Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 35669 del 07/04/2014


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 35669 Anno 2014
Presidente: OLDI PAOLO
Relatore: PEZZULLO ROSA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
FORABOSCHI DONATELLA N. IL 23/07/1952
BONECHI GIAMPAOLO N. IL 05/03/1952
avverso la sentenza n. 1331/2011 CORTE APPELLO di FIRENZE, del
23/05/2012
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 07/04/2014 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. ROSA PEZZULLO
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
che ha c

Udito, per la parte civile, i Avv
Udit i

Data Udienza: 07/04/2014

udito il Procuratore Generale, in persona del Dott. Pietro Gaeta, che ha
concluso per l’inammissibilità del ricorso;
udito il difensore dei ricorrenti, avv. Eriberto Rosso, che ha concluso per
l’accoglimento del ricorso
RITENUTO IN FATTO
1.Con sentenza in data 23.11.2009 il Tribunale di Firenze dichiarava
Foraboschi Donatella colpevole dei reati di cui agli artt. 660, 594 e 595 c.p. per
avere recato molestia e disturbo al vicino di casa Lapo Fè, a causa dei rumori

indirizzo ed in sua presenza, a seguito delle lamentele ricevute, la frase
“vaffanculo” e successivamente per averlo additato in seno all’assemblea
condominiale, nel corso della quale era stata letta la missiva inviata per conto
dell’imputata e del Bonechi da un legale, quale responsabile del clima di disagio
che si era venuto a creare ed ancora quale autore di epiteti ed ingiurie, così
ledendone l’onore ed il prestigio e la condannava alla pena di C 800,00 di
multa, nonché Bonechi Giampaolo colpevole del reato di cui all’art. 595 c.p. in
concorso con la Foraboschi, per la condotta diffamatoria descritta e lo
condannava alla pena di C 600,00 di multa; entrambi gli imputati venivano
condannati al risarcimento del danno in favore delle parti civili, Lapo Fè e
Fabiana Scarpelli, nell’importo di C 1000,00 per ciascuna e nella misura del
sessanta per cento la Foraboschi e del quaranta per cento il Bonechi.
2. La Corte d’Appello di Firenze, con sentenza in data 23.5.2012, in parziale
riforma della sentenza di primo grado, assolveva la Foraboschi dal reato di cui
all’art. 660 c.p., perché il fatto non sussiste, e rideterminava la pena irrogata in
C 600,00 di multa, nonchè revocava la condanna degli imputati al risarcimento
del danno nei confronti di Scarpelli Fabiana, riducendo il risarcimento nei
confronti di Fè Lapo ad C 800,00.à?
3. Avverso tale sentenza gli imputati, a mezzo del proprio difensore, hanno
proposto ricorso affidato a tre motivi, lamentando:
-con il primo motivo, l’erronea applicazione della legge penale, ai sensi
dell’art. 606, primo comma, lett. b) c.p.p., in relazione all’art. 594 c.p., atteso
che la corte di merito non ha valorizzato la specificità del contesto nel quale la
condotta ebbe ad inserirsi e non ha considerato come, in particolare, il contesto
condominiale sia divenuto nel corso del tempo occasione di un uso
frequentissimo di espressioni e termini disdicevoli;
-con il secondo motivo, l’inosservanza della legge penale in relazione al
combinato disposto di cui all’art. 595 e 49 c.p. e la mancanza di motivazione,
atteso che il reato in questione non poteva che risultare impossibile, dal
momento che nessun condomino è rimasto “colpito” dal contenuto della lettera;
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prodotti all’interno del proprio appartamento, in un caso pronunciando al suo

tale doglianza proposta specificamente nell’atto di appello non ha costituito
oggetto di risposta da parte della corte di merito;
-quale terzo motivo, l’illogicità della motivazione in relazione all’omessa
rideterminazione delle spese di costituzione e difesa delle parti civili, a seguito
della esclusione della condanna degli imputati al risarcimento del danno nei
confronti della Scarpelli, ai sensi dell’art. 541 /1 c.p.p.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso non è inammissibile ai sensi dell’art. 606, terzo comma, c.p.p.,

di non punibilità a norma dell’art. 129 c.p.p. (Sez. Un., n.23428 del
22/03/2005; Sez. IV, n.31344 dell’ 11/06/2013).
2. Per il reato di cui all’art. 594 c.p. ascritto alla Foraboschi, invero è
maturato successivamente alla sentenza di secondo grado (alla data dell’
1.9.2013), il termine di prescrizione, pari ad anni sette e mesi sei, a decorrere
dal 1.3.2006, ma l’obbligo della immediata declaratoria di tale causa di
estinzione, sancito dal primo comma dell’art. 129 c.p.p., implica nel contempo
la valutazione della sussistenza in modo evidente di una ragione di
proscioglimento dell’imputato, alla luce della regola di giudizio posta dal
secondo comma del medesimo art. 129 c.p.p., rilevabile, tuttavia, soltanto nel
caso in cui le circostanze idonee ad escludere l’esistenza del fatto, la
commissione del medesimo da parte dell’imputato e la sua rilevanza penale
emergano dagli atti in modo assolutamente non contestabile, così che la
valutazione che il giudice deve compiere al riguardo appartenga più al concetto
di “constatazione”, ossia di percezione “ictu oculi”, che a quello di
“apprezzamento” e sia quindi incompatibile con qualsiasi necessità di
accertamento o di approfondimento (Sez. III, n.10221 del 24/01/2013).
Nel caso di specie non ricorrono in modo evidente ed assolutamente non
contestabile ragioni di proscioglimento dell’imputata, ai sensi dell’art. 129/2
c.p.p.- risultando pacifico che la Foraboschi profferì all’indirizzo di Lapo Fè
l’espressione “vaffanculo” e tale espressione, proprio in relazione al contesto in
cui è stata pronunciata, deve ritenersi offensiva dell’onore e del decoro della
p.o..
3. I ricorsi degli imputati vanno rigettati, anche in relazione agli effetti civili
scaturenti dalla sentenza impugnata.
3.1. Il primo motivo di ricorso relativo al delitto di ingiuria ascritto alla
Foraboschi è infondato. Ed invero, la frase oggetto di giudizio è stata
pronunciata dall’imputata dopo che Lapo Fè si era lamentato del rumore che
proveniva di buon mattino dall’appartamento sovrastante, occupato dalla
Foraboschi, dando colpi al soffitto per invitare a “fare piano” e costei, dopo

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sicchè non è preclusa a questa Corte la possibilità di rilevare e dichiarare cause

aver suonato all’appartamento della persona offesa per chiedere spiegazioni
dell’accaduto, mostrava segni di irritazione e, quindi, proferiva l’espressione
“vaffanculo” al suo indirizzo.
La ricorrente in sostanza sostiene che tale espressione sarebbe divenuta di
uso comune e avrebbe, quindi, perso valenza offensiva, specie ove si consideri
un contesto, quale quello condominiale, oggetto di giudizio, nel quale i soggetti
si trovano in posizione di parità, ed ha invocato all’uopo alcune pronunce di
questa Corte. Va tuttavia evidenziato che il precedente invocato dalla ricorrente

hanno perso il loro carattere offensivo, prendendo il posto nel linguaggio
corrente di altre aventi significato diverso- tra cui l’espressione oggetto
dell’imputazione, “vaffanculo”, che viene frequentemente impiegata per dire
“non infastidirmi”, “non voglio prenderti in considerazione” ovvero “lasciami in
pace”- e che l’uso troppo frequente, quasi inflazionato, delle suddette parole
ha modificato in senso connotativo la loro carica, ha comunque precisato che
la portata offensiva o meno, dell’espressione in esame è senza dubbio
condizionata dal contesto in cui si inserisce: se questa viene pronunciata
dall’interessato nei confronti di un’insegnante che fa un’ osservazione o di un
vigile che dà una multa, assume carattere di spregio; diversa è la situazione se
si colloca nel discorso che si svolge tra soggetti in posizione di parità ed in
risposta a frasi che non postulano, per serietà ed importanza del loro
contenuto, manifestazione di specifico rispetto. Nel caso esaminato da questa
(“jve “date-t
Corte trattavasi di espressione pronunciata in una situazione del tutto
particolare, che si collocava nell’ambito di un vivace scontro verbale durante
un dibattito politico, connotato da un clima particolarmente polemico, che
aveva dato luogo a scambio di accuse e la condotta verbale dell’imputato
rappresentava una maleducata e volgare manifestazione di insofferenza, e per
tale contesto di inserimento non è stata ritenuta tale da offendere l’onore ed il
decoro dell’interlocutore, ai sensi dell’art. 594 c.p..
Più recentemente, questa Corte, nel valutare la portata offensiva
dell’espressione “vaffanculo”, ha evidenziato, che pur dovendosi prendere
atto del degrado del linguaggio e della inciviltà che oramai non di rado
contraddistingue il rapporto tra i cittadini, tuttavia, tale espressione non è
soltanto indice di cattiva educazione e di uno sfogo dovuto ad una pretesa
invadenza dell’offeso, ma anche del disprezzo che si nutre nei confronti
dell’interlocutore (Sez. V, 07/05/2013, n. 28645), precisando pur sempre,
tuttavia, che spetta ai giudici di merito, tenere doverosamente conto del
contesto nel quale l’espressione è stata pronunciata.

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(Sez. V, n. 27966 del 13 luglio 2007), pur dando atto che alcune espressioni

Al fine di accertare se sia stato leso il bene protetto dall’art. 594 c.p.,
occorre pertanto fare riferimento ad un criterio di media convenzionale in
rapporto alla personalità dell’offeso e dell’offensore ed al contesto nel quale la
frase ingiuriosa sia stata pronunciata (Sez. V , n. 30956 del 02/07/2010).
Nel caso in esame, il contesto nel quale l’espressione “vaffanculo” è stata
proferita non appare idoneo ad escludere la portata offensiva di essa, essendo
stata la frase pronunciata dall’imputata all’indirizzo di un vicino di casa per una
questione di rumori e siccome la vicenda coinvolge la vita di relazione

invero, devono essere improntati ad un maggiore rispetto reciproco tra le
persone, perchè altrimenti inducono ad una impossibilità di convivenza, che,
invece, è necessitata dalla quotidiana relazione nascente dal fatto abitativo, e
che deve essere garantita (Sez. V, 29/10/2009, n. 3931).
3.2. Il secondo motivo di ricorso relativo alla ricorrenza dell’ipotesi di cui
all’art.49/2 c.p., in relazione al delitto di diffamazione ascritto ad entrambi gli
imputati, non essendo rimasto alcun condomino “colpito” dalla missiva in
contestazione, è del pari infondato. Va premesso che la sentenza impugnata,
nel richiamare la sentenza di primo grado, ha ritenuto il contenuto della lettera
sottoscritta da entrambi gli imputati allegata al verbale di assemblea
condominiale idoneo a gettare discredito sul Fè, laddove si afferma del tutto
falsamente che la Foraboschi si era comportata correttamente nell’episodio
relativo alle ingiurie, quando la stessa aveva tenuto una condotta aggressiva e
gravemente ingiuriosa. Correttamente in proposito la sentenza impugnata ha
evidenziato come il fatto che taluni degli altri condomini fossero a conoscenza
dei cattivi rapporti tra il Tè e la Foraboschi non esclude la rilevanza penale della
condotta addebitabile ad entrambi gli imputati
In tema di fattispecie di reato impossibile per inidoneità dell’azione ex art.
49 comma 2 c.p., si deve ricordare che perché un’azione possa considerarsi
inidonea è necessario che la sua incapacità a condurre all’evento (che in tema
di diffamazione si presenta di pericolo) sia assoluta, intrinseca e originaria,
secondo una valutazione oggettiva da compiersi risalendo al momento iniziale
del suo compimento: deve cioè tradursi in “inefficienza causale” rispetto alla
produzione dell’evento, indipendentemente da ogni cautela predisposta dalla
parte offesa o intervento successivo che abbia impedito la realizzazione di tale
evento (Sez. I, 15/12/2006, n. 4359).Nel caso di specie non risultano utilizzate
dagli imputati espressioni rivolte al Fè in sé inidonee ad attentare al prestigio
sociale della p.o., percepibili positivamente dai condomini, specie laddove è
stata riferita falsamente alla p.o. una condotta aggressiva e gravemente

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quotidiana non perde valenza spregiativa dell’onore: i rapporti di vicinato,

ingiuriosa nei confronti della Foraboschi in occasione dell’episodio dei rumori,
sicchè non appare configurabile l’ipotesi di cui all’art. 49/2 c.p.
3.3. Infondato si presenta, infine, il terzo motivo di ricorso con il quale i
ricorrenti si dolgono dell’ omessa rideterminazione delle spese di costituzione e
difesa delle parti civili, a seguito della esclusione della condanna degli imputati
al risarcimento del danno nei confronti della Scarpelli. Ed invero, le parti civili
presentavano in primo grado una nota spese unica per entrambe, senza
considerare- se non per la somma di € 500,00 -la pluralità delle parti, mentre

risultare in sostanza influenzato dalla esclusione della condanna in favore della
Scarpelli.
4. In definitiva, la sentenza impugnata va annullata senza rinvio agli effetti
penali, limitatamente al reato di ingiuria ascritto a Foraboschi Donatella, per
essere lo stesso estinto per prescrizione; il ricorso della stessa Foraboschi va
rigettato nel resto; il ricorso di Bonechi Giampaolo va rigettato e lo stesso va
condannato al pagamento delle spese processuali.
p.q.m.
annulla senza rinvio agli effetti penali la sentenza impugnata limitatamente
al reato di ingiuria ascritto a Foraboschi Donatella, per essere lo stesso estinto
per prescrizione; rigetta nel resto il ricorso della Foraboschi; rigetta il ricorso di
Bonechi Giampaolo che condanna al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 7.4.2014

l’importo liquidato è stato di gran lunga inferiore a quello richiesto, tale da non

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