. 14440 del 15/02/2007, Mezzanzanica, Rv.
236457); per quanto concerne la sussistenza
dell’ingiustizia del profitto, la Corte di merito
rileva che essa certamente sussiste “non apparendo

7

giudiziaria, la sentenza impugnata rileva che “non

significativa la circostanza che il Galasso fosse
intenzionato

a

versare

la

medesima

somma

corrisposta dai Giovinazzo al LustrI, atteso che il
prevenuto mirava a conseguire un vantaggio di tipo

Giovinazzo Michele non era in alcun modo
intenzionato ad assecondare tale richiesta”.
Deve, comunque, ribadirsi il costante insegnamento
di questa Suprema Corte, secondo il quale esula dai
poteri della Corte stessa quello di una “rilettura”
degli elementi di fatto posti a fondamento della
decisione, la cui valutazione è, in via esclusiva,
riservata al giudice di merito, senza che possa
integrare il vizio di legittimità la mera
prospettazione di una diversa, e per il ricorrente
più

adeguata,

valutazione

delle

risultanze

processuali (per tutte: Sez. U, 30 aprile 1997, n.
6402, Dessimone, Rv. 207944).
Infondato è anche il motivo di ricorso concernente
la sussistenza dell’aggravante di cui all’art. 7
d.l. n. 152 del 1991, in quanto la sentenza
impugnata ritiene configurabile l’aggravante
medesima con riferimento all’ipotesi dell’utilizzo
del metodo mafioso e fornisce sul punto corretta e
logica motivazione, evidenziando come dagli

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diverso da quello economico ed essendo emerso che

elementi probatori emerga che l’imputato più volte
e in più occasioni aveva fatto riferimento alla
parentela con la famiglia mafiosa dei Facchineri ed
al fatto che il cognato era latitante da molto

Galasso non possono essere ritenute, come assunto
dalla difesa un pour parler fatto in un momento in
cui non si parlava della cessione del fondo, bensì
espressioni volte ad intimidire le vittime
avvalendosi del vincolo dell’associazione mafiosa”.
Neppure può essere accolto il motivo di ricorso
concernente la mancata applicazione delle
attenuanti generiche, posto che, ai fini
dell’assolvimento dell’obbligo di motivazione, per
quanto concerne il diniego di concessione delle
stesse attenuanti, è sufficiente che il giudice di
merito giustifichi l’uso del potere discrezionale
conferitogli dalla legge con l’indicazione delle
ragioni ostative alla concessione, senza che sia
tenuto ad esaminare tutte le circostanza
prospettate o prospettabili dalla difesa (Sez. 4,
20 dicembre 2001 – 28 febbraio 2002, n. 8167,
Zahraoui, Rv. 220885). Nel caso di specie, la
sentenza impugnata ha fatto riferimento ai
precedenti penali anche specifici dell’imputato, e

9

tempo, così da rendere evidente che “le parole del

quindi, non è in alcun modo censurabile.
Del tutto generica è la doglianza relativa alla
misura della pena, anche in considerazione della
riduzione operata in appello di un anno di

Nessuna ulteriore argomentazione suscettibile di
autonoma considerazione è contenuta nella memoria
depositata.
Il ricorso, dunque, deve essere rigettato, con la
conseguenza della condanna del ricorrente al
pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al
pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma 1’11 giugno 2013.

reclusione.

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