Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 35670 del 20/08/2015


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Penale Sent. Sez. F Num. 35670 Anno 2015
Presidente: FIANDANESE FRANCO
Relatore: PELLEGRINO ANDREA

Data Udienza: 20/08/2015

SENTENZA
Sul ricorso proposto nell’interesse di Demurtas Aldo, n. a Lanusei il
13.11.1963, rappresentato e assistito dall’avv. Paolo Giuseppe Pilia,
di fiducia, avverso la sentenza della Corte d’appello di Cagliari,
seconda sezione penale, n. 195/2015, in data 20.05.2015;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
sentita la relazione della causa fatta dal consigliere dott. Andrea
Pellegrino;
udita la requisitoria del Sostituto procuratore generale dott.ssa Paola
Filippi che ha concluso chiedendo l’annullamento senza rinvio della
sentenza impugnata per intervenuta prescrizione;
sentita la discussione della difesa avv. Paolo Giuseppe Pilia che ha
chiesto l’accoglimento del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

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1. Con sentenza in data 14.10.2014 il Tribunale di Lanusei dichiarava
Demurtas Aldo responsabile del reato di cui agli artt. 142, comma 1
lett. g) e 181 d.lgs. n. 42/2004, per aver eseguito o fatto eseguire, in
qualità di proprietario, lavori di estirpazione di soprassuolo boscato e
trasformazione di terreno saldo in terreno sottoposto a periodica
lavorazione, su una superficie di mq. 1.300 ed inoltre per aver

realizzato o fatto realizzare una pista all’interno di un’area boscata,
avente una lunghezza di rnt. 500 e una larghezza media di mt. 2,20
in assenza del nulla osta paesaggistico (capo A: accertato in data
16.03.2009) e, per l’effetto, lo condannava alla pena di giorni sei di
arresto ed euro 22.000,00 di ammenda (con la medesima sentenza, il
Demurtas veniva mandato assolto per insussistenza del fatto dal
reato di cui all’art. 734 cod. pen.: capo B d’imputazione).
2. Avverso detta sentenza, l’imputato proponeva appello.
2.1. La Corte d’appello di Cagliari, con sentenza in data 20.05.2015,
in parziale riforma della pronuncia di primo grado, assolveva
Demurtas Aldo dal reato ascrittogli, limitatamente alla condotta di
trasformazione in terreno seminativo dell’area di circa 1.300 mq., per
insussistenza del fatto e confermava nel resto la pronuncia di primo
grado riducendo la pena a giorni cinque di arresto ed euro 12.000,00
di ammenda.
2.2. Avverso detta pronuncia, nell’interesse di Demurtas Aldo, viene
proposto ricorso per cassazione per i seguenti motivi:
-mancanza di motivazione e violazione di legge in ordine alla non
sussumibilità della condotta di cui al capo A, con riferimento alla
realizzazione di una pista di circa 500 mt. nella contravvenzione di cui
agli artt. 142, comma 1 lett. g) e 181 d.lgs. n. 42/2004 (primo
motivo);
-mancanza di motivazione e violazione di legge in ordine al mancato
riconoscimento della prescrizione del reato di cui al capo A
d’imputazione (secondo motivo).
2.2.1. In relazione al primo motivo, assume il ricorrente come
l’avvenuto riconoscimento del fatto che la realizzazione della pista
non ha comportato sbancamenti, né movimenti di terra rendendo
inalterate le bellezze protette, avrebbe dovuto imporre l’applicazione
del principio di offensività, preclusivo di qualsivoglia giudizio di

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riprovevolezza nei confronti del Demurtas, a ragione della ricorrenza
di un fatto di minima entità.
2.2.2. In relazione al secondo motivo, assume il ricorrente che, anche
a voler ritenere integrata la contravvenzione di cui agli artt. 142,
comma 1 lett. g) e 181 d.lgs. n. 42/2004, alla data odierna il reato
risulta prescritto, considerato il

tempus delicti commissi

(i fatti

risultano collocati in epoca anteriore di circa quattro mesi rispetto al

16.03.2009, data del mero accertamento dell’illecito) anche volendo
considerare nella massima estensione sia gli eventi interruttivi che i
periodi di sospensione verificatisi.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso, oltre a proporre censure in fatto ovvero tali da imporre
non consentiti indagini nel merito, appare manifestamente infondato
e, come tale, risulta inammissibile.
2. Con motivazione logica e congrua – e quindi immune dai denunciati
vizi di legittimità – la Corte territoriale dà conto degli elementi che
l’hanno portata ad affermare la penale responsabilità dell’imputato in
relazione al capo A) con riferimento alla realizzazione di una pista di
circa 500 mt., con correlativa eliminazione della zona di bosco
corrispondente.
2.1. Va ricordato, in premessa, come il controllo del giudice di
legittimità sui vizi della motivazione attenga alla coerenza strutturale
della decisione di cui si saggia la oggettiva tenuta sotto il profilo
logico argomentativo, restando preclusa la rilettura degli elementi di
fatto posti a fondamento della decisione e l’autonoma adozione di
nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti (tra le
varie, cfr. Sez. 3, sent. n. 12110 del 19/03/2009 e n. 23528 del
06/06/2006). Ancora, la giurisprudenza ha affermato che l’illogicità
della motivazione per essere apprezzabile come vizio denunciarle,
deve essere evidente, cioè di spessore tale da risultare percepibile
ictu ocu/i, dovendo il sindacato di legittimità al riguardo essere
limitato a rilievi di macroscopica evidenza, restando ininfluenti le
minime incongruenze e considerandosi disattese le deduzioni
difensive che, anche se non espressamente confutate, siano
logicamente incompatibili con la decisione adottata, purché siano

3

spiegate in modo logico e adeguato le ragioni del convincimento (Sez.
3, sent. n. 35397 del 20/06/2007; Sez. U, sent. n. 24 del
24/11/1999, Spina, Rv. 214794).
Più di recente, è stato ribadito come ai sensi di quanto disposto
dall’art. 606 cod. proc. pen., comma 1, lett. e), il controllo di
legittimità sulla motivazione non attiene ne’ alla ricostruzione dei fatti
ne’ all’apprezzamento del giudice di merito, ma è circoscritto alla

verifica che il testo dell’atto impugnato risponda a due requisiti che lo
rendono insindacabile: a) l’esposizione delle ragioni giuridicamente
significative che lo hanno determinato; b) l’assenza di difetto o
contraddittorietà della motivazione o di illogicità evidenti, ossia la
congruenza delle argomentazioni rispetto al fine giustificativo del
provvedimento (Sez. 2, sent. n. 21644 del 13/02/2013, Badagliacca e
altri, Rv. 255542).
2.2. Il sindacato demandato a questa Corte sulle ragioni giustificative
della decisione ha dunque, per esplicita scelta legislativa, un orizzonte
circoscritto.
Non c’è, in altri termini, la possibilità di andare a verificare se la
motivazione corrisponda alle acquisizioni processuali. E ciò anche alla
luce del vigente testo dell’art. 606 cod. proc. pen., comma 1, lett. e)
come modificato dalla L. 20 febbraio 2006, n. 46. Il giudice di
legittimità non può procedere ad una rinnovata valutazione dei fatti
ovvero ad una rivalutazione del contenuto delle prove acquisite,
trattandosi di apprezzamenti riservati in via esclusiva al giudice del
merito.
2.3. Inoltre, il vizio della manifesta illogicità della motivazione deve
essere evincibile dal testo del provvedimento impugnato. Com’è stato
rilevato nella citata sentenza 21644/13 di questa Corte, la sentenza
deve essere logica “rispetto a sè stessa”, cioè rispetto agli atti
processuali citati. In tal senso, la novellata previsione secondo cui il
vizio della motivazione può risultare, oltre che dal testo del
provvedimento impugnato, anche da “altri atti del processo”, purché
specificamente indicati nei motivi di gravame, non ha infatti
trasformato il ruolo e i compiti di questa Corte, che rimane giudice
della motivazione, senza essersi trasformato in un ennesimo giudice
del fatto.
2.4. Avere introdotto la possibilità di valutare i vizi della motivazione

4

anche attraverso gli “atti del processo” costituisce invero il
riconoscimento normativo della possibilità di dedurre in sede di
legittimità il cosiddetto “travisamento della prova” che è quel vizio in
forza del quale il giudice di legittimità, lungi dal procedere ad una
(inammissibile) rivalutazione del fatto (e del contenuto delle prove),
prende in esame gli elementi di prova risultanti dagli atti per
verificare se il relativo contenuto è stato o meno trasfuso e valutato,

stato “travisamento della prova” qualora il giudice di merito abbia
fondato il suo convincimento su una prova che non esiste (ad
esempio, un documento o un testimone che in realtà non esiste) o su
un risultato di prova incontestabilmente diverso da quello reale (alla
disposta perizia è risultato che lo stupefacente non fosse tale ovvero
che la firma apocrifa fosse dell’imputato); oppure dovrà essere
valutato se c’erano altri elementi di prova inopinatamente o
ingiustamente trascurati o fraintesi. Ma – occorrerà ancora ribadirlo non spetta comunque a questa Corte Suprema “rivalutare” il modo
con cui quello specifico mezzo di prova è stato apprezzato dal giudice
di merito.
3. Se questa, dunque, è la prospettiva ermeneutica cui è tenuta
questa Suprema Corte, la prima censura che il ricorrente rivolge al
provvedimento impugnato si palesa manifestamente infondata, non
apprezzandosi nella motivazione della sentenza della Corte d’appello
di Cagliari alcuna illogicità che, con riferimento al punto denunciato,
ne vulneri la tenuta complessiva.
3.1. Rispetto a tale motivata, logica e coerente pronuncia, il
ricorrente chiede, di fatto, una rilettura delle risultanze probatorie
evidenziando:
-che l’estirpazione della macchia mediterranea asseritamente
perpetrata dall’imputato non ha in alcun modo compromesso i valori
paesaggistici tutelati dalla legge;
-che era stato sufficientemente chiarito che la “pista” in oggetto
avesse il solo scopo di evitare il divampare delle fiamme da un lato
all’altro;
-che la stessa pista non avesse alcun rilievo urbanistico, fosse in
piena e perfetta compatibilità ambientale essendo peraltro collocata
all’interno della proprietà ed allineata al piano di campagna;

senza travisamenti, all’interno della decisione: in altri termini, vi sarà

-che il Demurtas avesse fatto legittimo affidamento sulle
determinazioni della P.A. e, segnatamente, sull’autorizzazione
ottenuta dalla Direzione Generale del C.F.V. in data 07.12.2007.
3.2. A queste censure la Corte territoriale risponde in maniera del
tutto congrua e giustificata riconoscendo come “… tale intervento non
era contemplato dalla richiesta di autorizzazione presentata al Corpo
forestale per la trasformazione dell’area coperta da macchia

realizzate dal personale del Corpo forestale emerge che la pista non
insiste esattamente nella stessa area e, come si spiega con estrema
chiarezza nel verbale di accertamento del 16.03.2009, tale pista
collega il confine a monte della proprietà della madre dell’imputato
con una zona pascolativa. Né, del resto, si tratta di un intervento
direttamente ed esclusivamente riconducibile all’attività agro-silvopastorale, e dunque non bisognoso di autorizzazione paesaggistica,
perché la realizzazione di strade, piste o carrarecce, anche se
percorribili soltanto con mezzi cingolati … costituisce un intervento di
modifica strutturale del territorio a fini di comunicazioni via terra e
non può essere circoscritto soltanto all’eventuale utilità per gli usi
agricoli. D’altra parte, una volta aperta, la pista poteva essere
migliorata fino a renderla percorribile anche ad altri mezzi. Inoltre,
non si trattava certamente di una fascia parafuoco perché, come
osserva il teste Mascia e come è evidente dalle fotografie, era
piuttosto stretta e dunque non avrebbe fornito alcuna garanzia circa
l’impedimento del passaggio del fuoco da un lato all’altro. Inoltre,
come si vede sempre dalle fotografie, il fondo della pista era tutt’altro
che pulito e non era stata prestata alcuna cura nell’eliminare erbacce
e piccoli cespugli, come è buona prassi al fine di scongiurare la
propagazione del fuoco. Poiché nessuna autorizzazione paesaggistica
fu mai richiesta e tanto meno rilasciata per la realizzazione di tale
pista, che integrò un vero e proprio sventramento della zona boscata
e come tale assoggettata a vincolo, l’affermazione di colpevolezza di
Aldo Demurtas per tale intervento deve essere confermata …”.
4. Manifestamente infondata è anche la seconda censura proposta.
Detto motivo, nell’articolazione proposta, risulta essere stato
presentato per la prima volta in sede di ricorso per cassazione, atteso
che, con riferimento alla prescrizione di cui al capo A), nei motivi

mediterranea in terreno seminativo. Anzi, dalle mappe della zona

d’appello, l’istante si era limitato a ritenere intervenuta la causa
estintiva, considerate sia le interruzioni che le sospensioni, prendendo
come epoca di riferimento (dalla quale operare il calcolo ex art. 157
cod. pen.) quella del 16.03.2009.
4.1. Fermo quanto precede, indipendentemente dal fondamento della
questione che, peraltro, imporrebbe un’indagine in fatto non
consentita in questa sede, il Collegio non può che prendere atto

4.2. Invero, secondo il costante insegnamento della giurisprudenza di
legittimità (cfr., ex multis, Sez. 4, sent. n. 10611 del 04/12/2012,
dep. 07/03/2013, Bonaffini, Rv. 256631), in tema di ricorso per
cassazione, la regola ricavabile dal combinato disposto degli artt.
606, comma terzo, e 609, comma secondo, cod. proc. pen. – secondo
cui non possono essere dedotte in cassazione questioni non
prospettate nei motivi di appello, tranne che si tratti di questioni
rilevabili di ufficio in ogni stato e grado del giudizio o di quelle che
non sarebbe stato possibile dedurre in grado d’appello – trova la sua
“ratio” nella necessità di evitare che possa sempre essere rilevato un
difetto di motivazione della sentenza di secondo grado con riguardo
ad una specifica doglianza su un punto del ricorso, non investito dal
controllo della Corte di appello, perché non segnalato con i motivi di
gravame.
5. Alla pronuncia consegue, per il disposto dell’art. 616 cod. proc.
pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali
nonché al versamento, in favore della Cassa delle ammende, di una
somma che, considerati i profili di colpa emergenti dal ricorso, si
determina equitativamente in euro 1.000,00

PQM

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento
delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore
della Cassa delle ammende.
Così deliberato in Roma, udienza pubblica del 20.8.2015

dell’inammissibilità della doglianza per tardiva proposizione.

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