Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 35668 del 07/04/2014


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 35668 Anno 2014
Presidente: OLDI PAOLO
Relatore: PEZZULLO ROSA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
YIN XU JIE N. IL 09/12/1977
avverso la sentenza n. 3007/2009 CORTE APPELLO di GENOVA, del
16/10/2012
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 07/04/2014 la relazione fatta dal
tt. ROSA PEZZULLO
Consi lie
Udite il Procuratore Genera
che ha concluso per


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Data Udienza: 07/04/2014

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udito il Procuratore Generale, in persona del Dott. Pietro Gaeta, che
ha concluso per il rigetto del ricorso;
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza in data 16.10.2012, la Corte d’Appello di Genova
confermava la sentenza emessa in data 3.12.2008 dal locale Tribunale
in composizione monocratica con la quale Yin Xu Jie era stato ritenuto
responsabile, quale legale rappresentante della “HL Jolly Group s.r.l.” dei
reati di cui agli artt. 61 n° 2 e 483 cp; 292, 295 D.P.R. n. 43 del 1973;

1, 67, 69 e 70 D.P.R.n. 633 del 1970 in relazione a numerosissimi
articoli di vario genere, già sequestrati dalla SVAD Dogane di Genova,
nonchè del reato 517 c.p. con riguardo a migliaia di spazzolini da denti
con falsa indicazione di provenienza “made in Switzerland” e condannato
alla pena, concesse le generiche equivalenti alla contestata aggravante,
di anni uno di reclusione.
Avverso tale sentenza l’imputato, a mezzo dei suoi difensori ha
proposto ricorso per Cassazione, affidato a due motivi:
-con il primo motivo lamenta la mancanza o manifesta illogicità
della motivazione della sentenza sotto il profilo del travisamento della
prova, censurabile a norma dell’articolo 606 c.p.p., comma 1, lett. e)
c.p.p., per aver la Corte di Appello omesso di valutare una prova
decisiva ritenendola inesistente, relativamente alla fattispecie di cui
all’art. 483 c.p. e alla fattispecie di contrabbando aggravato di cui agli
artt. 292 e 295 D.P.R. n. 43/1973, nonché dei reati di cui agli artt.
1,67,70 DPR 633/72 in relazione agli artt. 292 e 293 e ss. D.P.R.
4311073. In particolare, sia il giudice di prime cure, che la Corte di
merito non hanno considerato le dichiarazioni del teste Bisio Marco, che
nella sua qualità di funzionario doganale, all’udienza dibattimentale del
16 luglio 2008, dichiarava che all’interno dei container vi era anche
della merce in meno rispetto a quella dichiarata; nonché il verbale di
contestazione redatto in data 21 dicembre 2006, in relazione alla
attività di visita svolta in data 26 e 27 ottobre 2006, nel quale si dava
espressamente atto di aver accertato merce in meno rispetto a quella
dichiarata; pertanto, il Giudice ha omesso di prendere in considerazione,
ai fini della valutazione dell’elemento soggettivo (cioè se l’imputato
abbia dolosamente indicato merce difforme rispetto a quella importata o
se tale discrasia sia dipesa esclusivamente da una condotta colposa),
elementi oggettivi, certi e decisivi risultanti dagli atti del procedimento e
specificatamente indicati dal ricorrente, ossia la merce in meno rispetto

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29, 293, 295, comma 2 lettera c), del medesimo D.P.R. n. 43/73; artt.

a quella dichiarata; che la risoluzione del fatto controverso (la condotta
dolosa o colposa nella fattispecie del falso ideologico in atto pubblico ex
art. 483 c.p.) risulta priva di reale giustificazione esterna, per la sua
palese incompatibilità con gli elementi pacificamente acquisiti al
procedimento; che trattasi a ben vedere di manifesta illogicità della
motivazione per il profilo di contraddittorietà del ragionamento
giustificativo della decisione con gli atti del processo specificatamente
indicati dal ricorrente; che il ragionamento del Giudice circa l’esistenza

qualificazione del contrabbando) è stato indubbiamente disarticolato
rendendo così del tutto contraddittoria ed incongrua la motivazione; che
con riguardo ai reati di contrabbando, il venir meno dell’elemento
soggettivo della fattispecie di cui all’art. 483 c.p. avrebbe determinato
necessariamente, la riqualificazione giuridica del contrabbando
contestato, nella fattispecie sanzionatoria di natura amministrativa di cui
all’art. 295 bis D.P.R. 43/1973 atteso che, i diritti di confine
asseritamente evasi, non hanno superato la soglia di punibilità indicata
nel medesimo articolo 295 bis.
-con il secondo motivo lamenta il difetto di motivazione della
sentenza, censurabile a norma dell’articolo 606 c.p.p., comma primo,
lett. e) c.p.p., per avere la corte di merito motivato in moilo apparente,
limitandosi ad un richiamo per relationem della sentenzaPrimo grado,
senza alcuna argomentazione specifica rispetto alle censure sollevate
con l’atto di appello. In particolare, la sentenza impugnata si profila, nel
suo iter motivazionale, particolarmente sintetica, caratterizzandosi per
un generale richiamo per relationem alla sentenza di primo grado; se è
pur vero, infatti, che è possibile l’integrazione tra le pronunce di merito,
laddove conformi, occorre pur sempre che possa ravvisarsi un nucleo
essenziale di argomentazione dal quale desumere che il giudice di
secondo grado dopo aver proceduto all’esame delle censure
dell’appellante, ha fatto proprie le considerazioni svolte dal primo
giudice; che nel caso di specie la Corte di merito non ha argomentato
circa le censure mosse dall’appellante ed ha speso argomentazioni del
tutto sintetiche per affermare la responsabilità dell’imputato.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile, siccome manifestamente infondato.
1.Con il primo motivo di ricorso l’imputato si duole della mancanza o
manifesta illogicità della motivazione della sentenza impugnata, sotto il
profilo del travisamento della prova, per non avere la Corte di merito
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del dolo nella condotta del falso (che ha importantissimi riflessi sulla

considerato le dichiarazioni del teste Bisio Marco, nonché il verbale di
contestazione redatto in data 21 dicembre 2006, ma tale doglianza non
si confronta con la motivazione della sentenza impugnata, che, sebbene
sintetica, ha indicato esattamente gli elementi sui quali ha ritenuto di
fondare il giudizio di responsabilità dell’imputato e segnatamente le
emergenze di tutti i verbali di contestazione elevati nei confronti
dell’imputato, dai quali non risulta che dai singoli contenitori
mancassero merci dichiarate.

dalla sentenza di primo grado, da leggersi in uno a quella di appello,
atteso che non sussiste mancanza o vizio di motivazione allorquando il
giudice di secondo grado, in conseguenza della ritenuta completezza e
correttezza dell’indagine svolta in primo grado, confermi la decisione del
primo giudice. In tal caso, le motivazioni della sentenza di primo grado
e di quella di appello, fondendosi, si integrano a vicenda, confluendo in
un risultato organico e inscindibile al quale occorre in ogni caso fare
riferimento per giudicare della congruità della motivazione. In questa
prospettiva, nella motivazione della sentenza, il giudice di appello non è
tenuto a compiere un’analisi approfondita di tutte le deduzioni delle
parti e a prendere in esame dettagliatamente tutte le risultanze
processuali, essendo invece sufficiente che, anche attraverso una
valutazione globale di quelle deduzioni e risultanze, spieghi logicamente
le ragioni che hanno determinato il suo convincimento, dimostrando di
avere tenuto presente ogni fatto decisivo, nel qual caso devono
considerarsi implicitamente disattese le deduzioni difensive, che, anche
se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la
decisione adottata (Sez. VI, n. 49970 del 19/10/2012).
Ebbene, analizzando le generiche dichiarazioni del Bisio, allegate
anche al ricorso in esame il Tribunale di Genova ha evidenziato, senza
illogicità: che dai verbali di contestazione non risulta che dai singoli
contenitori mancassero merci; che dai verbali emerge che vi erano
merci in più rispetto a quelle dichiarate e tale prova documentale
redatta nell’immediatezza prevale ai fini della valutazione della
consapevolezza della condotta su quella testimoniale offerta dal teste;
che le false dichiarazioni presentate erano finalizzate alla sottrazione
delle merci non dichiarate al pagamento dei diritti di confine e della
relativa IVA.
Va specificamente evidenziato che le doglianze riproposte in questa
sede si limitano ad una generica censura della sentenza impugnata in

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2. Va, poi, considerato quanto specificamente in proposito evidenziato

punto di motivazione, senza, tuttavia, contestare specificamente gli
addebiti oggetto di contestazione, relativi agli esorbitanti quantitativi di
merce non dichiarata dall’imputato, in ordine ai quali, né la genericità
delle dichiarazioni del Bisio, né il verbale allegato al ricorso danno
conto, anzi in tale verbale gli operanti della Dogana di Genova hanno
conclusivamente evidenziato il rinvenimento di n. 55650 pezzi non
dichiarati.
L’esorbitanza delle merci non dichiarate, indicate nei verbali di

dell’elemento psicologico dei reati ascritti all’imputato, come
chiaramente evidenziato dalla sentenza di primo grado.
3. Manifestamente infondato si presenta, altresì, il secondo motivo di
ricorso, atteso che nel giudizio di appello è consentita la motivazione
“per relationem” alla pronuncia di primo grado, nel caso in cui le
censure formulate dall’appellante non contengano elementi di novità
rispetto a quelle già condivisibilmente esaminate e disattese dalla
sentenza richiamata (Sez. II, 19/03/2013, n. 30838). Nel caso di
specie, come detto, il giudice di primo grado aveva già dato conto
dell’infondatezza dell’assunto circa l’idoneità delle dichiarazioni del Bisio
a sconfessare l’impianto accusatorio nei confronti dell’imputato. In ogni
caso, la sentenza di appello, pur nella sua stringatezza, ha evidenziato
con un nucleo argomentativo proprio gli elementi di responsabilità a
carico del ricorrente, consistenti nei verbali di contestazione acquisiti
agli atti.
4. Alla declaratoria di inammissibilità segue per legge la condanna del
ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché, trattandosi di
causa di inammissibilità riconducibile a colpa del ricorrente (Corte
Costituzionale n. 186 del 7-13 giugno 2000), al versamento, a favore
della cassa delle ammende, di una somma che si ritiene equo e
congruo determinare in Euro 1000,00, ai sensi dell’art. 616 c.p.p..
p.q.m.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al
pagamento delle spese processuali e della somma di euro 1000,00 in
favore della cassa delle ammende.
Così deciso il 7.4.2014

contestazione e oggetto di addebito, rende palese, altresì, la ricorrenza

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