Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 35684 del 30/05/2014


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 35684 Anno 2014
Presidente: OLDI PAOLO
Relatore: SABEONE GERARDO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
LIYANAGE PREMARATNE N. IL 13/10/1959
avverso la sentenza n. 1035/2010 CORTE APPELLO di MILANO, del
22/03/2013
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 30/05/2014 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. GERARDO SABEONE
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. C ‘i
che ha concluso per
,

Udito, per la parte civile, l’Avv
Uditi difensor Avv.

g

etd,Z.

Data Udienza: 30/05/2014

RITENUTO IN FATTO
1. La Corte di Appello di Milano, con sentenza del 22 marzo 2013, ha
sostanzialmente confermato, riducendo soltanto la pena per l’accertamento
dell’intervenuta prescrizione del reato concorrente, la sentenza del Tribunale di

Premaratne per il delitto di lesioni personali aggravate in danno di Merlinnage Da
Costa Samath.
2. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’imputato, a
mezzo del proprio difensore, il quale lamenta, quale unico motivo, il
travisamento dei fatti.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile, in quanto manifestamente infondato il
relativo motivo.
2. In primo luogo, giova rammentare, in punto di diritto e in via generale,
come in tema di ricorso per cassazione, quando ci si trovi dinanzi a una “doppia
pronuncia conforme” e cioè a una doppia pronuncia (in primo e in secondo
grado) di eguale segno (vuoi di condanna, vuoi di assoluzione), l’eventuale vizio
di travisamento possa essere rilevato in sede di legittimità, ex articolo 606
cod.proc.pen., comma 1, lett. e), solo nel caso in cui il ricorrente rappresenti
(con specifica deduzione) che l’argomento probatorio asseritamente travisato sia
stato per la prima volta introdotto come oggetto di valutazione nella motivazione
del provvedimento di secondo grado (v. Cass. Sez. IV 10 febbraio 2009 n.
20395); il che non è accaduto nel caso di specie.
A ciò si aggiunga come al generale obbligo di motivazione corrisponda un
ulteriore obbligo specifico in punto di apprezzamento del corredo probatorio,
giacché paradigmaticamente, a norma dell’articolo 192, comma 1, del codice di
rito, dei risultati che scaturiscono dalla valutazione della prova e dei criteri
adottati (il profilo “sostanziale” del tasso di persuasività della prova, e quello
“metodologico” del percorso seguito per giungere a quel determinato
convincimento) il Giudice è chiamato a darne conto nella motivazione.
I limiti che, pertanto, presenta nel giudizio di legittimità il sindacato sulla
motivazione, ineluttabilmente si riflettono, dunque, anche sul controllo in ordine
alla valutazione della prova, giacché altrimenti anziché verificare la correttezza
1

Milano del 27 ottobre 2009 ed ha mantenuto ferma la condanna di Liyanage

del percorso decisionale adottato dai Giudici del merito, alla Corte di Cassazione
sarebbe riservato un compito di rivalutazione delle acquisizioni probatorie,
sostituendo, in ipotesi, all’apprezzamento motivatamente svolto nella sentenza
impugnata, una nuova e alternativa valutazione delle risultanze processuali che
ineluttabilmente sconfinerebbe in un eccentrico terzo grado di giudizio.
Da qui, il ripetuto e costante insegnamento (v. Cass. Sez. VI 15 marzo

degli espressi e non casuali limiti che circoscrivono, a norma dell’articolo 606,
comma 1, lett. e) cod.proc.pen., il controllo del vizio di motivazione in
Cassazione la Corte non deve stabilire se la decisione di merito proponga la
migliore ricostruzione dei fatti, nè deve condividerne la giustificazione, ma deve
limitarsi a verificare, sulla base del testo del provvedimento impugnato, se
questa giustificazione sia compatibile con il senso comune e con i limiti di una
plausibile opinabilità di apprezzamento: e ciò proprio perché il richiamato articolo
606, comma 1, lett. e), cod.proc.pen., non consente alla Corte, che deve
limitarsi ad apprezzare la adeguatezza del corredo argomentativo e la non
manifesta illogicità del relativo percorso, di procedere ad una diversa lettura dei
dati processuali o ad una diversa interpretazione delle prove (o della relativa
affidabilità ed inferenza), perché è estraneo al giudizio di legittimità il controllo
della correttezza della motivazione in rapporto ai dati processuali.
Nella specie, la censura del ricorrente s’incentra su asserzioni circa una
diversa ricostruzione dei fatti piuttosto che su critiche all’operato dei Giudici del
merito e di conseguenza si manifesta in tutta la sua genericità.
Per quel che concerne, poi, il significato da attribuire alla locuzione “oltre
ogni ragionevole dubbio”, già adoperata dalla giurisprudenza di questa Corte
Suprema (v. per tutte, Cass. Sez. Un. 10 luglio 2002 n. 30328) e
successivamente recepita nel testo novellato dell’articolo 533 cod.proc.pen.
quale parametro cui conformare la valutazione inerente all’affermazione di
responsabilità dell’imputato, è opportuno evidenziare che, al di là dell’icastica
espressione, mutuata dal diritto anglosassone, ne costituiscono fondamento il
principio costituzionale della presunzione di non colpevolezza e la cultura della
prova e della sua valutazione, di cui è permeato il nostro sistema processuale.
Si è, in proposito, esattamente osservato che detta espressione ha una
funzione meramente descrittiva più che sostanziale, giacché, in precedenza, il
“ragionevole dubbio” sulla colpevolezza dell’imputato ne comportava pur sempre
il proscioglimento a norma dell’articolo 530 cod.proc.pen., comma 2, sicché non
si è in presenza di un diverso e più rigoroso criterio di valutazione della prova
2

2006 n. 10951 e Sez. V 6 ottobre 2009 n. 44914) in forza del quale, alla luce

rispetto a quello precedentemente adottato dal codice di rito, ma è stato ribadito
il principio, immanente nel nostro ordinamento costituzionale ed ordinario,
secondo cui la condanna è possibile soltanto quando vi sia la certezza
processuale assoluta della responsabilità dell’imputato (v. da ultimo Cass. Sez.

Il

9 novembre 2012 n. 7035).
Certezza che i Giudici a quo hanno logicamente espresso, sottraendo la

3. In definitiva, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile e il
ricorrente condannato, altresì, al pagamento delle spese processuali e di una
somma di denaro in favore della Cassa delle Ammende, che appare equo
determinare in euro 1.000,00.

P.T.M.
La Corte, dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al
pagamento delle spese processuali e della somma di euro 1.000,00 in favore
della Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma, il 30 maggio 2014.

loro motivazione, pertanto, al lamentato vizio di legittimità.

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