Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 35678 del 30/05/2014


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 35678 Anno 2014
Presidente: OLDI PAOLO
Relatore: SABEONE GERARDO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
PINI MAURIZIO N. IL 24/08/1951
avverso la sentenza n. 21/2011 TRIBUNALE di BOLOGNA, del
14/05/2012
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 30/05/2014 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. GERARDO SABEONE
Udito il Procuratore Generale ‘n persona del Dott.
che ha concluso per Jt
44-2

(A42/9-/

Udito, per la parte civile, l’Avv. Sttiti` ,W-zo e-4.•a)(444
UditoildifensoreAvv. «4~ Vi . i

Data Udienza: 30/05/2014

RITENUTO IN FATTO
1.

Il Tribunale di Bologna, con sentenza del 14 maggio 2012, ha

confermato la sentenza del Giudice di pace di Bologna del 25 maggio 2010, con
la quale Pini Maurizio era stato condannato per i delitti di lesioni personali e

2. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’imputato, a
mezzo del proprio difensore, lamentando:
a)

una violazione di legge e la mancanza di motivazione in ordine

all’affermazione della penale responsabilità sulla base delle dichiarazioni della
parte offesa costituita parte civile;
b) la mancata considerazione delle prove a discarico;
c) la mancata assunzione di una prova decisiva e cioè di una perizia
medica per la valutazione delle lesioni.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile per un duplice ordine di motivi.
2. In primo luogo perché il ricorrente non si discosta affatto da quanto già
ha formato oggetto dei motivi di appello che sono stati disattesi dal Tribunale con
motivazione logica ed ispirata ai principi della materia.
3. In secondo luogo, come ribadito costantemente da questa Corte (v. a
partire da Sez. VI 15 marzo 2006 n. 10951 fino di recente a Sez. V 6 ottobre
2009 n. 44914), pur dopo la nuova formulazione dell’articolo 606 cod.proc.pen.,
lettera e), novellato dalla Legge 20 febbraio 2006, n. 46, art. 8, il sindacato del
Giudice di legittimità sul discorso giustificativo del provvedimento impugnato
deve essere volto a verificare che la motivazione della pronunzia:
a) sia “effettiva” e non meramente apparente, ossia realmente idonea a
rappresentare le ragioni che il giudicante ha posto a base della decisione
adottata;
b) non sia “manifestamente illogica”, in quanto risulti sorretta, nei suoi
punti essenziali, da argomentazioni non viziate da evidenti errori
nell’applicazione delle regole della logica;
c)

non sia internamente contraddittoria, ovvero sia esente da

insormontabili incongruenze tra le sue diverse parti o da inconciliabilità logiche
tra le affermazioni in essa contenute;
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minacce in danno di Fontana Paolo.

d) non risulti logicamente “incompatibile” con “altri atti del processo” in
termini tali da risultarne vanificata o radicalmente inficiata sotto il profilo logico.
Al Giudice di legittimità resta, infatti, preclusa, in sede di controllo sulla
motivazione, la pura e semplice rilettura degli elementi di fatto posti a
fondamento della decisione o l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di
ricostruzione e valutazione dei fatti, preferiti a quelli adottati dal Giudice di
merito, perché ritenuti maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità

Queste operazioni trasformerebbero, infatti, la Corte nell’ennesimo
Giudice del fatto e le impedirebbero di svolgere la peculiare funzione assegnatale
dal legislatore di organo deputato a controllare che la motivazione dei
provvedimenti adottati dai Giudici di merito rispetti sempre uno standard di
intrinseca razionalità e di capacità di rappresentare e spiegare l’iter logico
seguito dal Giudice per giungere alla decisione.
4. Quanto al primo motivo, non si ravvisa alcuna manifesta illogicità nella
motivazione del Giudice del merito, avendo il giudicante applicato la costante
giurisprudenza di legittimità sul punto secondo la quale le regole, dettate
dall’articolo 192, comma terzo cod.proc.pen. non si applicano alle dichiarazioni
della persona offesa, le quali possono essere legittimamente poste da sole a
fondamento dell’affermazione di penale responsabilità dell’imputato, previa
verifica, corredata da idonea motivazione, della credibilità soggettiva del
dichiarante e dell’attendibilità intrinseca del suo racconto, che peraltro deve in tal
caso essere più penetrante e rigoroso rispetto a quello cui vengono sottoposte le
dichiarazioni di qualsiasi testimone (v. da ultimo, Cass. Sez. Un. 19 luglio 2012
n. 41461).
Il Giudice a quo ha motivato in merito alla credibilità soggettiva della
dichiarante parte offesa nonché all’attendibilità intrinseca del racconto per cui ciò
è sufficiente all’affermata penale responsabilità dell’imputato, anche con il citato
riscontro della documentazione medica circa le procurate lesioni.
5. Con riferimento al secondo motivo, il Tribunale ha inoltre chiarito come
ad inficiare il racconto della parte offesa non potessero essere le dichiarazioni
delle due testimonianze assunte su richiesta della difesa in grado di appello.
Si osserva, inoltre, come l’articolo 603 cod.proc.pen. conferisca al Giudice
un potere e non un dovere di integrazione probatoria.
L’esercizio di tale potere presuppone, poi, la sussistenza dell’assoluta
necessità del nuovo mezzo di prova e postula l’apprezzamento e la valutazione al
riguardo da parte del Giudice, il quale, ove non eserciti tale potere, non è tenuto
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esplicativa.

a darne espressamente conto, evincendosi implicitamente dall’effettuata
valutazione, adeguata e logica, delle risultanze probatorie già acquisite la
superfluità di una eventuale integrazione istruttoria (v. Cass. Sez. VI 16 febbraio
2010 n. 24430).
L’iniziativa deve essere, pertanto, “assolutamente necessaria” (sia
l’articolo 507 che il 603 del codice di rito per l’appello usano questa espressione)
e la prova deve avere carattere di decisività (altrimenti non sarebbe

ordinario del potere dispositivo delle parti in cui si richiede soltanto che le prove
siano ammissibili e rilevanti.
6. Nella specie, con ciò disattendendosi anche il terzo motivo, il Tribunale
ha addirittura motivato in merito alla compatibilità delle lesioni di cui al
certificato medico con i fatti così come accertati (v. pagina 5 della motivazione) e
tanto basta per ritenere la non necessità di assunzione di una perizia medica.
È appena il caso di rilevare, peraltro, come secondo l’insegnamento di
questa giurisprudenza di legittimità, deve ritenersi “prova decisiva”, ai sensi
dell’articolo 606 cod.proc.pen., lett. d), quella prova che, confrontata con le
argomentazioni contenute nella motivazione, si riveli tale da dimostrare che, ove
esperita, avrebbe sicuramente determinato una diversa pronuncia, ovvero quella
prova che, non assunta o non valutata, vizia la sentenza intaccandone la
struttura portante.
Con riguardo al procedimento peritale, peraltro, questa stessa Corte di
legittimità ha già statuito il principio, consolidatosi nel tempo, in forza del quale
la perizia non può farsi rientrare nel concetto di prova decisiva, giacché la sua
disposizione, da parte del Giudice, in quanto legata alla manifestazione di un
giudizio di fatto, ove assistito da adeguata motivazione, è insindacabile ai sensi
dell’articolo 606 cod.proc.pen., lett. d) (v. di recente Cass. Sez. IV 17 gennaio
2013 n. 7444).
7. L’inammissibilità del ricorso determina, per concludere, la condanna del
ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della
Cassa delle Ammende, nonché alla rifusione delle spese del presente giudizio in
favore della parte civile costituita, liquidate come da dispositivo.
P.T.M.
La Corte, dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al
pagamento delle spese processuali e della somma di euro 1.000,00 in favore

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“assolutamente necessaria”), diversamente da quanto avviene nell’esercizio

della Cassa delle Ammende, nonché alla rifusione delle spese di parte civile,
liquidate in complessivi euro 1.500,00 oltre accessori come per legge.

Così deciso in Roma il 30 maggio 2014.

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