Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 3568 del 20/12/2013


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 3568 Anno 2014
Presidente: LOMBARDI ALFREDO MARIA
Relatore: PALLA STEFANO

SENTENZA

vista la richiesta di rimessione proposta da:
CALDERONE ANTONINO N. IL 18/08/1975
avverso l’ordinanza n. 410/2010 TRIBUNALE di BARCELLONA
POZZO DI GOTTO, del 07/01/2013
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. STEFANO PALLA;
~sentite le conclusioni del PG Dott. G. V o-C1 1.2t
tk
St: Ieri;

Uditi difensor Avv.; TT

C

Data Udienza: 20/12/2013

Calderone Antonino propone istanza di rimessione con riferimento al procedimento n.2656/07
r.g.n.r. (c.d. Operazione Pozzo), pendente dinanzi al Tribunale di Barcellona Pozzo di Gotto per il
reato di cui all’art.416-bis c.p., assumendo essere in atto una ‘grave situazione’ locale nei
procedimenti in cui è contestato il reato di associazione a delinquere di stampo mafioso tale da
pregiudicare la libertà di determinazione delle persone partecipanti al processo.

Gotto come una sorta di ‘fortino inespugnabile’ della criminalità organizzata mafiosa, era accaduto
che nei giorni successivi alla esecuzione di altra ordinanza coercitiva (denominata `Gotha-Pozzo2′),
nella città e in molti edifici pubblici, tra cui la Procura della Repubblica ed il Tribunale, erano stati
affissi alcuni striscioni recanti la frase: .
Ciò costituiva un pregiudizio alla libertà di determinazione dell’Organo dell’accusa che minava
anche la libertà e l’imparzialità dei giudici, con compromissione della corretta esplicazione della
loro funzione giurisdizionale, anche perché dopo l’omicidio di Isgrò Giovanni, avvenuto 1’1.12.12,
alcuni consiglieri comunali della Città del Longano, tra cui un prossimo congiunto di uno dei
componenti il collegio giudicante, avevano chiesto il potenziamento delle forze dell’ordine, mentre
in altri procedimenti in cui era contestato il reato di associazione mafiosa si era avuta la presenza in
aula di numerosi appartenenti alle associazioni anti-racket, sì che tutta la società barcellonese
attendeva , per cui — conclude l’istante —
la situazione locale doveva dirsi connotata da abnormità tale da legittimare la rimessione del
processo ad altra autorità giudiziaria.
Con ulteriore istanza, depositata il 13.2.13, Calderone Antonino, nel riportarsi al contenuto della
precedente richiesta di rimessione, evidenziava che a seguito dell’omicidio di Perdichizzi Giovanni,
ritenuto personaggio di spicco della locale criminalità organizzata, Calabrò Paolo, capogruppo
consiliare di `Barcellona in movimento’ e marito del presidente del collegio giudicante, aveva
sollecitato una ‘risposta tempestiva’ delle istituzioni, pubblicando al riguardo un articolo apparso
sul sito internet ’24 live.it’.

Oltre al ‘martellamento mediatico’ inteso — secondo l’istante — a far apparire Barcellona Pozzo di

t
Era pertanto di tutta evidenza — sostiene il Calderone — che la risposta tempestiva non poteva che
passare attraverso la condanna a severe pene di presunti esponenti (tra i quali l’istante) , nel quale procedimento era costituito parte civile il
Comune di Barcellona P.G.

Inoltre — prosegue l’istante — della stessa ‘famiglia barcellonese’, nell’ambito del proc. pen.
n.606/93 (c.d. Mare nostrum), faceva parte, secondo l’ipotesi accusatoria, Celi Antonino, fratello
del presidente del collegio giudicante, d.ssa Maria T. Celi, con conseguente pregiudizio per la
serenità del giudizio di detto magistrato, il cui marito, dott. Paolo Calabrò, si era trovato, per
pregresse vicissitudini giudiziarie, su posizioni contrapposte a quelle di altro imputato nel
procedimento, Foti Carmelo Vito, ed inoltre aveva commentato, sul suo sito internet, l’arresto di
Barresi Filippo (già condannato quale esponente apicale del sodalizio criminale barcellonese),
auspicando la ‘liberazione’ della città ‘da mani e mentalità mafiose’, dichiarazioni riprese dal
quotidiano ‘Gazzetta del Sud’ e recanti un parallelismo quanto meno sospetto con la vicenda
processuale nella quale è impegnata la moglie del Calabrò.
Infine, con memoria in data 15.12.13, i difensori del Calderone, nell’insistere nell’istanza di
rimessione, hanno evidenziato come il dott. Calabrò, capogruppo dell’UDC al consiglio comunale
di Barcellona P.G., abbia .
All’udienza odierna veniva disposta la riunione dei due procedimenti (n.805/13 e 5925/13).
Osserva la Corte che la richiesta di rimessione non è fondata.
Come infatti statuito dalle Sezioni unite di questa Corte (28 gennaio 2003, n.13687), l’istituto della
rimessione ha carattere eccezionale, implicando una deroga al principio costituzionale del giudice
naturale precostituito per legge e, come tale, comporta la necessità di un’interpretazione restrittiva

i

derle disposizioni che lo regolano, in esse comprese quelle che stabiliscono i presupposti per la
translatio iudicii.
Per ‘grave situazione locale’ — hanno precisato le Sezioni unite — deve intendersi un fenomeno
esterno alla dialettica processuale, riguardante l’ambiente territoriale nel quale il processo si svolge
e connotato da tale abnormità e consistenza da non poter essere interpretato se non nel senso di un

cui si svolge il processo di merito) o di un pregiudizio alla libertà di determinazione delle persone
che partecipano al processo medesimo, e i motivi di legittimo sospetto possono configurarsi solo in
presenza di questa grave situazione locale e come conseguenza di essa.
Se è vero che anche gli atti e i comportamenti del pubblico ministero possono assumere rilevanza ai
fini della rimessione del processo, è tuttavia necessario che essi abbiano pregiudicato in concreto la
libera determinazione delle persone che partecipano al processo, ovvero abbiano dato origine a
motivi di legittimo sospetto.
Nel caso di specie, invece, nessun elemento il richiedente ha evidenziato in termini che possano far
ritenere concretamente turbata l’imparzialità di coloro che sono parti nel processo, atteso che
l’affissione di alcuni striscioni, recanti le parole sopra riportate, sugli edifici pubblici cittadini e sul
locale Palazzo di giustizia, oltre a non essere riferibile alla iniziativa della Procura della Repubblica
e ai magistrati che la compongono, non può dirsi suscettibile di aver prodotto riflessi negativi sulla
serenità e correttezza del giudizio, dovendo peraltro considerarsi che la temuta parzialità dell’ufficio

pericolo concreto per la non imparzialità del giudice (inteso come ufficio giudiziario della sede in

del p.m. non può mai di per sé essere considerata ragione di turbativa del sereno svolgimento del
processo, idonea a legittimare la translatio iudicii, a meno che essa si traduca in un vero e proprio
atteggiamento persecutorio (cfr. Cass., sez.I, 13 ottobre 1997, n.5682; Sez.VI, 5 giugno 2007,
n.35799), del che non vi è traccia neanche nell’istanza di rimessione.
Quanto alla temuta, dal Calderone, campagna di stampa, va osservato che, atteso il ricordato
carattere eccezionale dell’istituto di cui all’art.45 c.p.p., solo una campagna di stampa direttamente
avversa all’imputato può essere causa di rimessione del procedimento ad altro ufficio giudiziario e

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seri-Tre che ne sia dimostrata la sua concreta incidenza sulla capacità del giudice di assolvere con
obiettività al compito demandatogli (cfr., tra le altre, Cass., sez.III, 7 ottobre 2009, n.45310) e non
certo una legittima presa di posizione, anche da parte della locali autorità politico-amministrative,
contro le associazioni mafiosi operanti nel territorio di Barcellona P.G.
La libera espressione del pensiero, a proposito di vicende socialmente rilevanti, costituisce infatti

attacchi diretti e insistiti, non possono sorgere pericoli effettivi per la capacità di determinazione del
giudice, tenuto anche conto delle qualità morali, psicologiche e di esperienza che normalmente
corredano le persone di coloro che sono chiamati al disimpegno di funzioni giurisdizionali (v. Cass.,
sez.I, 9 gennaio 1996, n.56) e che nella specie non vengono in discussione neanche sotto il profilo
paventato dal Calderone con riferimento a vicende giudiziarie non direttamente incidenti sui
procedimenti a suo carico.
Al rigetto dell’ istanza segue la condanna dell’ istante al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
La Corte, rigetta l’istanza e condanna Calderone Antonino al pagamento delle spese processuali.
Roma, 20 dicembre 2013

dato ineliminabile nell’assetto democratico della società, per cui da essa, quando non trasmodi in

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